Il console ucraino Andrii Kartysh aveva chiesto di non rappresentare l'opera "Boris Godunov" alla Scala di Milano



Boris Godunov è un'opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, su libretto proprio, basata sul dramma omonimo di Aleksandr Sergeevič Puškin e sulla Storia dello Stato Russo di Nikolaj Michajlovič Karamzin. È la sola opera lirica completata da Musorgskij ed è considerata il suo capolavoro, oltre ad essere una pietra miliare della scuola russa ottocentesca: influenzerà in maniera non indifferente la musica europea di gran parte del Novecento. La musica è stata composta con quel particolare stile che riflette la profonda conoscenza del compositore della musica popolare del suo paese e che rifiuta volontariamente l'influenza delle scuole operistiche tedesca e italiana. Puškin basò il suo dramma sul personaggio storico di Boris Godunov, traendo larghe ispirazioni dall'Amleto di William Shakespeare

(Wikipedia)


La proposta di censura del console ucraino alla Scala – La scelta di mettere in scena l’opera era già stata aspramente criticata dal console ucraino Andrii Kartysh, che aveva chiesto di non portarla sul palco dell’opera milanese affinché non diventasse strumento di propaganda. Una proposta di censura respinta dallo stesso sovrintendente della Scala Dominique Meyer. “Non facciamo nessuna propaganda a Putin – aveva detto -. Risparmiamoci le polemiche un po’ superficiali, cerchiamo di capire di cosa si tratta con le cellule del cervello, non con la pancia”, aveva dichiarato alla conferenza stampa di presentazione, invitando a leggere il libretto e vedere lo spettacolo. La storia di Boris – che diventa zar dopo aver ucciso bambino l’erede al trono e viene poi dilaniato dai sensi di colpa – “non fa l’apologia di un regime politico ma esattamente il contrario“. Meyer, pur chiarendo di comprendere la posizione del console ma di non condividerla, aveva poi ricordato la “tendenza oggi a cancellare certi titoli, ma io non sono per l’autodafé e non sono pronto a nascondermi quando leggo Dostevskij o Puskin“. 

Da ricordare che la Scala, allo scoppio del conflitto ucraino, aveva apertamente manifestato la sua posizione, chiedendo al direttore d’orchestra Valery Gergiev una dichiarazione per auspicare una soluzione pacifica, e sostituendolo quando non ha risposto. E ha anche organizzato ad aprile un concerto che ha raccolto 380mila euro e ha accolto nella scuola di ballo dell’Accademia un gruppo di alunne arrivate da Kiev.

“Boicottare i musicisti russi fino alla fine della guerra” – Ma in questi mesi le richieste di censura della cultura russa sono andate molto oltre il caso del Boris Godunov, con l’invito al boicottaggio da parte delle autorità ucraine che, come accaduto per l’opera, si è spesso esteso anche all’Occidente. Da ultimo, il ministro della Cultura ucraino Oleksandr Tkachenko che, alla vigilia della Prima, ha chiesto che le opere dei musicisti russi venissero boicottate nei Paesi Occidentali fino alla fine della guerra. Il che, ha detto, non significa “cancellare Tchaikovsky”, ma “sospendere l’esecuzione delle sue opere fino a quando la Russia non cesserà la sua sanguinosa invasione”. Secondo Tkachenko, si tratterebbe di una scelta giusta in quanto la guerra è “una battaglia di civiltà sulla cultura e la storia” in cui la Russia sta attivamente “cercando di distruggere la nostra cultura e memoria” insistendo sul fatto che i due stati costituirebbero un’unica nazione.

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Guerra in Ucraina: è giusto censurare l’arte e la cultura russa?

"Oggi in Italia essere russi sembra stia diventando una colpa; e a quanto pare non solo essere un russo vivente è una colpa, ma anche essere un russo morto. Il diktat odierno sembra quello di dover applicare delle “sanzioni” anche alla cultura, non per quello che dice – attenzione – ma colpevole solamente dell’essere, o essere stata, germinata da una nazione ben precisa; come se in un colpo la grande tradizione letteraria di Puškin, Gogol, dello stesso Dostoevskij ed ancora Nabokov, Turgenev, e forse perché no anche i quadri di Kandinskij, possano essere, da oggi, portatori sani di uno stigma dittatoriale. Perché trasformare la loro cultura in ambasciatrice, suo malgrado, di un pensiero “anti–democratico”? Perché renderla arbitrariamente intollerabile o provocatoria all’opinione pubblica?"

Maria Chiara Valacchi (critica d'arte)

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