Le ferite di Gaza, le nuove armi e le esecuzioni sommarie di donne e bambini + G. CHIESA




Le ferite di Gaza e le nuove armi

 


Il dottor Ghassan Abu Sittah ed il dottor Swee Ang, due chirurghi inglesi, sono riusciti a raggiungere Gaza durante l’invasione israeliana. In questo articolo descrivono le loro esperienze, condividono le loro opinioni e ne traggono le inevitabili conseguenze: la popolazione di Gaza è estremamente vulnerabile e totalmente inerme davanti ad un eventuale attacco israeliano.



Le ferite di Gaza sono profonde e stratificate. Intendiamo parlare del massacro di Khan Younis del 1956, in cui 5mila persone persero la vita? Oppure dell’esecuzione di 35mila prigionieri di guerra da parte dell’esercito israeliano nel 1967? E la prima Intifada, in cui alla disobbedienza civile di un popolo sotto occupazione si rispose con un incredibile numero di feriti e centinaia di morti? Ancor di più, non possiamo non tener conto dei 5.420 feriti nel sud di Gaza durante le ostilità del 2000. Ma, nonostante tutto ciò, in questo articolo ci occuperemo esclusivamente dell’invasione che ha avuto luogo dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009.

Si stima che, in quei 23 giorni, siano state riversate sulla Striscia di Gaza un milione e mezzo di tonnellate di esplosivo. [1] Per dare un’idea approssimativa di ciò di cui si sta parlando, è bene specificare che il territorio in questione copre una superficie di 360 kilometri quadrati ed è la casa di 1,5 milioni di persone: è l’area più densamente popolata del mondo. Prima dell’invasione, è stata affamata per 50 giorni da un embargo commerciale ma, in realtà, fin dall’elezione dell’attuale governo è stata posta sotto vincoli commerciali. Negli anni, l’embargo è stato parziale o totale, ma mai assente.

L’occupazione si è aperta con 250 vittime in un solo giorno. Ogni questura è stata bombardata, causando ingenti perdite tra le forze dell’ordine. Dopo aver spazzato via la polizia, l’esercito israeliano si è dedicato ai bersagli non governativi. Gli elicotteri Apache e gli F16 hanno fatto piovere morte dal cielo, mentre i cannoni della marina militare hanno condotto un attacco dal mare e l’artiglieria si è occupata della terra. Molte scuole sono state ridotte in macerie, tra cui l’American School of Gaza, 40 moschee, alcuni ospedali, vari edifici dell’ONU ed ovviamente 21mila case, di cui 4mila sono state rase al suolo. Circa 100mila persone sono divenute improvvisamente senzatetto.

Le armi israeliane

Gli armamenti impiegati, oltre alle bombe e agli esplosivi ad alto potenziale convenzionali, includono anche tipologie non convenzionali. Ne sono state identificate almeno quattro categorie:

Proiettili e bombe al fosforo

I testimoni oculari affermano che alcune bombe esplodevano in quota, rilasciando un ampio ventaglio di micro-ordigni al fosforo che si distribuivano su un’ampia superficie. Durante l’invasione via terra, i carri armati erano usi sfondare le mura delle case con proiettili ordinari per poi far fuoco al loro interno con proiettili al fosforo. Questo metodo permette di scatenare terribili incendi all’interno delle strutture, ed un gran numero di corpi carbonizzati è stato rinvenuto ricoperto da particelle di fosforo incandescente. Un preoccupante interrogativo è posto dal fatto che i residui rinvenuti paiono amalgamati ad un agente stabilizzante speciale, che gli conferisce la capacità di non bruciare completamente, fino all’estinzione. I residui di fosforo ancora coprono le campagne, i campi da gioco e gli appartamenti. Si riaccendono quando i bambini curiosi li raccolgono, oppure producono fumi tossici quando i contadini annaffiano le loro terre contaminate. Una famiglia, ritornata al suo orto dopo le ostilità, ha irrigato il terreno ed è stata inglobata da una coltre di fumo sprigionata dal suolo. La semplice inalazione ha prodotto epistassi. Questi residui di fosforo trattato con stabilizzante sono, in un certo senso, un analogo delle mine antiuomo. A causa di questa costante minaccia, la popolazione (specialmente quella infantile) ha difficoltà a tornare ad una vita normale.

