Fwd: banche armate



Vi trasmetto alcune notizie tratte da Appunti Finanziari di aprile -
http://appuntifinanziari.splinder.com/. di Roberto Cuda -
Coordinamento Nord Sud del Mondo -  perché riguardano il
comportamento delle  banche rispetto alle transazioni inerenti al
mercato degli armamenti.
 Ricordiamocene quando depositiamo i nostri risparmi
Amalia navoni - coord Nord Sud del Mondo
PS   trovate altre notizie interessanti su
http://www.fairwatch.splinder.com/.
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Da Appunti finanziari di aprile 07

Banche armate: non facciamoci prendere in giro

Di seguito il commento di Paolo Trezzi sulla recente lista delle
"banche armate" (notizia del 6 aprile), che condivido. E' vero, le
banche fanno quello che vogliono. Le campagne di pressione sono
servite a arginare il fenomeno e hanno portato a casa degli
innegabili successi. Ma appena la tensione si allenta e sentono di
non essere più al centro dell'attenzione, gli istituti tornano alla
loro unica e vera vocazione: il profitto, per il quale non guardano
in faccia a niente e nessuno. Il caso più eclatante è quello di
Unicredit, che dopo aver dichiarato solennemente nel 2001 di voler
uscire dal mercato bellico, da due anni è tornata alla grande in
questo redditizio settore e nel 2006 è comparsa addirittura tra i
finanziatori delle "cluster bombs", micidiali ordigni a
frammentazione molto simili alle mine antiuomo. Sembrava invece voler
onorare i propri impegni Banca Intesa, fino a quando l'anno scorso ha
realizzato incassi per 46 milioni di euro. Banca Popolare di Milano
sembrava indenne, grazie anche agli accordi con Banca Etica, ma da
qualche anno ha deciso di prendersi anche lei la sua fetta,
dichiarando però che sarebbe uscita gradualmente dal comparto nei
prossimi due tre anni.

Che fare allora? Anzitutto imparare la lezione e non fidarsi. Poi
fare informazione e non smettere mai di parlarne. E non c'è solo il
mercato delle armi. Ci sono banche che investono nelle
privatizzazione di un bene essenziale come l'acqua, altre (quasi
tutte) che aiutano privati e aziende a non pagare le imposte
attraverso i paradisi fiscali, altre ancora (quasi tutte) speculano
duramente sulle valute di tutto il mondo attraverso hedge funds. E'
giusto che almeno si sappia, facendo nomi e cognomi. Infine non
allentare mai la pressione. Boicottiamo le banche che giocano sporco
con i nostri soldi, senza paura. Togliamo il conto corrente e tutti i
servizi presso di loro, spiegando i motivi della nostra scelta.
Partecipiamo alle campagne di pressione nelle nostre città,
organizziamo momenti di informazione, incontri pubblici e tutto ciò
che serve a informare la gente. Lavoriamo con le amministrazioni
locali perché tolgano tali banche dalle loro sponsorizzazioni e
rinunciano ad affidare loro la tesoreria. Tutte le informazioni per
singoli e gruppi che vogliano attivarsi è su
http://www.banchearmate.it. Tutto ciò non toglie la necessità, mai
come oggi, di una riflessione più ampia sul denaro e la sua funzione.
Dobbiamo cominciare a farla, per decostruire i fondamenti di questo
sistema finanziario e fare passi concreti verso "un uso alternativo
del denaro", a partire dalle esperienze già esistenti. Roberto Cuda

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Non voglio offendere nessuno. Mi stupisco però dello stupore che,
ogni anno, accompagna la presentazione della Lista delle Banche (e
delle Nazioni) armate. La resa - o lo sforzo - che 364 giorni
all'anno mettiamo per convincerci che la nostra azione di pressione
sia efficace o che sia almeno tamponatrice. E poi il 31 marzo, alla
presentazione della relazione non possiamo far altro che constatare -
con arrendevole stupore e resa - che con questa Legge e soprattutto
questi soggetti finanziari non abbiamo speranze. Le banche fanno
quello che vogliono e ci dicono, arrogantemente, quello che vogliamo
sentirci direŠ tanto poi.
Ci ricordiamo gli anni scorsi le parole del Presidente Profumo di
Unicredit o lo scambio epistolare ormai pluriennale tra Banca Etica e
Popolare Milano: "siamo impegnati a proseguire nell'uscita dalla
Lista". Proseguire (sic!). E l'ad Passera di Banca Intesa diceva di
aver capito e sottoscriveva gli obiettivi della nostra campagna
"MancaIntesa" e non ha remore a rimangiarsele - solo un anno dopo -
e, ovviamente, non ci pensa proprio a mettere tra i punti
insindacabili per la sottoscrizione dell'accordo di fusione con
SanPaolo Torino che le banche del nuovo Gruppo non facciano parte
della Lista.          Ma cosa chiedere a questi se la stessa Banca
Etica strapazza il suo stesso Statuto sia per la partnership con BPM
che con i gestori del Fondo pensione che - "roba da matti" - propone
come strumento etico?

