rassegna stampa: Quote Latte e crisi del settore Lattiero caseario.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
----------------------------------

Quote Latte e crisi del settore Lattiero caseario.

Il 21 luglio, a Verona, numerosi allevatori, in rappresentanza di tanti
comitati spontanei fuori dalle storiche organizzazioni sindacali degli
allevatori
italiani, si sono ritrovati per fare il punto sulla ormai ventennale
questione delle quote latte. Ancora una volta anche noi di AltrAgricoltura
N.E.  ci siamo ritrovati in questo grande e differenziato universo di
organizzazioni con cui negli anni, con reciproca autonomia, ci siamo
confrontati, in particolare nelle lotte contro il decreto  119/Alemanno del
2003.
Oltre a Roberto Cavaliere, di Brescia per tutte le realtà autorganizzate
della Lombardia e del Piemonte, erano presenti Wilmare Giacomazzi del COSPA
nazionale,  Cosimo Gallone di Brindisi per le realtà organizzate della
Puglia,  i rappresentanti del Lazio, Carnevale e Valentina Vidor.
Erano inoltre presenti alcuni avvocati dei comitati ed in particolare
Maddalena Aldegheri.
L’intento che ci proponiamo con queste righe che prendono spunto da questa
discussione del 21 luglio è quello di riportare l’attenzione degli operatori
del settore, della società civile che ne vive i devastanti effetti, della
politica che non ha saputo trovare soluzioni adeguate, alla centralità
politica e sociale della crisi del settore lattiero caseario, settore
fondamenta portante della nostra agricoltura.
L’approfondirsi di questa crisi è innegabile ed evidenziato nei due dati:
sempre meno latte prodotto e sempre più basso il suo prezzo alla stalla. La
legge 119, voluta nel 2003 dal ministro Alemanno, come si preannunciava
durante tutte le iniziative di base volte a modificarla, non ha risolto ne
il problema delle quote ne quello del diritto al giusto reddito per il
lavoro di agricoltori ed allevatori, questa situazione richiede di fare
chiarezza e con essa la ripresa di iniziative volte ad evitare gravissime
conseguenze per migliaia di aziende agricole che sotto la scure del binomio
multe/mancata reddiditività rischiano il fallimento travolgendo le speranze
di sopravvivenza e ripresa dell’intero settore.

Per tutti è l’occasione per riprendere il ragionamento sulla possibilità di
vivere un altro modello agricolo, svincolato dalle lobby nostrane ed
Europee, che ponga a fondamento della sua vitalità la questione della
Sovranità Alimentare dei popoli e del Ciclo Corto, un terreno concreto per
verificare percorsi e proposte. Il caso del settore lattiero caseario
italiano  è sicuramente la palestra ideale per impegnare tutti a formulare
proposte
concrete.
Guglielmo Donadello – AltrAgricoltura Nord Est


QUOTE LATTE

Come funziona il regime delle quote latte

Nell’Unione europea, la commercializzazione del latte bovino è soggetta a
restrizioni attraverso la fissazione di quantitativi di riferimento
nazionali (quote) da non superare, lo scopo era di conseguire un equilibrio
tra domanda e offerta. Ad ogni Stato membro sono attribuiti due quantitativi
di riferimento, uno per le consegne alle latterie e l'altro per le vendite
dirette ai consumatori. Tali quantitativi sono ripartiti tra i produttori di
ciascuno Stato membro sulla base della produzione storica, mediante l’
assegnazione di quote individuali. In caso di superamento della quota
nazionale durante la campagna lattiera (che ha inizio il 1° aprile e termina
il 31 marzo), i produttori dello Stato membro che hanno determinato l’
eccedenza sono tenuti a pagare un prelievo, previa riassegnazione dei
quantitativi di riferimento inutilizzati. L’importo del prelievo è pari a
0,3327 euro per ogni kg di latte in eccedenza. Anteriormente al 1° settembre
d’ogni anno gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione i
risultati dell’applicazione del regime delle quote latte nel periodo
precedente.