Dagli ospedali, i chirurghi raccontano di casi in cui, dopo una laparotomia primaria per curare ferite relativamente piccole e poco contaminate, un secondo intervento ha rivelato aree crescenti di necrosi dopo un periodo di 3 giorni. In seguito, la salute generale del paziente si deteriora ed, entro 10 giorni, necessitano un terzo intervento, che mette in luce una massiccia necrosi del fegato. Questo fenomeno è, a volte, accompagnato da emorragie diffuse, collasso renale, infarto e morte. Sebbene l’acidosi, la necrosi del fegato e l’arresto cardiaco improvviso (dovuto all’ipocalcemia) siano tipiche complicazioni nelle vittime di fosforo bianco, non è possibile attribuirle alla sola opera di questo agente.

È necessario analizzare ed identificare la vera natura di questo fosforo modificato ed i suoi effetti a lungo termine sulla popolazione di Gaza. È anche urgente la raccolta e lo smaltimento dei residui di fosforo sulla superficie dell’intera regione. Queste sostanze emettono fumi tossici a contatto con l’acqua: alla prima pioggia potrebbero avvelenare tutta la Striscia. I bambini dovrebbero imparare a riconoscere ed evitare questi residui pericolosi.

Bombe pesanti

L’uso di bombe DIME (esplosivi a materiale denso inerte) risulta evidente, anche se non è stato determinato con chiarezza se sia stato impiegato uranio impoverito nelle aree meridionali. Nelle zone urbane, i pazienti sopravvissuti mostrano amputazioni dovute a DIME. Queste ferite sono facilmente riconoscibili perché i moncherini non sanguinano ed il taglio è netto, a ghigliottina. I bossoli e gli shrapnel delle DIME sono estremamente pesanti.

Bombe ad implosione

Tra le armi usate, ci sono anche i bunker-buster e le bombe ad implosione. Ci sono casi, come quello del Science & Technology Building o dell’università islamica di Gaza, in cui un palazzo ad otto piani è stato ridotto ad un mucchio di detriti non più alto di un metro e mezzo.

Bombe silenziose

La popolazione di Gaza ha descritto un nuovo tipo di arma dagli effetti devastanti. Arriva sotto forma di proiettile silenzioso, o al massimo preceduto da un fischio, e vaporizza tutto ciò che si trova in aree estese senza lasciare tracce consistenti. Non sappiamo come categorizzare questa tecnologia, ma si può ipotizzare che sia una nuova arma a particelle in fare di sperimentazione.

Esecuzioni

I sopravvissuti raccontano di tank israeliani che, dopo essersi fermati davanti agli appartamenti, intimavano ai residenti di uscirne. Di solito, i primi ad obbedire erano i bambini, gli anziani e le donne. Che, altrettanto prontamente, venivano messi in fila e fucilati sul posto. Decine di famiglie sono state smembrate in questo modo. Nello scorso mese, l’assassinio deliberato di bambini e donne disarmate è stato anche confermato da attivisti per i diritti umani.

Eliminazione di ambulanze

Almeno 13 ambulanze sono state vittima di sparatorie. Gli autisti e gli infermieri sono stati sparati mentre recuperavano ed evacuavano i feriti.

Bombe a grappolo

Le prime vittime delle bombe a grappolo sono state ricoverate all’ospedale Abu Yusef Najjar. Più della metà dei tunnel di Gaza sono stati distrutti, rendendo inutilizzabile gran parte delle infrastrutture atte alla circolazione dei beni primari. Al contrario di ciò che si pensa, questi tunnel non sono depositi per armi (anche se potrebbero essere stati usati per trafugare armi leggere), ma per carburante ed alimenti. Lo scavo di nuovi tunnel, che ora occupa un buon numero di palestinesi, ha talvolta innescato bombe a grappolo presenti sul suolo. Questo tipo di ordigni è stato usato al confine di Rafah e già cinque ustionati gravi sono stati portati all’ospedale dopo l’esplosione di queste trappole.

