rassegna stampa: Uno studio dimostra per la prima volta la stabilizzazione del transgene nelle piante selvatiche.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "www.fondazionedirittigenetici.org" - 04/03/2008

Uno studio dimostra per la prima volta la stabilizzazione del transgene
nelle piante selvatiche.
(di Giuseppe Lauria - Fondazione Diritti Genetici)

Piano piano i nodi della tecnologia transgenica applicata alle colture
agrarie vengono al pettine: uno dopo l'altro si dimostrano fondati i dubbi
espressi sulla sicurezza delle piante geneticamente modificate (GM). In
particolare, uno studio recente ha appena dimostrato che la valutazione dei
rischi ambientali non potrà più eludere il fatto che la diffusione, la
persistenza, il trasferimento e l'inserimento stabile di transgeni in
popolazioni di piante spontanee sono scientificamente accertati. Ma
procediamo con ordine.
Com'è noto l'immissione in commercio e la diffusione delle colture GM di
prima generazione hanno sollevato fin dall'inizio una serie di
preoccupazioni per i potenziali impatti negativi sulla salute dei
consumatori, sulla qualità ambientale e sugli equilibri ecologici dei
sistemi agrari e naturali.
Tra i potenziali rischi di carattere ambientale ricordiamo quelli
maggiormente evidenziati nella letteratura scientifica di settore. In
sintesi possono essere così elencati:

- effetti negativi sugli organismi non target, in particolare sugli
organismi utili come gli impollinatori, i parassitoidi e i predatori di
specie fitofaghe nocive per le colture

- effetti negativi sugli organismi del suolo, sulla sua fertilità e sui
cicli biogeochimici

- effetti negativi sulla biodiversità agraria e naturale

- inquinamento genetico di altre cultivars della medesima specie di
appartenenza di una data coltura GM

- trasferimento di transgeni in piante selvatiche sessualmente compatibili
con eventuale inserimento stabile nel pool genico ricevente (introgressione)

- sviluppo di resistenza ai biopesticidi a base di tossine Bt

- sviluppo di tolleranza agli erbicidi in popolazioni naturali di piante
infestanti e avventizie.

I risultati di diversi studi pubblicati in questi ultimi anni, su autorevoli
testate scientifiche di carattere internazionale confermano tali timori, in
particolare quello relativo allo sviluppo di popolazioni di piante
infestanti capaci di tollerare l'erbicida glifosato, o quello relativo alla
formazione di ibridi transgenici tra colture GM e piante parentali
selvatiche.


Più recentemente è arrivata anche la conferma sulla fondatezza delle
preoccupazioni relative allo sviluppo di popolazioni fitofaghe resistenti
alle colture Bt e, più in generale, ai biopesticidi a base di tossine Bt.
Infatti, in uno studio dal titolo “Insect resistance to Bt crops: evidence
versus theory”,pubblicato sul numero di febbraio di Nature Biotechnology da
Tabashnik et al, viene dimostrato lo sviluppo di popolazioni di lepidotteri
fitofagi (Helicoverpa zea) capaci di alimentarsi con cotone che produce
tossine Bt. Gli insetti Bt-resistenti sono stati trovati in coltivazioni di
cotone GM ubicate in due diversi stati del Nord America, il Mississipi e
l'Arkansas, per cui le popolazioni potrebbero essersi evolute in modo
indipendente e, quasi certamente, a dispetto dei piani consigliati
esplicitamente per evitare lo sviluppo di popolazioni di insetti resistenti
alla tossina Bt.
Tuttavia, l'ultima conferma in ordine temporale riguarda le preoccupazioni
espresse per la possibile fuga di transgeni da coltivazioni GM, seguita
dalla loro stabilizzazione nel pool genico di popolazioni selvatiche.
In effetti, sono stati pubblicati nel numero di marzo 2008 della rivista
Molecular Ecology i risultati di uno studio che dimostrano come un
transgene, proveniente da una coltivazione di colza (B. napus) resistente
agli erbicidi (HR) a base di glifosato, possa persistere per diversi anni e
possa essere inserito stabilmente, cioè introgresso, nel pool genico di una
popolazione selvatica di Brassica rapa.


