“Siamo tutti in pericolo”, di Furio
Colombo http://www.pasolini.net/omicidio_stampa-9maggio2005.htm#furiocolombo
[Si tratta del testo integrale
dell’intervista di Furio Colombo a Pier Paolo Pasolini pubblicato sull’inserto
“Tuttolibri” del quotidiano “La Stampa” l’8 novembre del 1975, ripubblicato
dall’Unità del 9 maggio 2005 quasi del tutto integralmente ]
Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre, fra le 4 e le 6 del
pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare
che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti
alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con
persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo
alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha
detto che non aveva importanza, ha cambiato discorso, poi qualcosa ci ha
riportati sull’argomento di fondo che appare continuamente nelle risposte che
seguono. «Ecco il seme, il senso di tutto - ha detto - Tu non sai neanche chi
adesso sta pensando di ucciderti. Metti questo titolo, se vuoi: “Perché siamo
tutti in pericolo”».
Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte
versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose,
istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il
discorso io dirò «la situazione», e tu sai che intendo parlare della scena
contro cui, in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La
«situazione» con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di
essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti?
Gli strumenti sono della «situazione». Editoria, cinema, organizzazione, persino
gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto
scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi?
Intendo mezzi espressivi, intendo...
Sì, ho capito. Ma io non
solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma
perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa.
In piccolo un buon esempio ce lo danno i radicali, quattro gatti che arrivano a
smuovere la coscienza di un Paese (e tu sai che non sono sempre d’accordo con
loro, ma proprio adesso sto per partire, per andare al loro congresso). In
grande l’esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto
essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno
fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli
assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non
piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo» non di buon senso.
Eichmann, caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato?
Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era
solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici,
a me quell’Himmler non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora
nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure
si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava, una volta al
giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati quando sarebbero state più
funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina.
Allora i discorsi sono tre. Qual è, come tu dici, «la situazione», e perché si
dovrebbe fermarla o distruggerla. E in che modo.
Ecco, descrivi allora la «situazione». Tu sai benissimo che i tuoi
interventi e il tuo linguaggio hanno un po’ l’effetto del sole che attraversa la
polvere. È un’immagine bella ma si può anche vedere (o capire)
poco.
Grazie per l’immagine del sole, ma io pretendo molto
di meno. Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia. Qual è
la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane
macchine che sbattono l’una contro l’altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo
l’orario ferroviario dell’anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma
strano, ma questi due treni non passano di li, e come mai sono andati a
fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato
o c’è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto
il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a
parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E facile, è
semplice, è la resistenza. Noi perderemo alcuni compagni e poi ci organizzeremo
e faremo fuori loro, o un po’ per uno, ti pare? Eh lo so che quando trasmettono
in televisione Parigi brucia tutti sono lì con le lacrime agli occhi e una
voglia matta che la storia si ripeta, bella, pulita (un frutto del tempo è che
«lava» le cose, come la facciata delle case). Semplice, io di qua, tu di là. Non
scherziamo sul sangue, il dolore, la fatica che anche allora la gente ha pagato
per «scegliere». Quando stai con la faccia schiacciata contro quell’ora, quel
minuto della storia, scegliere è sempre una tragedia. Però, ammettiamolo, era
più semplice. Il fascista di Salò, il nazista delle SS, l’uomo normale, con
l’aiuto del coraggio e della coscienza, riesce a respingerlo, anche dalla sua
vita interiore (dove la rivoluzione sempre comincia). Ma adesso no. Uno ti
viene incontro vestito da amico, è gentile, garbato, e «collabora» (mettiamo
alla televisione) sia per campare sia perché non è mica un delitto. L’altro - o
gli altri, i gruppi - ti vengono incontro o addosso - con i loro ricatti
ideologici, con le loro ammonizioni, le loro prediche, i loro anatemi e tu senti
che sono anche minacce. Sfilano con bandiere e con slogan, ma che cosa li separa
dal «potere»?
Che cos’è il potere, secondo te, dove è, dove sta, come lo
stani?
Il potere è un sistema di educazione che ci divide
in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci
forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché
tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le
mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa uso quella.
Altrimenti una spranga. E quando uso una spranga faccio la mia violenza per
ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù
volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono
buono.
