Caso Izzo





Quando un uomo scrive
"Credo che lo stupro abbia a che fare con gli istinti primordiali
dell'uomo. La caccia, l'inseguimento, la cattura, la preda calda,
spaventata, tremante, il possesso. Ecco, il possesso totale, il sapere che
la tua preda è alla tua totale mercé, il senso di onnipotenza, lo sfogo
sadico di qualsiasi istinto, la donna schiava".
non si può accettare alcunchè di questa descrizione. Neppure se appartiene
alla fiction di una sceneggiatura.
Sono frasi riportate sul numero odierno (5 maggio 2005) de LA STAMPA.
Descrizioni agghiaccianti, se pensiamo che corrispondono in modo
inquietante a quanto riferito a proposito dei motivi che avevano spinto
l'autore (Angelo Izzo) al massacro del Circeo. Le parole virgolettate
appartengono ad uno scritto (almeno, così vengono identificate), lo stesso
significato è stato fornito dall'Izzo per spiegare cosa lui e i suoi amici
volevano rappresentare massacrando le due ragazze al Circeo: sorprendenti
le analogie.
Stiamo parlando di un assassino, si potrà dire. Certo, però di un tipo
particolare di omicida: lui ammazza le donne.
E non si limita a togliere loro la vita, ma da quello che si sa di questa
ultima vicenda, l'omicidio è stato la parte meno angosciante rispetto al
rituale sadico, alla ricerca della sofferenza delle sue vittime, ai
tentativi, forse attuati o forse no, di stupro o di abuso sessuale.
Non vogliamo nè possiamo entrare nel merito delle pagine finora scritte su
questo individuo; e nemmeno è possibile entrare in commenti che lo
riguardino direttamente. Men che meno possono esprimersi, al nostro
interno, valutazioni sui professionisti che lo hanno ritenuto redento.
Pensiamo invece ai dubbi sulla possibile guarigione dal male di essere
maschi, inteso proprio come la definizione riportata più sopra in corsivo.
Pensiamo ai fallimenti terapeutici, alle improbabili redenzioni da una
condizione (chiamarla malattia non è sempre esatto) nella quale la propria
vita ha un senso se se ne annulla un'altra, preferibilmente se si tratta di
una donna.
Pensiamo che forse non tutte le terapie attuate sono andate a buon fine e,
quindi, qualcun altro, magari meno violento o meno propenso ad occupare le
prime pagine dei giornali, stia impunemente abusando o stuprando, in casa o
fuori: ritenendo che la paura e la vergogna faranno il resto, lasciandolo
del tutto fuori da ogni indagine giudiziaria.
O forse il problema non è nella malattia, e quindi nel fallimento di
psichiatri e psicologi: ma proprio nel fatto che non esiste malattia.
Oppure c'è, e non è stata ancora codificata.
In ogni caso, a metà strada tra la festa della donna e quella della mamma,
una mamma e la sua figliola sono state orrendamente massacrate: malattia,
maschilismo, terapie sbagliate o professionisti inesperti, a noi non
importa. Ma essere donne è, ancora, un pericolo.

Lella Menzio (Presidente Telefono Rosa)