Conteggio dei morti

Al 25 gennaio 2009, la stima dei morti è arrivata a 1.350. Il numero è in continua ascesa a causa della mole di feriti gravi che continuano a morire negli ospedali. Il 60% dei morti è costituito da bambini.

Il numero dei feriti gravi è di 5.450, con un 40% di bambini. Si tratta in massima parte di pazienti ustionati o politraumatici. Coloro che hanno subito fratture ad un solo arto e coloro che, pur avendo riportato lesioni sono ancora in grado di camminare, non sono stati inclusi in questo conteggio.
Nelle nostre discussioni con infermiere e dottori, le parole "olocausto" e "catastrofe" sono state spesso menzionate. Lo staff medico al completo porta i segni del trauma psicologico dovuto al lavoro frenetico dell’ultimo mese, passato a fronteggiare le masse che hanno affollato le camere mortuarie e le sale operatorie. Molti dei pazienti sono deceduti nel Reparto Incidenti ed Emergenza, ancor prima della diagnosi. In un ospedale distrettuale, il chirurgo ortopedico ha portato a termine 13 fissazioni esterne in meno di un giorno.
Si stima che, tra i feriti gravi, 1.600 sono destinati a rimanere disabili a vita. Tra questi, molti hanno subito amputazioni, ferite alla colonna vertebrale, ferite alla testa, ustioni estese con contratture sfiguranti.

Fattori speciali

Durante l’invasione, il numero dei morti e dei feriti è stato particolarmente alto a causa dei seguenti motivi:

* Nessuna via di fuga: Gaza è stata sigillata dalle truppe israeliane, che hanno impedito a chiunque di fuggire dai bombardamenti e dall’invasione terrestre. Semplicemente, non c’era alcuna via di fuga. Anche all’interno dei confini di Gaza gli spostamenti dal nord al sud sono stati resi impossibili dai tank israeliani, che hanno tagliato ogni via di comunicazione. Al contrario della guerra in Libano dell’82 e del '06, in cui la popolazione poteva spostarsi dalle aree di bombardamento massiccio a quelle di relativa sicurezza, un opzione di questo tipo era preclusa a Gaza.

* La densità della popolazione di Gaza è eccezionale. E’ inquietante notare che le bombe impiegate dall’esercito israeliano sono "ad alta precisione". Il loro tasso di successo, nel centrare palazzi affollati, è del 100%. Altri esempi? Il mercato centrale, le stazioni di polizia, le scuole, gli edifici dell’ONU (in cui gli abitanti erano confluiti per sfuggire ai bombardamenti), le moschee (di cui 40 sono state rase al suolo) e le case delle famiglie, convinte di essere al sicuro perché tra loro non si annidavano combattenti. Nei condomini, una sola bomba a implosione è sufficiente a sterminare decine di famiglie. Questa tendenza a prendere di mira i civili ci fa sospettare che gli obiettivi militari siano considerati bersagli collaterali, mentre l’obiettivo primario sia la popolazione.

* La quantità e la qualità delle munizioni sopra descritte ed il modo in cui sono state impiegate.

* La mancanza di difese che Gaza ha dimostrato nei confronti delle moderne armi israeliane. La regione non ha tank, aeroplani da guerra, nessun sistema antiaereo da schierare contro l’esercito invasore. Siamo stati testimoni in prima persona di uno scambio di pallottole tra un tank israeliano e gli AK47 palestinesi. Le forze in campo erano, per usare un eufemismo, impari.
L’assenza di rifugi antibomba funzionali a disposizione della popolazione civile. Sfortunatamente, anche se ci fossero non avrebbero alcuna chance contro i bunker-buster israeliani.