Gli autori dello studio, Warwick et al, hanno monitorato la persistenza nel
tempo del transgene HR nelle popolazioni naturali di B. rapa misurando la
frequenza degli ibridi transgenici (B. napus x B. rapa) in due località del
Quebec (Ste Agathe e St Henri) in cui, negli anni 2000 e 2001, erano stati
coltivati campi di colza HT. L'attività di monitoraggio è iniziata nel 2002
ed è terminata nel 2005.
Per inciso bisogna ricordare che la formazione degli ibridi transgenici B.
napus x B. rapa nelle suddette località era stata descritta precedentemente
dagli stessi autori nel 2001, dimostrando così per la prima volta il
passaggio di transgeni da una coltivazione commerciale (B. napus) ad una
popolazione spontanea di erbacce di B. rapa.
Negli anni in cui si è protratto lo studio (2002-2005), sono stati rilevati
individui ibridi transgenici, anche se il loro numero è diminuito
drasticamente da 85 individui (su poco più di 200 piante di B. rapa
campionate nell'anno 2002) a soli 5 individui ibridi (su poco meno di 200
piante campionate nel 2005).
La maggior parte degli ibridi (di prima generazione o derivanti da reincroci
successivi) sono risultati morfologicamente simili agli individui di B.
rapa, pur presentando una struttura genomica triploide (AAC, 2n=29) o
comunque livelli di ploidia intermedi tra la tetraploidia di B. napus (AACC,
2n=38) e la diploidia di B. rapa (AA, 2n=20), e marcatori molecolari (AFLP)
specie-specifici per ambedue i genitori. Inoltre, il polline di tali ibridi
possiede una vitalità ridotta di circa il 50% rispetto al valore normale.
Tali dati dimostrano che gli ibridi transgenici resistenti al glifosato (B.
napus x B. rapa) possono persistere nell'agro-ecosistema per lungo tempo
almeno 6 anni) e in modo spontaneo, nonostante la ridotta fitness degli
individui ibridi e la totale assenza di qualsivoglia forza selettiva
favorevole al carattere di resistenza al glifosato operante nell'ambiente
considerato.
Il risultato più interessante ottenuto dallo studio è però attribuibile al
ritrovamento, in una delle due località monitorate (St Henri) nel 2005, di
un individuo capace di resistere all'applicazione di erbicidi a base di
glifosato, con un corredo cromosomico diploide e privo dei markers
molecolari specifici di B. napus. In altre parole, di un individuo del tutto
simile ad uno di B. rapa normale, tranne che per la capacità di resistere al
glifosato.
Questa pianta ha prodotto polline con vitalità molto ridotta, intorno al 29%
del valore normale, e circa 500 semi. Dalla loro germinazione sono state
ottenute piantine capaci di resistere al glifosato nel 50% dei casi, che
mostrano una segregazione 1:1 tipica di un carattere mendeliano
monofattoriale. Inoltre, il corredo cromosomico di tutte le piantine è
risultato diploide, e tutte hanno prodotto polline ad alta vitalità.
Nel loro insieme questi dati depongono a favore dell'ipotesi di una perfetta
introgressione (inserimento stabile) del transgene, conferente la resistenza
al glifosato, nel pool genico della popolazione naturale di B. rapa.
La preoccupazione che i transgeni provenienti da colture geneticamente
modificate avrebbero potuto inserirsi stabilmente nel pool genico di
popolazioni di piante selvatiche trova così conferma scientifica. Se,
quindi, ora sappiamo con certezza che i transgeni possono sfuggire al nostro
controllo, diffondersi e persistere autonomamente nell'ambiente, siamo però
totalmente incapaci di prevedere le conseguenze che ne derivano nel lungo
periodo.


