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L'ENI: multinazionale etica o rapinatrice di risorse energetiche?
- Subject: L'ENI: multinazionale etica o rapinatrice di risorse energetiche?
- From: Direttore Radio Città Aperta <direttore at radiocittaperta.it>
- Date: Tue, 17 Apr 2007 07:47:11 +0200
L’ENI: multinazionale etica o rapinatrice di risorse energetiche? Un’intervista di Gabriele Paglino, redattore di Radio Città Aperta, al dottor Gianni Di Giovanni, Direttore Relazioni con i Media Italiani e Internazionali D - Dott. Di Giovanni, è al corrente dell’iniziativa dell’Ong “Un ponte per...” relativa all’opera dell’Eni in Iraq? Di Giovanni: La cosa che vorrei specificare, e vorrei chiarire in maniera definitiva, è quella dei nostri attuali accordi con l’Iraq…..stiamo parlando di Iraq o Iran? D - Iraq. Di Giovanni: Allora vorrei precisare una volta per tutte il concetto che in questo momento noi non abbiamo nessun tipo d’iniziativa di esplorazione o di gestione di risorse di idrocarburi in Iraq. Abbiamo con la società petrolifera irakena, ma da ormai moltissimi anni (dovrebbero essere una decina), un accordo che prevede che alcuni tecnici irakeni possano frequentare i nostri centri di addestramento in Italia per avere maggiori conoscenze, gli ultimi ritrovati in termini di conoscenza che noi abbiamo della ricerca e della gestione degli idrocarburi, come una gestione tra le due compagnie, ovvero la compagnia irakena e Eni. Quindi c’è questo accordo che prevede che questi tecnici stiano in Italia e imparino da noi alcune tecniche. D - Mi sta dicendo che l’Eni non è presente in Iraq? Di Giovanni: In questo momento l’Eni non è presente in Iraq con nessun centro, nessun pozzo, nessuna istallazione e nessun tipo di operazione di ricerca o sviluppo di idrocarburi. Questo non perché noi non siamo interessati al Paese, perché è un Paese molto interessante dal punto di vista del petrolio o del gas, ma perché in questo momento non ci sono le condizioni per poter operare in tranquillità e in sicurezza come succede in altri Paesi. D - Quindi quello che sostiene “Un ponte per” è tutto falso? Secondo “Un ponte per” non sarebbe sbagliato dire che l’Eni stia approfittando della situazione, sfruttando la guerra in Iraq, una guerra finanziata dalle stesse multinazionali del petrolio che hanno sostenuto l’elezione di Bush alla Casa Bianca, e che secondo alcune stime farebbe entrare nelle casse dell’Eni per il solo giacimento di Nassirya ben 6 miliardi di euro? Di Giovanni: Sono tutte fantasie. D - E’ inevitabile però che la nuova legge sul petrolio approvata dal Governo fantoccio iracheno, quindi sotto la pressione statunitense, garantisca enormi profitti alle multinazionali energetiche. L’Eni non fa parte di quel cartello, di quella lobby chiamata I.T.I.C. (International Tax & Investment Center)? Di Giovanni: Io le posso dire che la legge che abbiamo letto dai giornali, che è stata recentemente approvata in Iraq - dico che abbiamo letto dai giornali perché non abbiamo avuto la possibilità ancora di leggere il testo in maniera approfondita - non è né più e né meno che la stessa normativa che regola la ricerca, lo sviluppo e la gestione di idrocarburi negli altri Paesi della penisola Arabica e del mondo arabo. Non c’è nessuna grande differenza. Per quanto riguarda le valutazioni sul governo che lei ha fatto ovviamente sono valutazioni che non ci possono trovare concordi perché il governo irakeno è un governo legittimamente eletto. Questa legge comunque sarà oggetto di nostra valutazione e se un domani dovessero esserci le condizioni di sicurezza per poter operare in quel Paese e ci fossero date le possibilità di poterci operare cosi come facciamo in altri settanta Paesi in giro per il mondo non vediamo perché non sia il caso di poterlo fare. Tutto questo, però, non ha alcuna applicazione pratica se non il fatto che, ripeto, alcuni tecnici della società petrolifera irakena sono presenti presso i nostri centri di formazione per avere tutto il supporto manageriale e tecnologico possibile. D - Lei, quindi, non sa cosa siano i Production Sharing Agreement? Di Giovanni: so benissimo cosa sono, dico soltanto che in Iraq non abbiamo nessun P.S.A. D - Ci vuol spiegare cosa sono? Di Giovanni: Sono dei contratti che normalmente vengono utilizzati in tutto il