Conclusione

Se si prendono in considerazione i seguenti punti, è ovvio che un’ulteriore invasione di Gaza provocherebbe danni catastrofici. La popolazione è vulnerabile ed inerme. Se la Comunità Internazionale intende evitare ferimenti ed uccisioni di massa nel prossimo futuro, dovrà sviluppare una qualche forza di difesa per Gaza. Se ciò non accadrà, i civili continueranno a morire.

Articolo originale: 
The wounds of Gaza, «The Lancet - Global Health Network», 2 febbraio 2009.
Traduzione di Massimo Spiga per Megachip.

* «The Lancet» è la rivista medica più autorevole del mondo.

[1] Nota di Uruknet: Ovviamente la cifra di 1.500.000 tonnellate di esplosivo riversate su Gaza è assurda: vorrebbe dire una tonnellata per abitante. Anche il sito di Hamas ha valutato che Israele abbia 
sganciato 1.000 tonnellate di esplosivo durante i 22 giorni di guerra. Inoltre, nel massacro di Khan Younis del 1956 sono stati uccisi 250 palestinesi e non 5.000, e le stime sui prigionieri di guerra egiziani uccisi dagli israeliani nel 1967 sono assai varie (da 1.000 fino a quasi 10.000), ma nessuno ha mai parlato dell'esecuzione di 35.000 prigionieri arabi durante o dopo la guerra dei 6 giorni. Nonostante queste macroscopiche inesattezze, abbiamo pubblicato ugualmente l'articolo, perché i dati medici relativi all'uso di armi illegali da parte di Israele durante l'attacco a Gaza sono confermati anche da altre fonti. Inoltre i due chirurghi inglesi hanno constatato personalmente gli effetti dei bombardamenti su Gaza, e la loro scarsa conoscenza storica non influisce sulla loro competenza medica. 


Author : i Dr. Ghassan Abu Sittah e Dr. Swee Ang – «The Lancet»* - Traduzione di Megachip

Article : 9297 sent on 16-nov-2009 03:33 ECT

 
 
 
 Gaza e le stragi, l’Europa smaschera Solana
 
 
di Giulietto Chiesa - da Galatea European Magazine 25/02/09

Campione della “lingua di legno”, 
Javier Solana si è presentato al Parlamento Europeo per farsi impallinare, questa volta, praticamente da tutti, sinistra, destra, centro. 
Tema: la politica europea verso il dramma palestinese, prima, durante e dopo (cioè ora) al massacro di Gaza. Quello realizzato dal governo (uscente) di Olmert, con il consenso plebiscitario dell'opinione pubblica israeliana. 


La quale, affinché venga completato lo «schiacciamento degli scarafaggi» palestinesi, ha portato subito dopo al governo 
Netanyhau e Lieberman, cioè una destra fascista e razzista che, con ogni verosimiglianza, completerà l'opera. O proverà a farlo, mettendo nei pasticci molti suoi sempiterni alleati. Come, appunto, Javier Solana, ma anche Piero-Fassino-cuore-delicato e Walter-Veltroni-chiuso-per-fine-esercizio. Sugli scarafaggi tornerò più avanti. 
Tutti, sia detto qui per inciso e senza malizia alcuna, molto socialisti e socialdemocratici, come quel 
Barak Ehud, ministro della difesa, organizzatore del bombardamento del ghetto di Gaza. 

Ma torniamo a Solana, alto rappresentante della politica estera di un'Europa dimezzata, lui stesso dimezzato e bypassato da tutti (salvo che da Tony Blair, a sua volta nominato inviato speciale del Consiglio per il Medio Oriente, ma che non ha trovato il tempo nemmeno di andare a Gaza a dare un'occhiata alle 25 mila case distrutte, ovviamente per errore, dall'aviazione israeliana).

Solana, dunque, ha parlato come se non si fosse accorto di niente. E ha ritirato fuori dal cassetto la solita giaculatoria dei due Stati, spiegando in tre lingue, per meglio mischiare le carte, che lo Stato Palestinese dovrà essere guidato da 
Abu Mazen, fedele alleato di Israele, e vigilato dalla polizia di Al Fatah, al soldo dei servizi segreti americani e del Mossad, che l'hanno formata e armata. 

