Sono un
ragazzo di 17 anni, sono di un piccolo paese della provincia di
Caserta, e sono omosessuale.Da un paio di mesi vivo una storia con
un mio coetaneo che mi appaga e mi rende felice, mi regala una
serenità e un senso di completezza che davvero non credevo di poter
trovare.Per strane alchimie di persone e di casi, e per la mia
stessa natura, sono cresciuto sempre privo di quei condizionamenti e
di quei tabù che sono soliti ossessionare i ragazzi che hanno le mie
inclinazioni sessuali.Mi sono distaccato dalla religione cattolica
("seconda madre" di noi italiani) in età preadolescenziale, e
ho riconosciuto e accettato la mia natura con la consapevolezza e la
fermezza d'animo fornitemi dalla fiducia che ho nel mio istinto.Poco
tempo fa, spinto da situazioni che si facevano pesanti, per amor del
vero e odio della menzogna, ho confessato ai miei genitori la natura
e il carattere delle mie pulsioni sessuali.Mi sono sentito in colpa
per non poter dare ai miei genitori quello che nel mio piccolo
microcosmo di provincia un figlio dà alla madre e al padre. Mi sono
sentito in colpa per aver privato i miei genitori di vanti e
discussioni nei salotti abbienti sulla compostezza della ragazza che
ha trovato il loro figlio, sulla grandezza della casa che stanno
costruendo per lui, sulla graziosità e sull'intelligenza dei loro
nipotini.Piaceri effimeri ma, ahimè, importanti in questi ambienti
di bigottismo suburbano.I miei cercano di accettarmi, ma benché
facciano discorsi che mostrano quella che qualcuno chiamerebbe una
apparente "apertura mentale", traspare il loro disagio per la strana
situazione.Avverto che sono combattuti tra i canoni e i modelli
delle tradizioni, e quelli del "secondo libero amore" della nostra
epoca. Le loro parole nascondono una desolazione che mi commuove
e mi rattrista. La nuova morale dell'epoca contemporanea ci impone
di fingere di saper mettere da parte i pregiudizi e i vecchi
concetti del cattolicesimo bigotto. In realtà quello che
fa la maggior parte delle persone è coprirli di una coltre di
menzogna felice, che viene spazzata via dalla prima ventata di
vissuto. Grazie Lettera
firmata
La colpa è una cosa
seria che chiede riparazione, il senso di colpa è una cosa inutile
che nasconde una malcelata onnipotenza. Sottintende infatti che se
mi fossi comportato in un modo piuttosto che in un altro, quel
determinato evento non sarebbe successo, per cui, in un certo senso,
tutto dipende da me. Troppo bello o troppo ingenuo. Quel che
dalla sua storia si evince è che lei ha un sentimento davvero
delicato verso i suoi genitori e, da parte loro, non godere di
questa delicatezza densa di affetto è una vera e propria perdita di
sentimento, sacrificato a una aspettativa non rispettosa della sua
identità, a proposito della quale è bene ricordare che il legame
affettivo tra persone dello stesso sesso è sempre esistito in tutte
le culture, e interpretato in alcune come evento naturale, in altre
come evento contro natura. Siccome la natura, come ci ricorda
Eraclito, "ama nascondersi", l'accettazione o la condanna
dell'omosessualità sono fenomeni culturali. Nell'antichità
l'omosessualità non era un problema, perché l'attenzione non era
rivolta all'atto sessuale ma all'amore tra persone, che trascendeva
il sesso, perché includeva dimensioni culturali, spirituali,
estetiche. Questa mentalità proseguì per tutto il corso del medioevo
fino al 1500 quando, con la Controriforma e la difesa della
cattolicità da islamici ed ebrei, prese avvio la condanna e
l'esclusione dell'omosessuale, che a questo punto diventa
il sintomo della cultura dell'intolleranza. Con la nascita della
medicina scientifica nell'Ottocento,
l'omosessualità da "peccato" divenne "malattia", e
a dar man forte a questa impostazione contribuì anche la
psicoanalisi la quale, pur riconoscendo che nessuno
di noi è relegato per natura in un sesso, perché l'ambivalenza
sessuale, l'attività e la passività sono iscritte nel corpo di ogni
soggetto, non esitò a leggere nell'omosessualità un arresto
dello sviluppo psichico. Non più un vizio e quindi un
peccato come per la religione, ma un handicap. Quando poi la storia
prese a trescare con i deliri della razza pura, con
questo supporto scientifico gli omosessuali fecero la fine
degli handicappati, degli ebrei e degli zingari. Adesso
siamo in attesa del verdetto della genetica che,
quando l'avrà individuata, non mancherà di dire la sua
parola, che verrà fatta propria da chiese e legislazioni omofobe, a
conferma delle proprie posizioni ideologiche o di
fede. Che dire a questo punto? Che la storia è piena di
giudizi e pregiudizi e che a governarla non è tanto la natura
dell'uomo, quanto la sua cultura, che non rifiuta il riferimento
alla natura quando questo dovesse servire a fondare le sue norme
etiche e giuridiche. Ne consegue allora che ha ragione Platone là
dove dice, a proposito dell'omosessualità, che il vero problema non
è il sesso, ma piuttosto la democrazia. Scrive infatti
Platone nel Simposio (182 d): "Ovunque è
stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione
omosessuale, ciò è dovuto a difetto dei legislatori, al dispotismo
da parte dei governanti, a viltà da parte dei
governati". |