Torino: cacerolazo alla villa di Baldacci, responsabile del cpt



Torino: cacerolazo alla villa di Baldacci, responsabile del cpt

 

La morte di un immigrato tunisino dentro il cpt di Corso Brunelleschi a Torino è di quelle che lasciano il segno. Il segno feroce di un’epoca dove puoi morire come un cane, lasciato senza cure dentro una galera per gente senza documenti.

 

Questa mattina, in un due giugno gonfio di pioggia, un gruppo di antirazzisti torinesi ha deciso di fare una gita in collina.

Tra le villette di via Zandonai a Chieri, una zona residenziale alle porte di Torino, c’è anche quella di Antonio Baldacci, colonnello e medico della Croce Rossa, responsabile clinico del Cpt di Torino, che all’indomani della morte di Hassan tra le mura della struttura da lui diretta, aveva dichiarato che i suoi “ospiti” sono “clandestini abituati a dire bugie. Per loro è facile ed abituale non dire la verità. Non vedo perché si debba credere alle storie che raccontano. Vogliono solo creare il caos.” Con queste affermazioni razziste e feroci Baldacci pensava di chiudere la partita, seppellendo sotto una coltre di menzogne la storia di un uomo, morto perché la Croce Rossa non ha ascoltato le grida dei prigionieri del cpt, che, nella notte tra il 23 e il 24 maggio, hanno inutilmente invocato aiuto per il loro compagno agonizzante nella sua branda.

Ma la voce degli immigrati, le loro dolenti testimonianze, hanno passato il muro, sono state raccolte e amplificate da chi non si rassegna alle deportazioni, alle botte, alla reclusione dei migranti, di chi non si rassegna ad un tempo che si vorrebbe all’insegna della guerra tra poveri.

Per una settimana si sono susseguite le iniziative di solidarietà ai prigionieri del cpt, che la sera dopo la morte di Hassan hanno dato vita ad una rivolta, spaccando i materassi, minacciando il suicidio. Per tre giorni è andato avanti lo sciopero della fame.

Ma la repressione non si è fermata.

La mattina di giovedì quattro immigrati sono stati deportati. Tra loro c’è Said, il ragazzo che il venerdì precedente aveva tentato la fuga e si era guadagnato un robusta dose di botte. Si tratta di una espulsione anomala, partita a metà mattinata mentre, di solito, questi lavori sporchi vengono effettuati nel silenzio dell’alba.

Il motivo è chiaro: togliere di mezzo i testimoni scomodi e far sparire in fretta un ragazzo che portava sul volto i segni della democrazia.

Inizia subito una corsa un po’ matta contro il tempo e la repressione. Partono gli sms con i numeri di telefono del CPT e delle linee aeree, che vengono subito intasati dalle chiamate dei tanti che rispondono all’appello. Chi può e chi vuole corre davanti al nuovo ingresso del CPT, in via Mazzarello. Piove a dirotto, come quasi sempre in questa storia di Torino, troppo simile alle storie di ogni dove, in questo tempo di guerra contro gli ultimi. Troppo tardi. I quattro sono a Malpensa in attesa dell’imbarco forzato: qualche chiamata dell’ultimo minuto, il fax di un avvocato che tenta in extremis di fermare la deportazione, poi i telefoni tacciono e cala il silenzio.

Sabato 31 è il giorno delle manifestazioni. In mattinata giunge la notizia dell’ennesima violenza: due immigrati dentro al cpt vengono pestati duramente dalla polizia. Uno viene denudato, ammanettato mani e piedi e poi picchiato con i manganelli. Pare avessero cercato di saltare il muro per riprendersi la libertà. Hanno avuto la loro dose di democrazia.

Nel pomeriggio in centinaia manifestano in corteo verso il cpt, mentre in contemporanea, davanti al lager, un presidio mantiene viva la comunicazione solidale con gli immigrati al di là del muro.

 

Così questa mattina – festa della Repubblica delle guerre e delle deportazioni - è parso naturale andare a casa di Baldacci, il responsabile del cpt, l’uomo che ritiene che la parola di trenta immigrati non valga nulla.

Baldacci è a capo di una struttura dove un uomo è morto per mancanza di cure.

Baldacci è un medico che di mestiere fa l’aguzzino, gestendo una prigione per conto di un’organizzazione umanitaria che tiene uomini e donne chiusi come cani. Trattati peggio.

Il gruppo di antirazzisti torinesi ha deciso di raccontare ai suoi vicini di casa chi fosse il rispettabile medico della casa accanto. Si arriva battendo pentole e coperchi, suonando fischietti e gridando slogan. Suoniamo alla porta dei vicini, parliamo con quelli che si affacciano curiosi dai giardinetti delle loro ville, raccontiamo la storia di Hassan – Fathi, il tunisino morto al cpt, raccontiamo di Said, pestato e deportato, dei due anonimi pestati a sangue sabato mattina. Parliamo dei tanti che vengono imbottiti di psicofarmaci per farli stare “calmi”, perché non urlino la loro protesta, perché tacciano di fronte ai soprusi. Baldacci non si fa vedere, forse è al CPT, forse è chiuso in casa, dietro al cancello della sua bella villetta, dove ringhiano due cani da guardia. Suo figlio chiama i carabinieri. Nel giro di un’ora la via si riempie di uomini della polizia politica, la Digos, tra cui tre funzionari in giacca e cravatta arrivati di corsa dalle celebrazioni del 2 giugno. La protesta si protrae sino all’una, quando gli antirazzisti, gridando “assassino”, si allontanano.

 

Il muro del cpt di Torino è sporco, grigio, alto.

Rompere il silenzio sulle violenze e le deportazioni è il primo passo per tirarlo giù.

La lotta continua domani…

 

Per approfondimenti sulla vicenda:

Cfr. Morte al Cpt: la sicurezza che uccide. Come i cani al canile in Umanità Nova n. 20 del 1 giugno 2008 http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2008/un20/art5315.html

 

Per info:

Federazione Anarchica Torinese – FAI

Corso Palermo 46

La sede è aperta ogni giovedì dalle 21

fat at inrete.it

338 6594361