Mi chiedo, inoltre, se la scusa e la maggior colpa non sia degli
impotenti vertici delle banche ma che molte di queste presenze,
inaspettate, nuove o importanti sia dovuta al solo fatto che tra i
soci e/o compagni d'affari di Popolare Milano, Credito Valtellinese,
Banca Popolare Italiana, BPN/Paribas - BNL (tramite Cr Firenze) ci
sia sempre Julius Baer Investiment Management llc. (un importante
società di investimento)
E allora concludendo - e scusandomi per la lunghezza (e lo sfogo) -
forse bisogna rimettere al centro il nocciolo della questione che il
candidato sostenibile di Banca Etica scriveva tempo fa sulla rivista
Carta e in un recente post di Finansol (1marzo): "E' il caso, vale la
pena ribadirlo, di cogliere l'occasione per rilanciare la reale sfida
di un uso alternativo del denaro, che non può proprio essere
conciliante con questo modello di sviluppo"
Concordiamo che sta tutto veramente qui il nocciolo del "contendere"?
O ci tocca registrare con una licenza libera Creative commons la
parola "Etica" quando si parla didanari e finanza, per evitare che
qualche "furbetto del quartierino" se ne appropri per mettere un
altro bel prodotto sul suo scaffale pronto per quei risparmiatori che
incominciano a "mettere nel carrello" questo nuovo immaginario
alternativo, oppure più felicemente e indispensabilmente dobbiamo
scartare di lato come i pesci.
Rilanciare - come dice appunto anche Alessandro Messina, prossimo
nuovo candidato al consiglio di amministrazione di banca Etica - la
sfida di un uso alternativo del danaro con azioni di coinvolgimento
diretto, di prossimità, di tangibile esempio che il danaro non è lo
sterco del demonio che deve (e può) essere benedetto dalla sola
parola etica (o: non armata) ma è etico - con o senza parola -
proprio dall'uso alternativo che se ne fa di esso per
disegnare/attrezzare nuovi sguardi e mettere a punto nuove mappe
cognitive, nuove economie.
Che eticamente non possono finanziare 300 mediograndi aziende/banche
(armate o non armate) quotate in borsa o promotrici di Fondi pensione.
Parlo di Mag, di Fondi Sociali di prossimità modello Le Piagge, di
sostegno diretto alle cooperative, di Banchi comunali di Mutuo
soccorso, di monete locali - e di tutto quello che sapremo inventare
e sperimentare. Sono sempre più convinto che facendo questo nessuno
riuscirà più a scipparci nulla (ne denari ne speranze). E allora si
che vedremmo lo stupore che serve, quello di queste banche (armate o
non armate) che non si spiegheranno come possiamo fare a meno di
loro, come possiamo stare - volontariamente - fuori dal sistema.
Da questo sistema che è armi, ma anche speculazione sui cambi, sui
tassi, capovolgimento della ridistribuzione del capitale/reddito dal
povero al ricco (pensiamo al credito al consumo), che è sfruttamento
del lavoro, che è religione del massimo profitto a tutti i costi, che
è opacità e distruzione dello stato sociale e che è, in due parole:
finanza e non economia. Scusa, veramente, la lunghezza e lo sfogo.
Buona pasqua.
Paolo Trezzi, Khorakhanè, ugomoi at tin.it
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Venerdì, 06 aprile 2007

Italia: record ventennale dell'export di armi, affari d'oro per le
banche

E' la cifra record dell'ultimo ventennio: una manna per l'industria
armiera nazionale trainata da Finmeccanica e non pochi grattacapi per
il Governo Prodi che nel suo programma si era impegnato ad un
controllo più stringente sull'esportazione di armi. Superano infatti
i 2,1 miliardi di euro le autorizzazioni all'esportazioni di
armamenti nel 2006 con un'impennata del 61% rispetto all'anno
precedente. E sfiorano il miliardo di euro anche le consegne (970,4
milioni) effettuate sempre nel 2006.

Ma brindano anche le banche che, sempre nel 2006, si sono viste
autorizzate operazioni di incassi relativi al solo export di armi per
quasi 1,5 miliardi di euro - altra cifra record dell'ultimo ventennio
- con relativi "compensi di intermediazione" per oltre 32,6 milioni
di euro. E il gruppo San Paolo IMI - nonostante la dichiarata
policyrestrittiva - per il secondo anno consecutivo si attesta a
"reginetta" delle "banche armate". Sono i primi dati del "Rapporto"
reso noto ieri dalla Presidenza del Consiglio che però non è ancora
l'intera Relazione.