A diversi deputati è saltato il ghiribizzo di chiedere: che ne facciamo di Hamas, che ha vinto le elezioni in modo democraticamente ineccepibile, sia a Gaza che in Cisgiordania (elezioni volute, organizzate e pagate dall'Europa) ? Qui la lingua di legno di Solana ha emesso suoni sordi e quasi impercettibili, mettendo in difficoltà gl'interpreti: ma non sapete? Hamas è un'organizzazione terroristica. E, pensateci bene, non solo non riconosce l'esistenza dello Stato d'Israele, ma la minaccia. 

Non era una novità, ma sentirla dire dopo l'operazione Piombo Fuso è parso strano perfino al capogruppo liberal democratico, 
Graham Watson, persona di solito molto compassata e dal forbito parlare. Ma scusi, signor Solana, che va dicendo? Noi europei stiamo andando a discutere con un nuovo governo di destra che dichiara di non riconoscere alcun diritto ai palestinesi, che cioè ci fa sapere che non consentirà la creazione di alcuno Stato palestinese, e che ha tra i suoi ministri gente che si propone addirittura di espellere da Israele gli arabi israeliani. Per giunta abbiamo ottimi rapporti con un governo che ha praticato sotto i nostri occhi il terrorismo contro la popolazione civile. E lei ci viene a dire che non possiamo dialogare con Hamas? 

Questo il succo di Watson. Poi è venuta la gragnuola degli altri, a partire da 
Francis Wurtz, capogruppo comunisti e verdi nordici: «Ma non c'è proprio nessuno capace di dire a Israele che il troppo è troppo?» In questo caso c'è stato e la cosa stupisce un po', non essendo quel consesso un insieme di campioni di moralità oltre che di logica. Martin Schulz, che guida i socialisti, ha fatto il conto dei chilometri quadrati dei nuovi insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Ma quale Stato palestinese potrebbe ormai insediarsi su quel misero 20% di territorio che resta – si fa per dire – a disposizione di tre milioni di palestinesi? E c'è qualche segno, che Israele abbia intenzione di disoccupare ciò che occupa illegalmente dal 1967? E cosa ha ottenuto il popolo palestinese da quella formula “pace in cambio di terra”? Il risultato è stato niente terra, meno terra e niente pace. Senza tenere conto che i posti di blocco israeliani che trapuntano l'intera Cisgiordania sono oltre 660. 
E non sono stati messi lì per cerimonia. Servono a “filtrare i terroristi”, ma in realtà sono tappi che chiudono le arterie della vita palestinese, come si fa con le sorgenti d'acqua che sono tutte in mano israeliana. Il figlio che va dal padre deve chiedere il permesso, e può essere costretto ad aspettare ore o giorni. Come le merci da vendere o appena comprate, che vengono fermate anch'esse. Con il colmo di perfidia dei posti di blocco attraverso cui si può passare solo a piedi. Il carico, quale che sia, deve solana javieressere spezzettato per poter viaggiare sulle spalle, a mano, su piccole carriole. 