Ti hanno accusato di non distinguere politicamente e ideologicamente, di
avere perso il segno della differenza profonda che deve pur esserci fra fascisti
e non fascisti, per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo
dell’orario ferroviario dell’anno prima. Hai mai visto quelle marionette che
fanno tanto ridere i bambini perché hanno il corpo voltato da una parte e la
testa dalla parte opposta? Mi pare che Totò riuscisse in un trucco del genere.
Ecco io vedo così la bella truppa di intellettuali, sociologi, esperti e
giornalisti delle intenzioni più nobili, le cose succedono qui e la testa guarda
di là. Non dico che non c’è il fascismo. Dico: smettete di parlarmi del mare
mentre siamo in montagna. Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è la voglia di
uccidere. E questa voglia ci lega come fratelli sinistri di un fallimento
sinistro di un intero sistema sociale. Piacerebbe anche a me se tutto si
risolvesse nell’isolare la pecora nera. Le vedo anch’io le pecore nere. Ne vedo
tante. Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già detto a Moravia: con la vita che
faccio io pago un prezzo... È come uno che scende all’inferno. Ma quando torno -
se torno - ho visto altre cose, più cose. Non dico che dovete credermi. Dico che
dovete sempre cambiare discorso per non affrontare la
verità.
E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato
questa parola. Volevo dire «evidenza». Fammi rimettere le cose in ordine.
Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge
tutti dentro l’arena dell’avere tutto a tutti i costi. In questa arena siamo
spinti come una strana e cupa armata in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno ha
le spranghe. Allora una prima divisione, classica, è «stare con i deboli». Ma io
dico che, in un certo senso tutti sono i deboli, perché tutti sono vittime. E
tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di
avere. L’educazione ricevuta è stata: avere, possedere,
distruggere.
Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci
tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque,
consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno
non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo
popolare, cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una
grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli
tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e
neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè
me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono
cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i
dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più.
Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa
grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio
di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti
di noi sognavano (ripeto: leggere l’orario ferroviario dell’anno prima, ma in
questo caso diciamo pure di tanti anni prima) c’era il padrone turpe con il
cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che
chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht,
insomma.
Come dire che hai nostalgia di quel mondo.
No! Ho
nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone
senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva
colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone,
altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa
ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei».
Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse - se ha ancora
un soffio di vita - in quel che gli diranno i dottori sulla sua possibilità di
vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto.
Bada bene che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai
la catena causa effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi
sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la «situazione». È come quando
in una città piove e si sono ingorgati i tombini. l’acqua sale, è un’acqua
innocente, acqua piovana, non ha né la furia del mare né la cattiveria delle
correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. È la
stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e delle musichette del
«cantando sotto la pioggia». Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io
dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta qui e una là.
Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti
annegati.
E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo,
ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una
stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori
disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia.
Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo) Ditemi voi una
altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente
oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende
che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e
in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una
delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire
fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di
altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. È vero che sogna la sua
uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua
voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte
ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di
chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete,
con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i
grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e
sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando
potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra
un’altra, delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire
che accadano certe cose, si trova pace fabbricando
scaffali.
Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche
tu. I libri per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si
angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua
visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa
frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la repressione «più
avanzata»...
Che mi fa rabbrividire.
Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere.
Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri
come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come
animi il tuo presepio?
Credo di essermi già
spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare
però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la
situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto
con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena,
che non conoscono la stessa gente, che non ascoltavano le stesse voci. Per
voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e
intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di
esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello
benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le
fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. È un
nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno
stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco prima di tutto bisognerà
fare non solo quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici
con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese
stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli
esperti di tutti i generi.
Perché pensi che per te certe cose siano talmente più
chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin
troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci
sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io
continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se
tu vedi la vita così - non so se accetti questa domanda - come pensi di evitare
il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile
prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le
domande.
«Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare,
fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa
in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che
parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani
mattina».
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile
prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le
domande. «Ci sono punti che mi sembrano un po’ troppo assoluti. Fammi pensare,
fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa
in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che
parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani
mattina».
