TRADUZIONE ARTICOLO INDIPENDENT E INFO SU MOBILITAZIONE IN SARDEGNA



Care e cari, vi giro la traduzione dell'articolo che è uscito l'altro
giorno sull'Indipendent di Londra sulla mobilitazione in corso in Sardegna.
Grazie a Rino Sanna, Roberto Spigarolo, Francesca Febbraro e Kriss del
Genzano SF per le loro traduzioni. Ne abbiamo fatto un mix che giriamo
sulle liste. L'articolo originale lo trovate a questo link
<http://news.independent.co.uk/europe/article3052376.ece>http://news.independent.co.uk/europe/article3052376.ece.

Vi ricordo, fra l'altro, il bellissimo servizio di 13 minuti sulla RAI che
potete vedere a questo link.
<http://www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/stream.srv?id=19447&idCnt=64390&pagina=1&path=RaiClickWeb>http://www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/stream.srv?id=19447&idCnt=64390&pagina=1&path=RaiClickWeb

Mercoledì prossimo servizio sul settimanale "OGGI". Rita Cenni,
corrispondente del settimanale, è stata diversi giorni in Sardegna.
Parlando con lei stamattina mi diceva le stesse cose che ho sentito dagli
inviati della RAI. Più o meno: "Andando sul posto a vedere,la situazione è
molto più drammatica di come ci si potrebbe aspettare.".

Queste sono ore convulseŠŠesattamente in queste ore sono in corso una serie
di passaggi delicati. Ve ne daremo conto in giornata annunciando come
prosegue la mobilitazione. Chiedo scusa a tutti se, a volte, annunciamo
delle cose che non si realizzano (come l'assemblea di stasera a Roma) ma,
per esempio, in questo momento Riccardo Piras e gli altri sono ad un
incontro molto importante in Sardegna con Soru confermato nelle ultime ore,
e, dunque, dobbiamo aggiornare l'agenda. A più tardi e grazie a tutti per
la solidarietà e la disponibilità.

Gianni Fabbris

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I pastori sardi attuano uno sciopero della fame per sottolineare la fine
del loro mondo

Di Peter Popham da Rome

Pubblicato: 12 ottobre 2007

Silvano Pistis avrà a breve molto da fare. Fra poche settimane inizia la
stagione dell'agnellatura sull'isola di Sant'Antioco, a largo della Costa
sud-occidentale della Sardegna. E' il periodo più duro per il sig. Pistis,
i suoi due fratelli e la famiglia tutta perché bisogna svezzare e
ingrassare gli agnelli per Natale. Il lavoro della terra ce l'hanno nel
sangue e non c'è nulla di più tradizionale in Sardegna dell'allevamento
delle pecore - ma per la famiglia Pistis in questi giorni sembra tutto
inutile.

"Non ce la facciamo ad andare avanti," dice il sig. Pistis desolato. "Le
grandi aziende che comprano il latte delle nostre pecore per il formaggio
lo pagano 70 cent al litro - sono 30 anni che il prezzo non sale. Ma tutto
il resto è centuplicato. Avevamo dei sussidi dall'Unione europea - 4.000 o
5.000 Euro l'anno - ma l'anno scorso sono stati soppressi. Non possiamo più
andare avanti. Non facciamo una lira. Se continua così non avremo più un
lavoro, la terra e finiremo per strada."

Oggi mr Pistis, un uomo di 27 anni con il mento sporgente ed un'espressione
seria sul suo viso arrossato, e' a Roma. La scorsa settimana insieme ad
altri pastori e pescatori sardi hanno attuato uno sciopero della fame negli
uffici comunali di un paese della Sardegna meridionale per attirare
l'attenzione della Regione e del Governo sulla loro situazione.

Ora hanno portato la loro lotta nella capitale perché le fosche previsioni
del sig. Pistis si stanno per avverare. Lui e la sua famiglia potrebbero
perdere tutto ciò che possiedono - pecore, terra, ovili, foraggio, le
stalle, tutto. Andrà tutto all'asta per ripianare almeno parte dei 120.000
Euro  (£83,900) che debbono alle banche.

Tutto ebbe inizio quando nel 1988 il governo regionale della Sardegna
propose loro un bell'affare, come quelli che si offrivano allora ai
contadini europei nel periodo delle vacche grasse della Politica Agricola
Comunitaria - grandi prestiti ad un interesse fisso molto basso per
modernizzare le aziende agricole. Quattro anni dopo, l'affare si sgonfiò
platealmente quando l'UE lo dichiarò illegale sostenendo che i bassi tassi
di interesse andavano contro le regole della corretta competizione.

Ma a quel punto i prestiti erano già stati spesi e quando le banche
alzarono i tassi di interesse, i contadini cominciarono lentamente ad
affondare nei debiti. Oggi circa 50.000 proprietari di terra sono debitori
alle banche per circa Euro 700 milioni (£490m). La loro unica speranza è
quella di convincere il governo centrale ad adottare delle misure di
emergenza per fermare il sequestro e la vendita all'asta delle loro terre.
Ma la speranza si accompagna alla paura.

La settimana scorsa ad un contadino in sciopero della fame è stato dato
fuoco all'azienda e Riccardo Piras, uno dei leader del gruppo che si oppone
alle svendite, ha ricevuto una lettera con il disegno di una bara: "Ti
spariamo nella schiena e incendiamo la tua terra", minacciava.

Un avvertimento per fermare la campagna volta a sensibilizzare il governo
sui problemi dei contadini. Le splendide coste sarde fanno gola
all'industria del turismo mediterraneo e, man mano che le lagnanze dei
contadini si amplificano, gli sciacalli della finanza speculativa si
organizzano. Il sig. Pistis non ha dubbi che se lui e la sua famiglia
venissero sbattuti fuori dalla loro azienda agricola, qualche albergatore
si aggiudicherebbe la terra a prezzi convenienti per costruirci un
villaggio turistico.

La crisi sarda è uno dei sintomi di una più vasta malattia dell'agricoltura
italiana. Gianni Fabbris, leader di Altra Agricoltura, un gruppo di
pressione che sostiene le famiglie sarde, così dice: "Per tagliare I fondi
destinati all'agricoltura, l'UE vuole ridurre il numero delle aziende
agricole, in particolare quelle dove si concentra il maggior numero di
addetti. Vale a dire le terre del Mediterraneo e l'Italia in particolare."

Questa politica è un enigma. La pasta, il prosciutto, i formaggi, l'olio
d'oliva e altri prodotti italiani sono molto richiesti in tutto il mondo, e
tuttavia produrre in Italia - data la volatilità dei sussidi e l'apertura
alle importazioni da tutto il mondo - è diventato maledettamente caro.
Alcuni dei celebri produttori di prosciutto italiano allevano i maiali in
Romania a costi di molto inferiori per poi riportarli in Italia negli
ultimi 3-4 mesi di vita per poterli certificare come italiani. Il grano
duro usato per fabbricare la famosa pasta italiana può essere coltivato in
Ucraina o in altri Paesi meno cari.

Nel frattempo i contadini italiani sono con le spalle al muro. Il sig.
Fabbris prevede che entro il 2013, quando cesseranno i sussidi dell'Unione
Europea, il 40% del milione di aziende agricole del Paese potranno
considerarsi estinte.