Poligamia e violenza a Roma



Il primo matrimonio con una ragazza marocchina nel 1987. Nel 2001 le seconde nozze in Egitto.
Poi ha costretto le donne a vivere insieme
Najat e Yamna, le due mogli : Poligamia e violenza a Roma
Il marito, egiziano, è sparito con due dei sei figli
di
Magdi Allam
 
La prima moglie si è rivolta a un centro anti- violenze per denunciare le gravi lesioni fisiche subite in parti vitali del proprio corpo e poi il sequestro dei due figli minori. La seconda moglie è fuggita con i suoi due figli e si è rifugiata in un centro di accoglienza per donne in difficoltà. Lui è egiziano, loro sono marocchine, in tutto sei figli, nati in Italia. Una tragica storia di poligamia, violenza, miseria e disperazione. Succede a Roma. Ma sono numerosi i casi simili nel nostro Paese. Proprio mentre il Parlamento si appresta a varare una legge sulla libertà religiosa che di fatto legittima il matrimonio islamico. Najat Hadi aveva 26 anni quando nel 1987 venne a Roma per turismo: «Mi ero concessa una vacanza. Da dieci anni lavoravo come governante all'Hotel Sahara di Agadir, un albergo a 5 stelle. Economicamente stavo bene. Ci siamo conosciuti a un bar. Lui mi ha fatto la corte e mi ha detto che insieme avremmo fatto una bella vita. Abdel Ati Ali Keshk, più grande di quattro anni, diplomato in ragioneria, faceva il pizzaiolo. Gli ho creduto e ci siamo sposati». Il matrimonio si celebrò nella moschea di via Bertoloni gestita all'epoca dall'imam egiziano Ismail Nur El-Din: «L'imam aveva provveduto ai due testimoni, suo figlio e un suo amico. Poi ci recammo all'ambasciata egiziana e, sempre alla presenza di due testimoni, il matrimonio fu lì registrato.
Poi il certificato fu tradotto in italiano e fatto registrare all'Anagrafe di Roma». All'inizio il sodalizio funzionava abbastanza bene: «Ma presto insorsero dei problemi. Non voleva assolutamente che io potessi rendermi autonoma guadagnando dei soldi. Si divertiva, perfino con i nostri bambini, a farsi implorare perché ci desse i soldi. Quando li concedeva, era come se ci facesse l'elemosina. In 19 anni sono andata una sola volta a trovare i miei familiari in Marocco. Mio padre è morto sei anni fa e lui non mi ha permesso di partecipare ai funerali». Che si trattasse di un pretesto è evidente dal fatto che i soldi per andare in Egitto li trovava sempre: «Lui è di Damanhur, vicino ad Alessandria. Ci siamo andati spesso. Vi ho pure soggiornato per anni. La mia primogenita Fatema vi ha fatto le elementari. Lui insisteva perché stessi il più a lungo possibile in Egitto. Diceva che in tal modo i figli, tutti nati in Italia tranne Mariam, sarebbero cresciuti secondo i precetti della religione islamica e la consuetudine della società araba. Di fatto ci aveva segregato in Egitto, nell'appartamento dei suoi genitori, mentre lui viveva stabilmente in Italia». Non trascorse molto prima che Abdel Ati mostrasse il suo volto violento: «Bastava un nulla perché lui mi picchiasse con una ferocia illimitata. Mi ha ripetutamente preso a calci e a pugni, mi ha sbattuto la testa per terra, mi ha colpito con tale accanimento da perforarmi l'orecchio. La prima volta che fui ricoverata al Pronto Soccorso avevo una ferita alla testa e gli occhi insanguinati. Mi ha abbandonata lì da sola. Mi hanno messo dieci punti in testa. Poi mi ha costretta a ritirare la denuncia, minacciando di portarmi via i bambini. E una volta dimessa fui indotta a sottomettermi alla sua volontà, tornai in Egitto e ci rimasi per sei mesi. Fu al ritorno a Roma che scoprii la ragione di tanta insistenza e violenza: l'ho trovato insieme a una prostituta polacca. I miei vicini mi dissero che aveva trasformato la casa in un bordello. Lui non si scompose: "Visto che non c'eri, avevo bisogno di altre donne". Eppure sono stata costretta a perdonarlo per poter far rientrare dall'Egitto i miei figli». Poi c'è stata una sorta di redenzione: «Nel 1995 mio marito andò in pellegrinaggio alla Mecca. Mi disse che voleva cambiare vita. Cominciò a pregare. Io gli credetti. Intanto era nata Mariam, a cinque anni di distanza da Mouhamed. Nel 1999 nacque il quarto figlio, Abdel Rahman. In Egitto ordinò al padre di requisire tutti i nostri passaporti.