Così si è messa in opera l'asfissia sistematica dei palestinesi, che dura da decenni, con lo scopo, non ultimo, di umiliarli. Del resto, come disse Ariel Sharon, il popolo palestinese «non esiste». E poiché non c'è, non c'è niente a restituire a nessuno. Ma che dico? Popolo? Una mia conoscente russa mi ha raccontato di essere stata al confine della striscia di Gaza nei giorni del Natale ortodosso. Era a Gerusalemme, ospite di amici ebrei emigrati dalla Russia in Israele ai tempi della perestrojka. E sono andati tutti insieme, residenti e ospiti, a vedere il bombardamento dal di fuori, a vedere il recinto infuocato dove Israele ha rinchiuso e assediato, negli ultimi dieci mesi, un milione e mezzo di “belve feroci”.
Tanta era la paura dei razzi Qassam sparati dalle belve – mi ha raccontato Nadia – che c'erano là attorno centinaia di persone a guardare lo spettacolo dei fuochi d'artificio al fosforo bianco. Certo, non tutti i particolari più raccapriccianti potevano essere goduti da quella prospettiva. Ma la soddisfazione dei cittadini di quello che «Corriere della Sera» e «Repubblica» ossessivamente ripetono essere “l'unico paese democratico del medio-oriente”, è stata grande. L'amica russa mi ha raccontato, con un certo raccapriccio, che la sera, a cena, si è rievocata con entusiasmo la fermezza con cui il socialdemocratico Barak e la “kadimista” 
Tzipi Livni, hanno finalmente «schiacciato gli scarafaggi palestinesi» e «bruciato il formicaio di Gaza». 

Come si vede, non c'è traccia di Hamas. L'obiettivo, coralmente perseguito, era la popolazione civile. Non è bastato per fargli vincere le elezioni. Quelli che verranno dopo di loro lo faranno con maggior determinazione. 

L'Europa di Solana, che ha lasciato fare tutto questo senza muovere un dito, senza reagire, senza chiedere spiegazioni a Israele, adesso si appresta a “ricostruire”. Ma perché la ricostruzione possa avvenire esige che non un camion di soccorsi, non un mattone, passi per Hamas, cioè per il governo legittimo del palestinesi. E gli aiuti verranno filtrati da Israele, che continua a esercitare il blocco attorno a Gaza. L'Europa si ricolloca dalla parte degli aguzzini, e l'America di Barack Obama e di Hillary Clinton fa esattamente quello che faceva l'America di Bush e Cheney. 

Le parole di Javier Solana, nella vasta sala della Plenaria di Bruxelles, rotolavano innocue, rimbalzando come palline di plastica preventivamente insonorizzate. Perfino Jean Marie Le Pen, la destra francese, faceva fatica a sopportare in silenzio. E, da pizzicagnolo qual è, ha fatto un po' di conti: «Ma perché dovremmo dare altro denaro per la ricostruzione? È come buttarlo dalla finestra, visto che presto Gaza sarà distrutta di nuovo». 

Resta la domanda che aleggiava in quella sala augusta, dove, a ogni piè sospinto, qualcuno trova il tempo di ricordare che l'Europa è il luogo dove i diritti umani sono rispettati come le cose più sacre, fondatrici addirittura della comunità di individui che si vorrebbe costruire: che ne sarà dei palestinesi? Sono stati collettivamente puniti perché hanno votato per Hamas, cioè per l'unica forza politica che ha scelto di difenderli dal sopruso e dall'eccidio. Certo non sta scritto da nessuna parte che un popolo troverà sempre la forza di difendersi. Ci sono stati popoli che sono stati conquistati, demoliti, annientati. L'Europa coloniale è stata capace di questo ed altro. È chiaro che Israele pensa di riuscirci: a cacciarli via dalla terra che i sionisti credono che sia stata loro data niente meno che da Dio in persona. E quindi non la divideranno mai con nessuno. 

Se così stanno le cose, sarebbe saggio, da parte dell'Europa, mettere in conto l'ipotesi di dover ingoiare altri massacri, sempre più feroci. Oppure cominciare a capire che bisogna dire basta a Israele, perché non potrà venire dall'interno nessun invito alla moderazione. E non si dimentichi che Netanyhau ha dichiarato, fin dal momento in cui ha ricevuto il mandato, che l'Iran costituisce la più grande minaccia all'esistenza di Israele da quando Israele esiste. È il programma di una guerra molto più grande, incomparabilmente più impegnativa che quella di schiacciare scarafaggi. Se restiamo in silenzio adesso sarà inevitabile prepararsi a quella, che ci riguarderà da vicino. 


Su Pandora TV: gli interventi dei gruppi parlamentari a Bruxelles sulla questione mediorientale durante la plenaria del 18 febbraio 2009. [
vedi il video]