rassegna stampa: Legambiente, Agrienergie sostenibili



Vi giriamo un comunicato di Legambiente sulla necessità di sviluppare
modelli sostenibili di agrienergie.
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Roma, 20 marzo 2007
Comunicato Stampa



AGRIENERGIE SOSTENIBILI

PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO TERRITORIALE



L’AGRICOLTURA DI QUALITA’, SOSTENIBILE E LEGATA AL TERRITORIO

PER COMBATTERE I CAMBIAMENTI CLIMATICI



BIOMASSE, BIOCARBURANTI E BIOGAS IN SALSA ITALIANA

CON FILIERE CORTE GESTITE DAGLI AGRICOLTORI



E’ possibile che l’agricoltura italiana contribuisca efficacemente allo
sviluppo delle energie rinnovabili per la diminuzione delle emissioni
inquinanti ed il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di
Kyoto? E’ possibile che questo avvenga in modo corretto, tale da garantire
la sostenibilità ambientale dell’impresa e la tutela anche economica
dell’agricoltore?

Dal convegno organizzato oggi a Roma da Legambiente insieme al Ministero
delle Politiche agricole alimentari e forestali e all’Unione Province
Italiane sulle agrienergie sostenibili - e al quale hanno preso parte, tra
gli altri, i Sottosegretari del Ministero delle Politiche agricole Guido
Tampieri e Stefano Boco, il Vicepresidente dell’Upi e Presidente della
Provincia di Ascoli Piceno Massimo Rossi e il Direttore generale di
Legambiente Francesco Ferrante -  è emersa la risposta positiva a queste
domande.

“La ricetta – ha dichiarato Francesco Ferrante – risiede proprio nella
tipicità del nostro sistema agricolo. Solo partendo dal riconoscimento
delle caratteristiche di qualità della nostra agricoltura, orientata alla
qualità piuttosto che alla quantità, alla tipicità piuttosto che alla
omologazione della produzione industrializzata, al legame con il territorio
di provenienza piuttosto che alla delocalizzazione e all’utilizzo di OGM,
sarà possibile affrontare correttamente la nuova sfida per il nostro
territorio”.

E proprio un’agricoltura di qualità può dare un contributo significativo
anche alle politiche contro i cambiamenti climatici, se realizzata con la
consapevolezza dei paletti entro i quali tale contributo può dispiegarsi.
Per le coltivazioni agricole destinate alla produzione di energia devono
infatti essere preventivamente ben valutati i bilanci idrici ed energetici
delle stesse, perché non avrebbe senso usare a fini energetici coltivazioni
che richiedono grandi usi di acqua e che aggraverebbero le crisi idriche
già in atto, né trascurare, per il bilancio energetico, quanta energia si
consuma nella produzione e soprattutto nel trasporto. Inoltre, attraverso
l’utilizzo di appropriate tecniche colturali (sovescio, interramento dei
residui, minime lavorazioni dei terreni) per esempio, può aumentare la
quantità di carbonio organico nel terreno. Se il contenuto di carbonio
organico dei suoli italiani (oggi circa 17 milioni di ettari di superficie
utilizzabile) aumentasse ad un ritmo dell’1% all’anno (passando cioè da 70
a 70.7 tonnellate di carbonio organico per ettaro in un anno), si
sequestrerebbero, in un solo anno, 45 milioni di tonnellate circa di CO2
atmosferica, pari al 10% delle emissioni di gas serra del nostro paese.

Da qui la scelta di promuovere esclusivamente le filiere virtuose, corte e
rispettose delle vocazioni anche paesaggistiche dei territori.