Quando mi ribellai, suo padre e sua sorella mi picchiarono. Fu lì che mio marito mi lacerò i seni con un bastone appuntito». L'illusione svanì definitivamente nel 2001: «Quell'anno sposò Yamna Oukhira, aveva 35 anni, era anche lei marocchina. Lo scoprii tornando dall'Egitto. Lui l'aveva portata a casa nostra mentendo a entrambe. Io le dissi: "Che ci fai a casa mia?". Lei con fare sicuro: "Io sono sua moglie". Ribattei: "Ma lo sai che ha già 4 figli?". Lei sgomenta: "No". Le ordinai: "Tu devi andare via da questa casa. Non c'è spazio. C'è una sola camera dove dormo io con i quattro figli. Se siete sposati secondo il rito islamico, allora deve trovarti un'altra casa". Finii all'Ospedale Gemelli per un esaurimento nervoso: sono stata troppo male, avevo la febbre e ho tremato in continuazione per venti giorni. Ma anche stavolta l'ho perdonato per i miei figli. Alla fine Yamna è scappata con i due figli avuti con Abdel Ati, Ahmed e Zeinab. Ha trovato rifugio in una Casa di accoglienza per donne vittime di violenza familiare». Lo scorso 26 settembre, mentre Najat e i figli si trovavano nella moschea Al Houda di Centocelle per consumare il pasto offerto in occasione del Ramadan, il marito arrivò e si portò via i figli minori, Mariam e Abdel Rahman: «Sono disperata. Non riesco più a dormire. Vi supplico, aiutatemi a riaverli». Sembra che Abdel Ati sia fuggito in Egitto, forse insieme ai figli. Del caso si sta occupando l'Acmid- Donna, l'Associazione delle donne marocchine in Italia, la cui presidentessa Souad Sbai ha promosso un'azione legale a sostegno di Najat. Ma il problema della poligamia non si esaurisce in singoli casi umani ancorché drammatici. Si tratta di una minaccia seria all'istituto della famiglia monogamica su cui si regge la civiltà occidentale. E che paradossalmente trova conforto nella proposta di legge all'esame del Parlamento, denominata «Norme sulla libertà religiosa e abolizione della legislazione sui culti ammessi», il cui articolo 11 afferma che il ministro di culto islamico non sarà tenuto a pronunciare, durante il rito in moschea, gli articoli del codice civile sulla parità di diritti e doveri tra marito e moglie (143, 144 e 147 del codice civile), «qualora la confessione abbia optato per la lettura al momento della pubblicazione». Così come sorprende il fatto che interi passaggi dell'articolo 11 corrispondano a quelli contenuti nella bozza d'Intesa con lo Stato redatta dall'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), in cui si chiede la legittimazione della poligamia che, non a caso, caratterizza lo status familiare di diversi dirigenti dell'Ucoii. Allora, ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, diamo una mano a Najat perché riabbia i figli sequestrati dal padre, ma occupiamoci tutti insieme della minaccia insita nell'istituto della poligamia che insidia la nostra civiltà.
27 novembre 2006