E nel nostro paese

La lunga storia delle quote latte, inizia nel 1984, quando, a livello di
Comunità Europea, per far fronte alle rilevanti eccedenze di latte e suoi
derivati sul mercato, (latte in polvere, burro), in particolare nei paesi
bassi e in Germania, si decise di regolare la produzione.
Nel lontano 1984, cioè 22 anni fa, la Comunità chiese all’Italia di valutare
i dati produttivi nazionali, l'allora ministro dell'agricoltura Pandolfi,
decise di affidare all'AIA (Associazione Italiana Allevatori) la rilevazione
della produzione di latte. In Italia nel 1984 erano allora presenti un
numero elevatissimo d’aziende zootecniche di piccola e piccolissima
dimensione (oltre 300 mila contro le 47.000 d’ora) che spesso non emettevano
nessun documento fiscale atto alla loro identificazione. In quel contesto
strutturale, sia per la mancanza di un efficiente sistema di rilevamento,
sia per il "nero" fiscale, la ricognizione fu difficoltosa e complessa, e
portò a rappresentare un dato non rispondente alla realtà (secondo alcuni i
dati ISTAT si erano sbagliati di circa il 40% in meno rispetto all’effettiva
produzione lattiera italiana).
Per altro va ricordato che allora l'Italia nella comunità Europea (governo
Craxi), aveva maggiore interesse a sostenere le produzioni industriali
anziché quelle agricole. Ci si accorse ben presto che i quantitativi
prodotti eccedevano di gran lunga la quota assegnata, e che, dato il regime
sanzionatorio cui era stato deciso di sottoporre il settore, questo portava
alla comminazione da parte della Comunità, di salate contravvenzioni per il
nostro paese.
Le multe, per altro, all'epoca non erano pagate dagli allevatori, ma dallo
stato italiano poiché mancava, ed è mancato (e manca ancora) per lunghissimo
tempo, un sistema efficiente di rilevamento. Un errore politico che si è
tradotto in un danno enorme per il sistema paese, per la sua agricoltura più
avanzata e piu legata al concetto di multifunzionalità: la zootecnia per al
produzione del latte.

Fino agli anni '90, infatti, la Comunità ha ammesso che si rappresentasse la
produzione italiana di latte con un "bacino unico nazionale" dove l'Italia
era considerata come un'unica azienda, cui far riferimento, per i computi
produttivi e cui comminare le multe. Per oltre un quinquennio le multe
furono pagate dal sistema paese, con il meccanismo, ancora in atto, che
prevede una minor erogazione dei fondi UE complessivi perché alle quote
contributive spettanti è regolarmente trattenuto la sanzione per le
produzioni eccendentarie creando un contemporaneo stato di crisi finanziaria
da parte dell'organismo gestore dei fondi (ora l'AGEA) che si trova a dover
erogare più di quanto percepisca, con gravi difficoltà per tutte le
iniziative del settore agricolo.

Arriviamo al '92 quando con la legge 468/92 si sono individuati meccanismi e
regimi tali, da poter identificare, chi produce e di quanto eccede.

Dal ’95-‘96 si cominciarono ad avere, con criteri assolutamente discutibili,
dati certi azienda per azienda in base alle assegnazioni di quote e quindi
si assegnarono le multe a chi realmente produceva troppo. Per inciso questo
lo afferma il generale della guardia di finanza Lecca che cosi chiudeva la
sua relazione alla 1a commissione parlamentare di inchiesta: «Risulta palese
una monumentale presenza di fenomeni truffaldini posti in essere da taluni
primi acquirenti con la complicità di titolari di quote di carta. Fenomeni
che si sono sviluppati se non con l'avvallo dei responsabili delle
Associazioni di produttori». Si aggiunga pure che in molti casi le sedi
delle Apl o delle organizzazioni sindacali sono state il luogo fisico in cui
si è svolto, a tavolino, il controllo affidato dall'Aima alla Ccia. Di
questa conclamata inefficienza nella gestione dei dati, secondo la
Commissione Lecca sia il ministero che l'Aima erano informati. In più, il
prezzo era alto: l'attività Csia è costata 72 miliardi l'anno. «La
consapevolezza della situazione è comprovata dal verbale della deliberazione
commissariale del maggio '95: "In via preliminare esiste una situazione
estremamente pesante e di estrema debolezza per l'ente che si avvale di un
sistema che è una stratificazione di rapporti piuttosto che una loro
razionale costruzione"». Ma anche l'Europa, il 30 agosto '93, aveva espresso
perplessità: «Il Csia - scrisse - comprende anche la società Agrisiel. La
partecipazione azionaria di questa società è in mano a Coldiretti,
Confagricoltura e Cia che tra i loro membri contano i produttori
dell'Unalat. Inoltre che Csia fa parte l'Auselda informatica, che ha un
contratto con l'Unalat». Una pesante commistione di ruoli che diventa grave
quando l'Aima, conoscendo i fatti, rinnova le convenzioni. Sono stati
acquisiti anche i verbali del Ccia nei quali si dichiara la non
commercializzazione del latte mentre gli allevatori, ai carabinieri che
hanno effettuato i controlli incrociati, hanno dichiarato il contrario.“