mondo e che regolano l’attività di una multinazionale di qualsiasi Paese che sfrutta ed estrae il petrolio in un Paese che non è il proprio. Quindi il P.S.A. che regola la nostra attività in Libia, tanto per fare un esempio, è un contratto che regola le percentuali di petrolio o di gas che noi estraiamo da quel posto per ciò che dobbiamo averne noi come ritorno dell’investimento che abbiamo fatto per l’estrazione e per la gestione e la parte che rimane nel Paese d’origine. D - Secondo il rapporto presentato da Greg Muttit dell’Ong britannica “Platform” il meccanismo dei Psa, che avvengono in maniera del tutto segreta, è tale per cui lo Stato rimane formalmente proprietario dei giacimenti (e quindi si aggira l’ostacolo della privatizzazione) ma la ripartizione dei costi e dei profitti va a vantaggio delle compagnie petrolifere che contabilizzano nei propri bilanci le riserve dei giacimenti vincolate per un periodo che va dai 25 ai 40 anni. Di Giovanni: E’ un parere di questo “autorevole” signore che noi rispettiamo ma la verità è un’altra. Le dico soltanto che se ci fosse qualcosa di storto in questi contratti, che vengono fatti da decine di anni, con tutto quello che c’è stato in termini di crescita anche dal punto di vista sociale, etico e culturale di questi Paesi molto probabilmente qualcuno avrebbe avuto da ridire. Nella realtà dei fatti questi contratti si fanno da moltissimi anni e si continuano a fare, il che significa che molto probabilmente le valutazioni che vengono fatte da persone esterne sono totalmente rispettabili ma poi non corrispondono al vero. D - Lo stesso Muttit sostiene che le multinazionali del petrolio si garantiscono un ritorno del proprio investimento che può andare dal 42 al 162 per cento….. Di Giovanni: No, guardi sono cifre fantasiose. Io posso dirle che in linea di massima i P.S.A. prevedono che una compagnia internazionale sfrutti un giacimento nell’ordine del proprio ritorno tra il 20% e il 30%, quindi il 70, 80% rimane al Paese in cui questo giacimento è presente. Questi, perlomeno, sono gli accordi che facciamo noi di Eni, quelli degli altri, ovviamente, sono riservati, non li conosciamo e quindi non le saprei dire. D - Su una pagina del sito dell’Eni dedicata ai principi si parla di etica degli affari, rispetto dei diritti umani, cooperazione, rispetto degli stakeholders ovvero di fornitori, comunità, partner commerciali, organizzazioni civiche, associazioni di categoria, rappresentanze sindacali. Come concilia l’Eni questi nobili principi con l’attività nei Paesi in cui opera? Di Giovanni: Questi sono principi fondanti della nostra compagnia, sono principi che il nostro fondatore Mattei ha scritto nel dna dell’azienda e che sono stati portati avanti successivamente sino a Paolo Scaroni oggi. Su come lo facciamo ci sono centinaia di esempi che potrei citarle me ne basta però uno: in un Paese, peraltro molto particolare che è stato ultimamente all’attenzione della cronaca per un rapimento di quattro nostri lavoratori ovvero la Nigeria, noi abbiamo ricevuto da parte delle Nazioni Unite un premio per le attività sociali, industriali eco-compatibili di una nostra raffineria in Nigeria. Un premio di cui andiamo particolarmente fieri, è un attestato che fa onore a quella pagina di internet che lei ha letto ma soprattutto alla storia di una delle aziende che ha messo l’etica al primo posto in quelle che sono le attività quotidiane. D - Parlate, però, anche di rispetto dell’ambiente e in Ecuador l’Eni ha costruito un oleodotto privato, un serpente di circa 513 Km che ha spaccato in due il Paese, distrutto gran parte delle foreste ancora rimaste e violato i diritti delle comunità vicine a quel condotto. Le attività nel Blocco 10 (un’area dell’Amazzonia ecuadoriana) hanno provocato un fortissimo impatto ambientale con la deforestazione e scarico diretto di rifiuti tossici... Di Giovanni: Queste sono le valutazioni che vengono fatte da osservatori che le riportano spesso e volentieri senza che queste vengano asseverate da istituzioni internazionali che poi siano in grado di certificarne la veridicità. Quello che le dico è che in Ecuador noi abbiamo realizzato un’opera importante per il Paese che ha contribuito allo sviluppo sociale e che ha consentito all’Ecuador di poter sfruttare in maniera adeguata una