06/09 Bologna: "Palla Prigioniera"



Carceri, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, C.P.T una partita da giocare sul
campo dei diritti


Partecipano all'incontro
Donatella draghetti
responsabile UISP Provinciale
progetto le porte aperte: Lo sport conte ponte tra il carcere e la società

Vincenzo Scalia
Presidente Associazione Antigone
Un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Rocco Canosa
Presidente Nazionale di Psichiatria Democratica vecchie e nuove esclusioni

Elisa betta Laganà
Presidente SEAC
carceri e volontariato

Elisabetta Calari
Presidente Altercoop
lavoro e carcere:un'esperienza possibile

Raffaele Dovenna
Responsabile programma internazionale dell'ANPIS Italia - Argentina: Una
partita da vincere insieme



moderatore della serata : Daniele Barbieri giornalista del settimanale CARTA
Sono state invitate: Adriana Scaramuzzino (vice sindaco di Bologna),
Emanuela Ceresani (direttrice carcere della Dozza) e Paola Ziccone
(direttrice carcere minorile del Pratello)







Anpis e uisp  per una riflessione attorno alla questione  Carceri, Ospedali
Psichiatrici Giudiziari e Centri di PermanenzaTemporanea.
L'ANPIS e la UISP attraverso lo sport perseguono l'obiettivo
dell'inclusione sociale utilizzando l'attività sportiva per creare
occasioni di conoscenza, costruire legami sociali e sviluppare una cultura
della solidarietà e dell'accoglienza. Quest'anno l'A.N.P.I.S. Emilia
Romagna e la UISP all'interno dello spazio della festa provinciale
dell'Unità 2005,  hanno voluto,  usando lo sport come pretesto, aprire una
riflessione attorno alla questione delle carceri, degli Ospedali
Psichiatrici Giudiziari dei CPT partendo dall'esigenza inderogabile,.di
interpretare l'esperienza detentiva alla luce dei diritti e delle garanzie
, quale occasione per costruire percorsi volti alla promozione sociale
delle persone detenute, alla ricostruzione di progetti di vita inseriti
fortemente in un contesto comunitario ed alla modificazione della
rappresentazione sociale della persona detenuta operando in stretta
collaborazione con la società civile
Esiste un pericolo reale che il carcere divenga specchio di una società che
aderisce e si conforma ad un modello di sviluppo neo liberista in cui sono
i parametri economici a definire i valori di riferimento. I diritti delle
persone divengono secondari rispetto alla ricerca di margini sempre più
ampi di profitto ed i percorsi identitari delle persone risentono delle
esigenze che pone l'economia globalizzata. Il rischio è la rottura dei
legami sociali e delle reti solidali come fondamento dell'identità sociale
delle persone e l'affermazione di comportamenti individualistici, ad alto
tasso di competizione.
Una società come questa ha bisogno di Manicomi e carceri che rinchiudano le
persone dalle quali bisogna difendersi perché ritenute pericolose.
Il carcere in questa versione punitiva e securitaria riprodurrebbe le
stesse logiche che sono appartenute e che hanno fondato l'esperienza
dell'istituzione manicomiale: la separazione tra il dentro e il fuori, una
visione dicotomizzata dell'esistenza, tra bene e male, tra sano e perverso,
tra capace ed incapace, responsabile ed irresponsabile.
La separazione dalla società a cui induce tale visione costituisce un forte
elemento ostacolante  per la costruzione di un possibili percorsi tesi al
reinserimento sociale della persona detenuta poiché evoca vissuti e
rappresentazioni personali inestricabilmente legati a sentimenti di
fallimento sociale, tende alla  riproduzione all'infinito l'identità di
deviante ed alimenta una rappresentazione collettiva della persona detenuta
come socialmente pericolosa, lontana dalla possibilità di essere riaccolta
all'interno del contesto sociale . Superata la visione dicotomica di una
mente separata dal corpo, si può affermare diversamente che è il nostro
corpo, il suo muoversi in mezzo agli altri, in un specifico luogo
all'interno di una certa qualità di relazione ed  in funzione di un
determinato progetto, che definisce il nostro essere. Un corpo rinchiuso,
offeso, immobilizzato ristretto nella sua capacità di promuovere incontri,
relazioni, fantasie, desideri, pensieri progetti è un corpo che
inesorabilmente si ammala è un corpo che rischia di dimenticare
pericolosamente la sua fondamentale funzione di strumento di nutrimento per
la mente. Ma il corpo è anche il luogo materiale in cui si deposita la
nostra memoria storica, la base del nostro esistere.
Un corpo....non sollecitato, un corpo costretto, immobilizzato è un corpo
che rischia di ammutolirsi, rischia di "non parlarci più" di perdere la
possibilità di attingere al proprio passato e la possibilità di fondare un
futuro credibile partendo dalla memoria che si racchiude in ogni sua piega
mettendo in pericolo la salute mentale delle persone.
Lo sport diviene in questo senso una pratica necessaria all'interno degli
spazi ristretti di un carcere poiché va incontro ad una esigenza
fondamentale della persona di dare significato e senso alla propria
esistenza, uno strumento importante all'interno dei percorsi di
reinserimento nella società, un'occasione che alimenta, attraverso
l'incontro tra il dentro ed il fuori, l'idea indispensabile che nonostante
la pena egli faccia parte di una comunità e che ad essa non è estraneo e
che si configura come un'opportunità per la comunità stessa di rimuovere e
fare i conti con le proprie visioni pregiudiziali, solitamente fortemente
stigmatizzanti dell'uomo o della donna detenuti al fine di scoprire che
dietro ogni persona c'è una storia e non solo un delitto.
Occuparci di carceri e di  detenzione, in questo modo,  significa anche
pensare a noi, a quale futuro vogliamo costruire ed in quale mondo
intendiamo vivere.
ALLORAŠCI RIGUARDA!!