"Siamo entrati (ci entrammo con la guerra del Kosovo) nell'era dei 'sentimenti obbligatori': quando l'opinione di massa, gi à formata dai media, costringe tutti ad assentire, pena la squalifica, il cartellino rosso, l'esclusione. Noi non ci stiamo."



La grande fabbrica della menzogna arruola anche parte della sinistra


Giulietto Chiesa




7 febbraio 2005 - Dobbiamo a internet la riscoperta dell'articolo
del New York Times del 4 settembre 1967, intitolato così: "Il voto
in Vietnam rincuora gli Stati Uniti". Il sommario che lo
accompagnava era questo: "Affluenza alle urne dell'83%, nonostante
il terrorismo dei vietcong". L'autore si chiamava Peter Grose e
possiamo considerarlo l'antesignano del giornalismo di punta
contemporaneo, embedded, delle Lucia Annunziata e Monica Maggioni
che imperversano sui nostri schermi, raccontandoci la guerra dei
vincitori.

Il voto dell'Iraq ha rincuorato Bush, Blair, Berlusconi, e ha messo
in ginocchio, letteralmente, la sinistra italiana, la quale (salvo
lodevoli e sparse eccezioni) ha creduto alla stessa favola del New
York Times di Peter Grose. Favola che il New York Times ha ripetuto,
pari pari, il 31 gennaio 2004, seguito a ruota da tutti i maggiori
giornali del mondo occidentale, e da tutti i maggiori giornali
italiani.

I quali hanno creduto alle cifre, fumosamente e contradditoriamente
rese note dalla Commissione Elettorale Indipendente irachena. Si
noti l'aggettivo "indipendente", excusatio non petita posta a
suggello di elezioni che di indipendente non hanno avuto nulla.

Fassino, dalla tribuna del Congresso dei DS, tuona che otto milioni
di iracheni sono andati a votare. Il dato è, più che falso,
inesistente. Chi glielo ha detto? Nessuno. O forse ha fatto una
media ponderata di quello che ha letto dai giornali della grande
stampa "indipendente dalla verità". E ha aggiunto che "sono loro i
veri resistenti". Come dire che il popolo iracheno è andato a votare
in massa e, quindi, è contro la resistenza armata all'occupazione
americana. Cioè il popolo iracheno sta con gli americani ed è
contento della democrazia che loro gli hanno portato.

Così agli esultanti Bush, Blair, Berlusconi possiamo aggiungere
l'esultante Piero Fassino.

Ora noi non sappiamo se finirà come in Vietnam (temo che finirà
peggio), ma possiamo avanzare qualche preliminare osservazione. I
dati sono tutti falsificati. Le elezioni irachene sono state
tutt'altra cosa rispetto a ciò che ci hanno fatto vedere. Un buon
terzo del paese sicuramente non ha votato. Lo si sapeva fin
dall'inizio e queste elezioni farsa sono state organizzate da
Washington proprio per isolare i sunniti, cioè per spaccare il
paese.

La stessa Commissione Elettorale (lasciamo perdere
l' "indipendente") ha comunque detto che ha votato il 57%
degli "elettori iscritti". Quanti erano gli elettori iscritti? Il
dato preciso non è mai stato fornito. Per la banale ragione che non
ne esisteva uno. Il punto di riferimento erano gli "elenchi russi",
cioè le tessere annonarie per il cibo che erano state distribuite
nel programma "Oil for Food" (petrolio per cibo) ai tempi di Saddam.
Ma quanti si sono iscritti al voto? Quelle tessere (e io le ho viste
nei seggi di Nassirya) erano spesso illeggibili. Altre invece
apparivano nuovissime. Da dove venivano? Insomma nulla ci è stato
detto circa il tasso di iscrizione alle liste elettorali, per cui
quel dato, l'unico ufficiale, non ci dice assolutamente nulla sul
numero dei votanti.

Non si sono iscritti perché avevano paura dei terroristi?
Sicuramente in parte è stato così. Ma questo conferma clamorosamente
l'invalidità di queste elezioni. Di nuovo parla il testimone. A
Nassirya e Bassora, maggioranza sciita schiacciante, il voto è
avvenuto in un clima di stato d'assedio generalizzato. Il traffico
automobilistico è stato bloccato per tre giorni. Ogni seggio era
presidiato da decine di uomini armati - la nuova milizia irachena -
con fucili e divise nuovi di zecca, cecchini sui tetti, blocchi
stradali a distanza, gimkane di cemento armato etc. Le truppe
straniere (a Nassirya italiani, portoghesi e rumeni, a Bassora gli
inglesi) erano state poste a difesa delle stazioni di polizia). Di
quale consenso si può parlare in queste condizioni?

Ma c'è un altro dato assai significativo: nei seggi aperti
all'estero, dove i problemi di sicurezza non esistevano, solo il 25%
degl'iracheni si sono iscritti alle liste. Eppure non c'era nessun
pericolo!