“Se in positivo va segnalato che la finanziaria 2007 contiene misure che
rilanciano il settore dei biocarburanti fissando quote minime da immettere
al consumo, incentivazioni attraverso la defiscalizzazione e programmi per
favorire la creazione di una filiera nazionale di biocarburanti – ha
continuato Ferrante -, pensiamo sia necessario precisare ulteriormente le
caratteristiche di questa nuova agricoltura da promuovere, perché
altrimenti anche l’obiettivo europeo di raggiungere entro il 2020 il 10% di
biocarburanti rischia di diventare un traguardo pericoloso relativamente
agli equilibri che invece bisogna mantenere sul territorio”.

Bisogna quindi fissare un obiettivo relativo alla percentuale del
fabbisogno energetico nazionale che sia possibile soddisfare grazie alle
fonti energetiche di origine agricola da filiera corta, (riteniamo
realistico l’obiettivo del 5% entro il 2010); scegliere l’applicazione di
sistemi idonei alle caratteristiche ambientali del territorio in un
contesto di piena sostenibilità; sostenere l’organizzazione della filiera
produttiva da parte degli imprenditori agricoli; gestire con lungimiranza
il patrimonio forestale in un ottica di applicazione del protocollo di
Kyoto; incentivare la diffusione delle buone pratiche agricole, a partire
dall’agricoltura biologica, e premere affinché sia esteso alle biomasse da
filiera corta il sistema di incentivazione in conto energia previsto
attualmente solo per il fotovoltaico.

Tutto ciò consentirebbe di scongiurare – o almeno di contribuire a limitare
– i danni devastanti che le produzioni intensive di biocarburanti in alcuni
paesi del terzo mondo stanno provocando all’ecosistema e soprattutto alle
popolazioni che vivevano prevalentemente dei prodotti delle loro terre. E’
il caso del boom dell'industria della palma da olio in Indonesia, per
esempio, che ha come risvolto deforestazione, conflitti per la terra,
perdita di biodiversità e aumento dei consumi energetici dovuto al
trasporto della materia prima dal luogo di produzione ai paesi
industrializzati. Secondo un documento presentato alle Nazioni Unite
dall'Alleanza dei popoli indigeni di Kalimantan Occidentale (Ama Kalbar),
lo sviluppo di piantagioni di palma da olio su larga scala ha distrutto
l'economia locale di molte comunità indigene che sono ora sotto il
controllo delle compagnie dalla palma da olio e ne dipendono economicamente
con effetti devastanti sulla loro vita e sulla loro cultura. La
deforestazione ha portato a fenomeni di erosione dei suoli e al degrado dei
bacini idrici, mentre la sostituzione dei sistemi agricoli tradizionali con
monoculture rischia di impoverire la diversità biologica.

L'importazione di biocombustibili dall'estero provoca inoltre un
sostanzioso aumento del consumo energetico e delle emissioni inquinanti
dovute al trasporto di tali sostanze.



Secondo la Coldiretti, l’Italia  dispone dei terreni, delle professionalità
e delle tecnologie adeguate a sviluppare all'interno dei confini la
produzione di biocarburanti. La recente firma dell'accordo quadro di
filiera per lo sviluppo di energie rinnovabili consentirà per il 2007 la
coltivazione di semi oleosi a fini energetici, come colza e girasole, per
70mila ettari di terreno dai quali è possibile ottenere circa 70mila
tonnellate di biodiesel. La superficie coltivata sarà incrementata negli
anni successivi a 180mila ettari nel 2008 e a 240mila ettari nel 2009 che
significa un risparmio di 250mila tonnellate di equivalente petrolio per
permettere all'Italia di avvicinarsi all'obiettivo fissato dalla
Commissione Europea con la prospettiva di aumentare entro il 2020 la
proporzione di utilizzo fino al 10 per cento. (Fonte: Coldiretti)





Alcuni dati:



Attualmente la filiera dei biocarburanti (biodiesel e etanolo) in Europa  è
in forte sviluppo con una produzione di quasi 4 milioni di tonnellate con
una crescita del 66% che dovrebbe proseguire nei prossimi anni. Il settore
risulta dominato dalla Germania (con metà circa della produzione), mentre
la produzione italiana è sempre più diretta all’esportazione.(Fonte:
Ambiente Italia 2007)



Biomasse: dati, esperienze positive e negative in Italia

La produzione totale di energia da fonti rinnovabili in Italia oggi è pari
al 7% della produzione totale di energia primaria, corrispondente a 16,5
megatep, di cui solo i 4 da biomasse.