Ma l’assegnazione di quote è fatta non a partire dalle reali produzioni
aziendali, ma con modalità non rispettose delle norme comunitarie (in
termini di comunicazioni alle aziende) e in particolare concedendo quote
anche a chi non aveva materialmente gli animali creando le cosiddette “quote
di carta”: diritto di produrre latte ma senza avere le stalle di produzione.
Queste “quote di carta” sono state, come dimostrato dalla commissione
presieduta dal Generale Leca, ampiamente usate da un lato per coprire
produzioni estere e dall’altro per assoggettare in rapporti economici iniqui
gli allevatori senza quote da parte degli industriali lattiero caseari che
avevano fatto incetta di queste maledette “quote di carta”.


Ma quanto latte può produrre il nostro paese

La situazione della quota globale produttiva oggi assegnata all'Italia
ammonta a 10,5 milioni di tonnellate, maggiore della quota iniziale
italiana. La quota globale è stata aumentata nel 1992 di 900.000 ton e nel
1999 di 600.000 ton. Nonostante questo L'Italia risulta avere quote che
coprono solamente 45% del consumo interno.

E allora

Dal gennaio 2004, per evitare fenomeni di accumulo di multe e scoraggiare le
sovrapproduzioni, è stato introdotto il prelievo mensile sulle eventuali
eccedenze, insieme ad una serie di regole che impediscono qualsiasi
comportamento elusivo, portando tutti gli allevatori a produrre in base alle
stesse regole e alla luce del sole. Ma continua e si rafforza la produzione
in nero. Molte aziende che hanno imboccato la strada della specializzazione
produttiva della zootecnia da latte, in particolare nella pianura padana si
sono infilati in un vicolo cieco, da un lato sotto la spinta della continua
caduta del prezzo del latte e dall’altro sotto il ricatto dei debiti dovuti
agli enormi investimenti per razionalizzare i loro sistemi produttivi hanno
incrementando le produzioni e si sono posti fuori del monte produzione
consentita accumulando multe enormi. Attenzione, le multe le accumulano chi
fa le fatture perché è giusto ricordare che oltre 4.000.000 q.li di latte
(stima della guardia di finanza ) sono commercializzati in nero.

Gli allevatori per non pagare le multe le hanno impugnate ricorrendo al
Tribunale Amministrativo regionale, che dichiarandosi incompetente, in
attesa di avere maggiori chiarimenti, ha dato le sospensive.
Dal ‘96 ad oggi gli agricoltori, che nel frattempo sono diminuiti
enormemente di numero (da 150 mila a 47 mila), hanno continuato a ricorrere
anno dopo anno ai Tar italiani ottenendo sospensive ed accumulando enormi
debiti.
Tale regime di sospensiva è proseguito fino ad implodere e questo perché:
·	In base alle richieste di chiarimenti, effettuati nel 2000 dal Tar del
Lazio, all'alta corte di Giustizia Europea, la sentenza, che in base ad una
relazione tecnica giuridica di accompagno è stata resa pubblica, fa
presumere che il pronunciamento sia stato sfavorevole agli agricoltori;
·	Nel frattempo per tentare di porre fine al problema, organizzare
tutto il
settore e consentire alle aziende di pagare agevolmente le forti somme delle
multe maturate negli anni, il Ministero delle politiche agricole e forestali
ha promulgato la legge n. 119 del 30 maggio 2003 che pone un punto fermo
sulla vicenda. Questa normativa regolamenta il settore secondo due punti
fondamentali: 1) permette lo scambio su tutto il territorio nazionale delle
quote latte tra le singole aziende; 2) rateizza le multe dovute, fino 2002,
in 14 anni senza interessi ed introduce il pagamento delle multe su base
mensile.
·	Tale intervento legislativo interessa tutto il settore lattiero
caseario
ed in particolare le 26.682 aziende a livello nazionale che hanno prodotto
di piu di quanto “spettante”, per un importo pari a circa 1.081 miliardi di
euro In particolare, la rateizzazione è condizionata dal fatto che le
aziende rinuncino espressamente al contenzioso giudiziario (ricorsi Tar), e
che abbiano pagato le eventuali multe per le campagne lattiere dal 2002/2003
in poi.
·	Ad oggi chi non ha aderito alla sanatoria è una gran quantità di
aziende
che, in realtà, non possono aderire per l'eccessivo ammontare delle multe
stesse. Sotto il profilo percentuale esse rappresentano circa il 30% delle
aziende interessate ma oltre l’80% delle multe da pagare. Sotto questo
profilo la L. 119 Alemanno ha evidentemente fallito.
·	E da notare che la 119 del 30 maggio 2003, che autorizzava le
vendite di
quote fra singole aziende anche fuori dalla regione, è stata causa di un
migrazione di quote da tutta Italia verso la Lombardia, che oggi detiene
quasi il 52% della quota di produzione italiana. Regioni in cui la zootecnia
era strategica per il presidio territoriale sono ormai senza quota di
produzione, fra queste, emblematico il caso del Lazio, Marche, Abruzzo e
Veneto nell’area pedemontana.