Tuttavia, i risultati e la discussione riportati nello studio pubblicato da
Molecular Biology suggeriscono una serie di considerazioni molto utili ai
fini della valutazione e gestione dei rischi ambientali potenzialmente
derivanti dalle colture GM:
Prima considerazione.
La ricerca riconferma quanto già ampiamente dimostrato da molti altri studi
precedenti, e cioè che la formazione di ibridi tra piante geneticamente
modificate e parentali selvatiche sessualmente compatibili è un fenomeno
piuttosto frequente anziché raro.
Seconda considerazione.
Gli ibridi transgenici (nello specifico B. napus x B. rapa), una volta
formatisi, possono persistere spontaneamente per lunghi periodi di tempo
(almeno per 6 anni) all'interno delle popolazioni selvatiche, anche a
dispetto della nota riduzione di fitness di cui soffrono e della totale
mancanza di vantaggi selettivi.
Terza considerazione.
La riduzione di fitness tipica degli ibridi transgenici può contribuire a
contenere nel tempo lo sviluppo numerico, ma in condizioni naturali, non è
sufficiente ad evitare l'introgressione (inserimento stabile) di un
transgene nel pool genico di popolazioni selvatiche (almeno nel caso di B.
rapa).
Quarta considerazione.
Gli individui di prima generazione, derivanti da semi di piante con
transgeni introgressi (ovvero inseriti stabilmente nel proprio genoma),
possono avere una fitness e una capacità riproduttiva normale. Ciò significa
che i transgeni introgressi possono essere trasmessi alle generazioni
successive proprio come i geni naturali.
Quinta considerazione.
La diffusione e l'introgressione dei transgeni (avvenuta in soli sei anni!)
si sono verificate in condizioni di pressioni selettive neutre per il
carattere di resistenza al glifosato. Ciò significa che in presenza di forze
selettive positive la diffusione e l'introgressione dei transgeni sarebbe
potuta avvenire in modo più esteso e veloce.
Ultima considerazione.
La diffusione e la persistenza di un transgene in un dato ambiente dipende
da vari fattori. Sicuramente svolgono un ruolo importante il tipo di
carattere conferito dal transgene, le caratteristiche e le forze selettive
operanti nell'ambiente medesimo, la biologia e l'ecologia delle piante GM,
delle loro parentali selvatiche e degli eventuali ibridi transgenici.


Le osservazioni sin qui elencate hanno importanti implicazioni nella
valutazione dei rischi ambientali connessi all'uso di piante transgeniche.
Ad esempio, sarà difficile continuare a sostenere, come spesso avviene anche
nei pareri scientifici rilasciati dagli esperti dell'EFSA, che:


- la formazione di ibridi tra colture GM e parentali selvatiche è,
generalmente, un evento non molto frequente;

- la ridotta fitness degli ibridi transgenici e l'assenza di vantaggi
selettivi non permettono la diffusione e la persistenza del transgene
nell'ambiente;

- i risultati derivanti da pochi campi sperimentali possano esser
considerati validi anche per ambienti di coltivazioni ecologicamente
diversi.


La diffusione, la persistenza, il trasferimento e l'introgressione di
transgeni nelle piante spontanee selvatiche sono, dunque, un fatto
scientificamente accertato che risulta di particolare rilevanza nei casi in
cui si debba valutare la sicurezza di piante GM contenenti transgeni che
conferiscono fenotipi capaci di aumentare la fitness di una popolazione
come, ad esempio, la resistenza agli insetti o alle malattie, oppure la
tolleranza a stress da freddo, siccità o salinità. Se non faremo attenzione,
in tutti questi casi è alto il rischio di contribuire inconsapevolmente allo
sviluppo di popolazioni di piante spontanee capaci di diventare super
infestanti nei sistemi agrari e/o invasive negli ecosistemi naturali.
Saremo, quindi, responsabili di tutte le conseguenze, ambientali,
socioeconomiche e etiche che ne possono scaturire.

Per saperne di più:
Do escaped transgenes persist in nature? The case of an herbicide resistance
transgene in a weedy Brassica rapa population

S. I. WARWICK, A. LÉGÈRE, M.-J. SIMARD, T. JAMES (2008) Do escaped
transgenes persist in nature? The case of an herbicide resistance transgene
in a weedy Brassica rapa population Molecular Ecology 17 (5) , 1387–1395 >>>

KATRINA M. DLUGOSCH, JEANNETTE WHITTON (2008) Can we stop transgenes from
taking a walk on the wild side? Molecular Ecology 17 (5) , 1167–1169 >>>

Bruce E Tabashnik, Aaron J Gassmann, David W Crowder & Yves Carriére (2008)
Insect resistance to Bt crops: evidence versus theory Nature Biotechnology
26, 199 -
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