Eppure sono in crescita i Comuni italiani che utilizzano impianti a
biomasse. Oggi grazie a impianti che utilizzano legno e biomasse (e non
rifiuti come purtroppo considera la normativa italiana) si produce
elettricità pari a 1.981GWh per un fabbisogno di 792mila famiglie. Sono in
rapida diffusione esperienze locali virtuose di impianti capaci di
utilizzare biomasse locali che producono elettricità ma soprattutto calore
che grazie a una rete di teleriscaldamento permette di riscaldare case
(come a Brunico e Tirano), scuole e edifici pubblici (come a Camporgiano e
Casole D’Elsa).

In negativo segnaliamo le centrali a biomassa di Crotone e Strongoli,
rispettivamente da 22MW e 40 MW, che rappresentano un chiaro esempio di ciò
che Legambiente intende per centrale a biomassa non sostenibile.

Le due centrali in questione infatti utilizzano la biomassa solo per la
produzione di energia elettrica,

disperdendo nell’ambiente tutto il calore prodotto che potrebbe soddisfare
una buona percentuale di

fabbisogno di acqua calda sanitaria delle utenze dei due Comuni. Inoltre le
due centrali richiedono

per il loro funzionamento circa 700 mila tonnellate di biomassa, che in
buona parte non è reperibile

a livello locale e dunque viene importata via mare dal Brasile, dal Centro
America e dal Portogallo.





Obiettivi del Protocollo di Kyoto

n       Ridurre le emissioni di CO2 dell’8% nel periodo 2008-2012 rispetto
al 1990. Per effetto di un accordo tra i paesi membri dell’Unione, l’Italia
è chiamata a limitare le proprie emissioni del 6,5%.

n        il nostro paese  dal 1990 al 2004 ha incrementato le emissioni del
13%, e per il 2005-2006, pur non disponendo di dati ancora ufficiali, non
si è riscontrata una significativa inversione di rotta, considerando anche
i continui incrementi di consumo di energia e il costante aumento della
generazione a carbone nel settore termoelettrico.

n       Attualmente, quindi, l’Italia dovrebbe diminuire le proprie
emissioni di circa il 20% entro il 2012

n      La proposta dell'UE prevede un obiettivo generale vincolante del 20%
di energie rinnovabili e un obiettivo minimo, anch'esso vincolante, del 10%
di
<http://store.ihs.com/specsstore/controller?event=LINK_SEARCH&search_value=biofuels&all_text=true&mid=w092>biocarburanti,
da raggiungere entrambi entro il 2020



MODELLO DI FILIERA AGRO-ENERGETICA

La priorità per il sostegno economico alle filiere agroenergetiche  deve
essere rivolta a proporre e sostenere sistemi che aggrediscano le grandi
criticità economiche e ambientali del settore agricolo che sono :

n       Il reddito agrario

n       La disponibilità futura dell’acqua

n       L’eccessivo uso di fossili per i processi produttivi

q      150 L/Ha di gasolio per le pratiche agricole convenzionali che per i
9 milioni di ettari di SAU arabile rappresentano ben 13,5 milioni di
quintali di gasolio/anno.

q      Prodotti fitosanitari pari a 1,5 milioni di quintali

q      Fertilizzanti pari a 51 milioni di quintali  dei quali gli azotati
corrispondono a 6,5 milioni di quintali)

n       La corretta gestione igenico-sanitaria degli allevamenti

q      La biosicurezza

q      I nitrati derivanti dai reflui zootecnici.

n       La senilizzazione del settore agricolo e l’abbandono del presidio
territoriale





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