Certo che c'erano le file ai seggi: al sud, nelle zone sciite, e al
nord, nelle zone curde. Il resto chi l'ha visto? Dobbiamo fidarci
della Commissione Elettorale, composta da persone selezionate da
Allawi e dai consiglieri di Bremer? E nei seggi di Nassirya la gente
c'era solo la mattina. Nel pomeriggio tutti i seggi erano deserti. E
le urne trasparenti che ho visto (tredici seggi in tutto) erano
piene solo per metà sebbene le schede elettorali, con 111 partiti,
fossero grandi come sei fogli protocollo, e quasi sempre molto mal
piegate. Noi abbiamo visto in tv le file ai seggi delle zone sciite,
ma nient'altro, salvo pochi scorci - qualche secondo - dei seggi di
Baghdad deserti. Ho chiesto più volte alla gente nei seggi se
trovassero difficile votare, con tanti partiti sulla scheda, molti
dei quali senza nemmeno un simbolo di riferimento. Tutti
rispondevano che "era molto facile". E io pensavo che una scheda
come quella avrebbe creato grossi problemi di comprensione perfino
in Italia, dove l'esperienza elettorale è ormai secolare.

Ma questi sono dettagli tecnici secondari. Il più importante dei
quali è che quegli iracheni sono andati a votare senza sapere chi
erano i candidati. I partiti ammessi al voto erano stati resi noti
in anticipo, ma le liste dei candidati erano rimaste segrete per
motivi di sicurezza!

Il tutto senza osservatori internazionali (io ci sono arrivato
privatamente, usando l'invito rivoltomi dal ministero degli esteri
britannico, insieme a Emma Nicholson, anch'essa deputata europea. E
abbiamo viaggiato a bordo di auto blindate, ciascuno accompagnato da
otto guardie del corpo private, armate fino ai denti). Sulla pratica
degli osservatori internazionali ci sarebbe da fare un intero
discorso. Ma in qualche caso essi sono stati utili per difendere gli
elettori dalla prepotenza dei poteri. In ogni caso la consuetudine
internazionale prevede che osservatori esterni imparziali possano
all'occorrenza controllare le cifre ufficiali e seguire il
procedimento di voto. Ma l'Onu aveva deciso di non mandare nessuno.
La stessa cosa hanno fatto l'Osce e l'Unione Europea: "per l'assenza
delle condizioni minime di sicurezza" E' fallito anche il tentativo
del governo canadese di costituire una missione speciale per il
controllo elettorale in Irak. La riunione, tenutasi il 19 e 20
dicembre scorsi, a Ottawa, a porte chiuse, si era conclusa con un
doppio fallimento: dei venti paesi invitati solo sette, tra cui Gran
Bretagna e Albania, avevano partecipato. E la conclusione era stata
sconsolante (per loro): impossibile mandare osservatori all'interno.
In alternativa fu deciso di aprire un ufficio ad Amman, Giordania,
in cui avrebbero lavorato "da sei a dodici analisti", per studiare i
dati provenienti dall'interno dell'Irak.

La comunità internazionale, dunque, aveva proclamato,
implicitamente, alla vigilia del voto, la sua palese invalidità. A
parte tutto il resto di questa invereconda storia della propaganda
moderna, adesso sapremo ancora meno: la raccolta delle schede, la
loro custodia, la conta dei voti assegnati a partiti fantasma,
misteriosi e ambigui, pompati (come il risorto partito comunista,
che perfino Berlusconi potrebbe affiliare a Forza Italia e che sarà
certamente usato per condizionare il potere dell'ayatollah Al
Sistani), finanziati dall'esterno.

Ma tutto il movimento contro la guerra non se n'è accorto e ha
atteso passivamente che arrivasse la tempesta propagandistica,
il "trionfo della democrazia" americana, la legittimazione postuma
dell'aggressione.

Di fronte a questo tsunami propagandistico - cosa che dovrebbe farci
riflettere - perfino a sinistra, e perfino nella sinistra più a
sinistra, abbiamo assistito a balbettii di scusa, a penose e fumose
richieste di autocritiche. Siamo entrati (ci entrammo con la guerra
del Kosovo) nell'era dei "sentimenti obbligatori": quando l'opinione
di massa, già formata dai media, costringe tutti ad assentire, pena
la squalifica, il cartellino rosso, l'esclusione.

Noi non ci stiamo. La guerra irachena rimane illegale come lo fu
all'inizio e le menzogne che la prepararono rimangono menzogne.
Nella conta dei voti bisogna mettere anche i centomila morti
innocenti di questa guerra, che la Commissione
Elettorale "indipendente" (insieme ai suoi esegeti occidentali)
intende seppellire una seconda volta.

Infine un'ultima notazione, a futura memoria. Sarà utile tenere
conto che i padroni dei media si accontentano di vincere ai punti, e
a mani basse, vista l'inconsistenza nostra su questo terreno
decisivo. Ma sono pronti a organizzare la caccia alle streghe e la
caccia all'uomo, ove e quando dovessero temere una reazione
popolare. Quanti di noi se ne rendono conto?

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(http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=225
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