Il giorno
dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio
della polizia
«Ora fuori
la verità su quel clima d'odio». Intervista di Luca Gelmini a Guido
Calvi Il Corriere della Sera, 9 maggio
2005
http://www.pasolini.net/omicidio_stampa-9maggio2005.htm#furiocolombo
Guido Calvi è senatore dei Ds ed è stato avvocato di parte
civile della famiglia Pasolini.
Senatore, dopo 35 anni è ufficialmente
riaperto il caso Pasolini. Soddisfatto?
«Era
inevitabile che accadesse. Riaprire un fascicolo su quella vicenda era un atto
doveroso innanzitutto dal punto di vista giuridico».
E adesso che l'indagine, contro ignoti, è
stata riavviata?
«Stavolta ci sono elementi
indizianti molto seri per avvicinarci alla verità su un delitto tanto
oscuro».
Le prossime mosse?
«Si deve
ripartire da Pelosi e dalle sue ultime dichiarazioni».
Si riferisce alla clamorosa ritrattazione di
Pino Pelosi, condannato per l'omicidio del poeta. Pelosi ha chiamato in causa
dei complici. Il fatto che lo abbia fatto in tv dopo 30 anni di silenzio
non è un po' anomalo?
«Può essere anomalo, ma trovo
più anomalo il fatto che all'epoca siano state condotte indagini pessime, anzi
che indagini vere non furono mai fatte».
La sua è un'accusa molto grave per gli
inquirenti di allora.
«Nel luogo del delitto vi
erano tracce, orme, indizi, impronte digitali. E’ stato tutto buttato via,
gettato a mare. Perfino il dato più elementare, quello di circoscrivere il luogo
dell'omicidio, è stato colpevolmente trascurato. Cose da paese del terzo mondo,
di una inciviltà giuridica senza precedenti. Se dopo 30 anni si può rimediare a
quell'incuria…».
Dopo 30 anni sarà dura, o no?
«Almeno ci tentiamo. Ma mi faccia dire. La macchina di
Pasolini fu lasciata in un cortile per quattro giorni sotto la pioggia. Si
prese per buono Pelosi e quello che diceva, perché faceva comodo. Durante
l'istruttoria i periti non videro nemmeno le foto della scena del delitto. In
dibattimento fu il nostro consulente a telefonarmi di notte e rivelarmi certi
particolari. In quelle istantanee c'era la traccia del pneumatico dell'auto che
sormontava la schiena di Pier Paolo determinandone la morte per schiacciamento
del torace e loro non sapevano nulla».
E adesso queste prove potrebbero portare ad
altre condanne?
«Ricominciare l'indagine significa
ricollocare la vicenda in quel contesto culturale».
A che cosa si riferisce?
«All'insofferenza tipica di certi ambienti della destra verso gli
omosessuali. Non si dimentichi che quelli furono anche gli anni di Franca Rame
stuprata da estremisti di destra. E poi c'è il Circeo».
Che cosa c'entra il massacro compiuto da
Angelo Izzo con il delitto Pasolini?
«Non c'è
collegamento diretto ma di contesto. In fondo il Circeo che cosa è stato? Un
massacro di due innocenti compiuto da due psicopatici che mascheravano la loro
omosessualità, tant'è che le due ragazze non furono violentate. Quello era il
clima. Di rifiuto totale della diversità».
Quindi Pasolini fu vittima di agguato con
implicazioni politiche?
«Bisogna intendersi su che
cosa significa delitto politico. Anche un poeta come García Lorca è stato ucciso
per ragioni politiche. Per Pasolini è stato lo stesso. Si voleva colpire un
uomo
scomodo, una delle voci più alte delle
intellettualità italiana del '900 che scriveva di stragi e di politica.
Ammazzandolo si è impedito che quella voce parlasse ancora».
Lei che ha conosciuto Pasolini, fosse vivo
cosa penserebbe di tutto quello che sta succedendo ora?
«Pier Paolo era un uomo di una vitalità infinita. Sono certo che anche
lui adombrerebbe le responsabilità di quanto accaduto, pur in una riflessione
più ampia, al contesto culturale nel quale l'omicidio è maturato».
E' ottimista che la verità verrà
fuori?
«C'è ancora una forte resistenza,
vedremo. Certamente mi batterò perché l'omicidio di Pier Paolo non venga
abbandonato un'altra volta nel buio della memoria».