Lettera aperta di Giancarlo Bocchi sulla censura in televisione



Lettera aperta di Giancarlo Bocchi  al direttivo di Doc/it


Sulla censura in televisione e sul diritto morale degli autori all'
integrità dell' opera.


Nel corso del  recente tentativo di censurare o d' impedire la messa in
onda in Rai del documentario della BBC sui preti accusati di pedofilia, la
dirigenza di Doc/it, l' associazione dei documentaristi italiani,  è
rimasta  in un agghiacciante silenzio.
Non sono stupito che la dirigenza di Doc/it non abbia protestato per il
violento tentativo di censura clericalpolitica, né sono rimasto
particolarmente colpito che l' associazione non abbia sentito il dovere di
chiedere ufficialmente alla Rai la trasmissione integrale del documentario
senza  interruzioni "giornalistiche" in studio.
Non si tratta di giudicare l'importanza o il valore di un singolo
documentario, ma di mettere in discussione un sistema e dei modi di agire.
Come tutti sappiamo, le redazioni del servizio pubblico televisivo italiano
usano da anni  i documentari internazionali (e a volte nazionali) come
farcitura pregiata dei loro pastoni giornalistici.
In questo modo, e forse senza rendersene conto, i giornalisti televisivi
manifestano la loro incapacità e al contempo azzannano e fagocitano il
modestissimo spazio dedicato dal servizio pubblico televisivo italiano ai
documentari.
In tutti questi anni la dirigenza di Doc/it  non ha mosso un dito, non ha
elevato alcuna protesta di fronte ad un cannibalismo mediatico che non ha
confronti nel panorama europeo e mondiale.
Le recenti polemiche sul documentario dei preti pedofili hanno messo in
evidenza anche un' altra stortura  del sistema televisivo italiano: i
documentari  hanno fatto  aumentare  l' audience o migliorato molti
"contenitori" giornalistici.
Sono convinto che se il servizio pubblico televisivo italiano mettesse in
onda, con la dovuta promozione,  uno dei tanti documentari acquistati dalla
Rai per farli sparire nel nulla o per farne uno spezzatino "giornalistico",
ad esempio il documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dall'
Esercito italiano nei balcani durante la Seconda guerra mondiale, l'
audience sarebbe sicuramente sorprendente.
In questo senso la dirigenza di Doc/it  non ha mai evidenziato, come
avrebbe dovuto fare in innumerevoli e quanto mai inutili convegni, che i
funzionari del servizio pubblico televisivo mentono sapendo di mentire
quando dicono che i documentari non fanno  audience.
Sono questi dirigenti Rai che non fanno audience, non i documentari.
Così con la scusa dell' audience, che nasconde in realtà storiche volontà
censorie ed editoriali, il servizio pubblico radiotelevisivo italiano
continua a spezzare, a frantumare, a uccidere  i documentari.
In realtà il diritto morale all' integrità dell' opera vale, non solo per
le opere cinematografiche, ma anche per i documentari.
A quanto pare le leggi in Italia si applicano solo al cinema (non sempre) e
non ai documentari, anche se un diritto, occorre ricordare, non può essere
derogato  per contratto.
In questo senso il servizio pubblico televisivo italiano  ignora
contemporaneamente sia i  diritti dei cittadini ad essere correttamente e
pienamente  informati, ma anche i diritti degli autori alla tutela dell'
integrità dell' opera .
Questa situazione scandalosa  non è mai stata  denunciata nei termini e
nelle modalità dovute dalla dirigenza di Doc/it ,  che invece ha tenuto in
questi anni nei confronti del servizio pubblico televisivo italiano un
comportamento che assomiglia  molto alla complicità o alla connivenza.
Nel passato la dirigenza di Doc/it, a parte qualche lettera di circostanza,
non ha fatto nulla di concreto per opporsi scandalosa prassi di triturare,
di annientare i documentari e tanto meno  ai numerosi efferati tentativi di
censurare autori italiani e stranieri.
Gli interessi di tre o quattro produttori associati a Doc/it, che hanno
proficui e continuativi rapporti economici con certi dirigenti Rai, non
possono pregiudicare  il bene comune, gli interessi,  il lavoro, la volontà
di tanti autori, produttori e lavoratori del settore del documentario .
Voglio in questo senso  ricordare che i dirigenti passati (e alcuni
presenti) di Doc/it, per assecondare le mire di tali produttori, in
occasione della firma dello sciagurato "contratto quadro con Rai Tre ", non
fecero  nulla per opporsi e per far modificare il contratto di
distribuzione internazionale di Raitrade dove era codificato uno
stupefacente  "diritto di censura fino a 5 minuti di durata".
In quell' occasione lo scrivente fu l'unico produttore (e autore) che
rifiutò di firmare  tale contratto e rinunciò al relativo acconto di alcune
decine di milioni di lire. Per questa  mia azione solitaria in difesa dell'
etica e dei diritti d'espressione, e quindi dei diritti di tutti, ancora
oggi, a distanza di anni, continuo a subire molestie di ogni genere.
Devo anche aggiungere che la dirigenza di Doc/it , da me più volte
avvertita dei fatti, si guardò bene dall' avvertire gli autori associati
che era stato sottoscritto dai  produttori un contratto che limitava  il
diritto morale all' integrità dell' opera.
Chi sostiene di rappresentare il mondo del documentario ha dei doveri e
degli obblighi etici e morali ai quali non si può sottrarre per nessun
motivo .
Al peggioramento avvenuto negli ultimi anni dei comportamenti e degli usi
in voga nel servizio pubblico televisivo italiano la dirigenza Doc/it  ha
perlomeno  contribuito con un complice silenzio.
Voglio ricordare agli associati e alla dirigenza di Doc/it che la Rai
radiotelevisione italiana è interamente posseduta dallo Stato italiano.
Con la firma della Convenzione dei Diritti dell' Uomo e delle libertà
fondamentali lo Stato italiano si è impegnato a rispettare i diritti d'
espressione e a limitare la censura  al solo aspetto delle norme sul buon
costume .
Come autori, ma prima di tutto come cittadini, abbiamo il dovere civile di
batterci contro ogni forma di censura affinché nel nostro paese siano
rispettati i diritti d' espressione e la libertà di tutti di vedere,
apprendere e conoscere .
Proprio per questo, quelli che credono nell' etica  del lavoro di
documentaristi devono far sentire la loro voce alta e forte e non devono
più subire comportamenti dovuti all'inerzia, all'opportunismo  e alla
connivenza.


Giancarlo Bocchi