Non tranquillizzano nemmeno i destinatari delle esportazioni: al
primo posto, dopo anni di stasi, ritornano infatti gli Stati Uniti
che oltre alla flotta di elicotteri presidenziali dell'Agusta (c'è in
corso un'inchiesta negli Usa nei confronti dell'ex deputato
repubblicano Curt Weldon, il principale sponsor politico
dell'operazione) acquistano dall'Italia "bombe, siluri, razzi,
missili ed accessori", "navi da guerra", "esplosivi militari", fino
ad "armi automatiche" di tutti i calibri per un totale di oltre 349,6
milioni di euro.

Seguiti a ruota da un Paese che nei rapporti di Human Right Watch si
distingue per "vessazioni nei confronti delle organizzazioni per la
tutela dei diritti umani": gli Emirati Arabi Uniti ai quali il
Governo ha autorizzato la vendita di "bombe, siluri, razzi, missili
ed accessori" oltre che di "navi da guerra", "apparecchiature per la
direzione del tiro", "armi e sistemi d'arma e munizioni" e
"aeromobili" per oltre 338,2 milioni di euro.

Potrebbe forse rasserenare il fatto che la destinazione principale
delle autorizzazioni rilasciate riguardano i Paesi dell'Ue e della
Nato che insieme ricoprono il 63,7%, ma le esportazioni effettuate
(consegne) per l'area extra Ue-Nato salgono ad oltre il 44,2% e più
del 20,2% dei sistemi d'arma finisce in una delle zone più calde del
pianeta, il Medio Oriente e l'Africa settentrionale al quale sono
destinate armi per un valore complessivo di 442,8 milioni di euro.

Per non parlare della Nigeria che riceve armi per 74,4 milioni di
euro o del microscopico Oman che si vede autorizzate importazioni di
armi dall'Italia per oltre 78,6 milioni di euro. "Forte
rallentamento" - dice il Rapporto - della domanda dai Paesi Asiatici
(Estremo Oriente), che però ricevono consegne ingenti: l'India per
66,3 milioni di euro, la Malesia 51,4 milioni, il Pakistan 39,7
milioni, Singapore 29,1 milioni di euro. Insomma ce n'è per tutti
anche per Perù (26,8 milioni), Venezuela (16,1 milioni) e Libia (14,9
milioni).

E le banche? San Paolo-Imi si conferma per il secondo anno
consecutivo la "reginetta" delle "banche armate" tanto che
nell'ultimo anno quasi triplica il volume d'affari nel settore
passando dai 164 milioni del 2005 agli oltre 446 milioni di euro del
2006. Nonostante la policy della banca vieterebbe l'appoggio a
transazioni verso Paesi extra Ue-Nato, l'istituto di credito torinese
convoglia a sé quasi il 30% (29,9%) di tutte le operazioni di incassi
e pagamenti relative all'export di armi.

Segue BNP-Paribas che con 290,5 milioni di euro è la prima banca
estera operante in Italia attiva nel settore. Segue Unicredit, che
dopo aver dichiarato nel 2001 di voler cessare questo tipo di
operazioni da due anni ricompare con quote rilevanti nella lista
(86,7 milioni di euro nel 2006). E poi la BNL (Banca nazionale del
lavoro) che addirittura accresce del 33% il proprio volume d'affari
rispetto al 2006 portandolo ad oltre 80,3 milioni di euro. In
diminuzione le operazioni della Deutsche Bank(78,3 milioni di euro),
mentre ritorna alla grande una vecchia conoscenza delle "banche
armate": il Banco di Brescia che riceve incassi per oltre 70 milioni
di euro. In crescita anche CommerzBank (74,3 milioni di euro) che va
acquistando quote sempre più rilevanti in questo settore.

La Banca popolare italiana passa da 14 a 60 milioni e guida il gruppo
di tutte le banche al di sotto dei 60 milioni di euro. Preoccupante,
in questa fascia, la ripresa delle operazioni di Banca Intesa che con
i 163mila euro del 2005 sembrava onorare la policy di "non
partecipazione" al settore: nel 2006 realizza invece incassi per 46
milioni e l'Istituto capitanato da Bazoli dovrà ora affrontare la
sfida della fusione con SanPaolo-Imi, prima "banca armata" d'Italia.

Da segnalare anche la presenza di Banca popolare di Milano (17
milioni di euro -50% dallo scorso anno), al centro di una grossa
discussione insieme a Banca Etica di cui è socia fondatrice e per la
quale opera anche all'interno di Etica Sgr e della gestione fondi.