ricchezza del proprio sottosuolo. Lo abbiamo fatto sempre e comunque rispettando l’ecosistema, e dove ci sono stati incidenti o situazioni limite siamo intervenuti a compensare sia dal punto di vista ambientale sia da quello sociale chi ne era stato danneggiato. E le assicuro che questa è la nostra prassi normale in ogni luogo e in ogni tempo. D - Secondo Benito Li Vigni, ex dirigente dell’Eni, che lei forse conoscerà, non è un caso che il contingente italiano si sia attestato nella zona di Nassirya dove all’Eni Saddam Hussein, già nel 1996, aveva concesso lo sfruttamento del petrolio. Insomma c’era un vero e proprio contratto Eni-Saddam. E da una famosa inchiesta di Rainews24 si apprende l’esistenza di un dossier del Ministero delle attività produttive del 21 febbraio 2003 – dunque un mese prima che Bush dichiarasse invadesse l’Iraq – in cui era già stata individuata, da parte dell’Italia, la zona di Nassirya come luogo d’intervento delle truppe italiane al fine di sfruttare i giacimenti di petrolio presenti cioè quelli promessi di Saddam all’Eni; in ultimo Claudio Gatti, corrispondente de Il Sole 24 ore a New York, riferì in un suo articolo, citando fonti usa della Cia e dell’Autorità di coalizione provvisoria in Iraq, che l’attacco alla caserma italiana di Nassirya non era un segnale diretto a colpire i militari italiani ma un avvertimento teso ad allontanare l’Eni. Insomma Di Giovanni, la domanda è questa: si è detto che la missione Antica Babilonia sia stata decisa per motivi umanitari, di peacekeeping. In realtà lo scopo era un altro? Di Giovanni: Sono fantasie, mi fa piacere che mi abbia fatto questa domanda perché mi dà la possibilità di dire che si tratta di una fandonia colossale, perché il pre-accordo che era stato realizzato nel 1998 tra l’Eni e l’ente petrolifero irakeno riguardava un giacimento nella regione di Nassirya, che è un posto che dista alcune centinaia di chilometri dal posto dove i nostri militari si erano attestati per la missione Antica Babilonia. Tutto questo è contenuto in una risposta da parte del Ministro della difesa e dal Ministro delle attività produttive ad una serie di interrogazioni che furono fatte all’epoca di questa falsa dichiarazione da parte di questo signore, che non conosco, non so chi sia e che molto probabilmente dice queste cose senza conoscerle. Per ciò che riguarda i nostri accordi con l’Iraq, questo pre-contratto di cui le parlavo prima, l’anno successivo o se non sbaglio due anni dopo questo accordo venne completamente cancellato perché gli irakeni ritennero di voler assegnare quell’area alla loro compagnia petrolifera senza intervento da parte di altre aziende internazionali. E’ rimasto in piedi, lo ribadisco, soltanto un accordo di cooperazione manageriale tra i tecnici della società petrolifera irakena e l’Eni: questi tecnici sono stati in Italia fino a qualche tempo fa, stiamo parlando di alcuni mesi fa, a fare questo aggiornamento professionale. Non sono previsti per il prossimo futuro altre permanenze da parte di tecnici (irakeni) in Italia. Altro non c’è, il resto, lo ripeto, sono tutte fantasie. D - Un’ultima domanda Dott. Di Giovanni: in che modo l’Eni riesce a conciliare gli accordi che ha con l’Iran e l’Ilsa, una legge statunitense che si prefigge di sanzionare le imprese che investono in Iran? Glie lo dico perché ci risulta che l’Eni sia uno dei maggiori partner dell’Iran. Di Giovanni: L’Eni è un’azienda italiana che sottostà alle normative italiane e casomai alle normative Comunitarie, quando le normative italiane e quelle Comunitarie recepiranno eventuali indicazioni che arriveranno da organismi internazionali come l’ONU, e non certo dal governo americano, ovviamente ci comporteremo di conseguenza. Fino a quel momento continueremo a fare il nostro mestiere nei tanti Paesi in cui lo facciamo, apprezzati dalla popolazione e dai governi locali. D - Quindi l’Eni o il governo italiano per l’Eni non sono mai stati sanzionati? Di Giovanni: Non per le vicende di cui lei mi stava parlando prima. D - Per quali vicende allora? Di Giovanni: Lei mi stava parlando di una normativa americana che sanzionava le aziende che lavoravano in Iran? D - Si. Di Giovanni: Ecco, quindi, non c’è niente di questo per quanto ci riguarda. La ringrazio.
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