Infine, una nota lieta, forse l'unica del Rapporto 2006: la drastica
discesa da 133 a 36 milioni di euro delle autorizzazioni riferite a
Banca di Roma: un segno - vogliamo augurarcelo- che la partecipazione
ai convegni organizzati dalla Campagna 'banche armate' ha un effetto
positivo sui vertici delle banche.

Giorgio Beretta - Unimondo/Campagna di pressione alle "banche armate"
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Ancora su banche e cluster boms. Raccolte 30.000 firme per la messa
al bando

Un rapporto della Ong belga Netwerk Vlaanderen svela gli stretti
legami tra ben 68 istituti di credito e una mezza dozzina di
compagnie che producono le "clusterbombs", bombe a frammentazione che
restano in parte inesplose e hanno effetti simili alle mine antiuomo.

Tra le numerose banche europee spiccano le italiane HVB-Unicredit e
Mediobanca. Entrambe partecipano al programma di finanziamento EMTN
della francese Thalesche - come riporta sempre l'indagine della Ong
belga - attraverso la controllata TDA produce non solo missili ma
"diversi tipi di cluster bombs". "La TDA - riporta la Ongbelga - ha
ammesso alla Banca Centrale Norvegese di aver prodotto 'PR Cargo
bomb' contenenti 16 sottomunizioni dual effect. Nel 2006 la Forges De
Zeebrugge, a sua volta una controllata della TDA, ha ammesso di
lavorare alla produzione di missili a 70mm FZ101 rocket contenenti 8
sottomunizioni per l'elicottero Tiger Helicopterdell'esercito
tedesco". E Unicredit - che nel 2005 ha acquisito la banca HVB
partecipa con 85 milioni di euro al credito della EADS.

Le banche - nota la Ong belga - spesso contestano l'applicabilità di
questi prestiti al finanziamento diretto alle cluster bombs
affermando che "queste linee di credito non sono specificatamente
dirette a finanziare la produzione di cluster bombs". Ma la Ong belga
replica che "di fatto, nessuno dei prestiti alle imprese (corporate
loans) riportati nel rapporto include clausole atte ad impedire alle
ditte di usare tali prestiti per la produzione di cluster bombs. E
anche se tali clausole fossero introdotte, sarebbe ben difficile
contestare alle imprese in questione lo spostamento (legale) di
capitali all'interno dello stesso gruppo".

Intanto la raccolta delle firme avviata a gennaio dalla Campagna
Italiana contro le Mine per chiedere al Parlamento di estendere gli
effetti della vigente legge sulle mine antipersona (374/97), anche
alle cluster bombs ha raggiunto nei giorni scorsi quota 30.000 firme,
ma il progetto di legge per la messa al bando definitiva di questi
ordigni è ormai da tre mesi in attesa della calendarizzazione in
Parlamento - riporta la Campagna Italiana contro le Mine (per
firmareonline:http://www.campagnamine.org).

Nello scorso mese di febbraio 46 paesi hanno sottoscritto ad Oslo una
dichiarazione che impegna alla totale messa al bando di questi
ordigni entro il 2008, dopo che nello scorso novembre era fallito
l'ennesimo tentativo di regolare o proibire a livello internazionale
l'uso delle munizioni cluster in seno alla Convenzione sulle armi
convenzionali (CCW). Tra i paesi che hanno assunto delle posizioni
piuttosto decise verso le cluster bombs e che hanno sottoscritto la
dichiarazione di Oslo, 17 sono produttori e detengono circa il 50%
della produzione mondiale di munizioni a grappolo. (Fonte: Unimondo)
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Mercoledì, 04 aprile 2007

Il Financial Times assegna premio-farsa alle banche più responsabili

Il Financial Times e l'International Finance Corporation hanno
assegnato il 2007 FT Sustainable Banking Awards, riconoscimento a
favore delle banche che hanno dimostrato capacità di gestione e
innovazione "nell'integrazione di obiettivi sociali, ambientali e di
corporate governance nella propria attività". Quanto siano fasulli
tali premi lo dimostrano le prime cinque banche vincitrici: Abn Amro,
Barclays, HSBC, Standard Chartered Bank e Bank Sarasin. Solo qualche
esempio. Abn Amro è al centro di proteste in tutto il mondo per il
contestatissimo progetto ShakalinII, che avrà un impatto ambientale a
dir poco devastante, Barklays e Standard CharteredBank hanno
finanziato il regime di Mugabe in Zimbabwe, accusato di pesanti
violazioni dei diritti umani, Hsbc ha sostenuto la quotazione della
Samling Global Ltd, con sede in Malaysia, responsabile della
crescente distruzione di importanti aree di foresta tropicale nel
Borneo. E se queste sono le più responsabiliŠ