E’ giusto considerare che la legge 119/2003, cosiddetta legge Alemanno,
abbia ottenuto questi risultati;
1)	Mettere a regime tutte le illegalità passate -accertate da due
commissioni di inchiesta parlamentari, sui modi e i criteri cui sono state
assegnate le quote agli allevatori- togliendo ogni responsabilità alle
organizzazioni sindacali agricole e di categoria in particolare UNALAT, non
mettendo mano ai criteri di assegnazione si è legittimato uno degli scandali
più evidenti nel comparto agricolo del nostro paese.
2)	In sede europea non ha creato le condizioni per nessun aumento di quota
rispetto ai bisogni reali del nostro paese. La Comunità Europea ben
conoscendo la nostra situazione  -in particolare l’impossibilità del sistema
paese di avere numeri certi sulle quantità di latte prodotto per l’accertata
e consistente pratica delle produzioni senza controllo fiscale (latte in
nero) e sulla reale consistenza del patrimonio bovino del nostro paese,
mancando l’anagrafe bovina ancora non in grado dopo ben 10 anni di gestione
comissiariale- non ha voluto assegnare nuove quote di produzione. I paesi
comunitari Francia e Germania, in particolare, su questa questione si sono
accaniti contro il nostro paese allo scopo di  tutelare gli sbocchi delle
proprie produzioni, per un ammontare di circa 50 milioni di q.li di latte e
derivati, che finiscono sul mercato italiano.
3)	La compravendita di quote extraregionali ha dato la possibilità alle
grandi filiere di latte del nord del nostro paese, in particolare in
Lombardia dove la trasformazione del latte porta reale valore aggiunto, di
desertificare la produzione nel centro e sud Italia. Sono a rischio quasi
tutte le DOP del centro e sud Italia per mancanza di prodotto da
trasformare.
4)	Cristallizzando il pregresso in merito alle assegnazioni di quote e di
conseguenza delle multe accumulate (che hanno raggiunto quote fuori da ogni
logica economica per la loro spaventosa entità) ha creato una situazione
ormai fuori controllo. Circa 6500/7000 aziende che producono quasi 15/20
milioni q.li di latte sono ogni anno   chi in parte chi in totale scopertura
di quote. Di tutte queste a solo 1800 circa sono addebitate la gran parte
delle multe, perché tutte le altre sono esentate attraverso un meccanismo
bizantino di ridistribuzione delle multe che si chiama compensazione. La
compensazione fa sì che alcune aziende o perché in zona svantaggiata o
perché dirette da giovani agricoltori o che, con meccanismi ingannevoli
hanno aderito al pagamento delle multe addebitate con la 119 non paghino i
loro esuberi produttivi. Le loro multe vengono cosi addebitate per intero a
chi non ha queste fortune e sono gli allevatori della pianura padana. Queste
1800 aziende hanno accumulato talmente tante multe che non riusciranno mai a
pagarle e quindi hanno scelto di andare avanti alacremente, sapendo che non
hanno più nulla da perdere.


La nuova posizione europea.

La commissaria europea ha manifestato in più occasioni la sua perplessità
sul regime delle quote dichiarando che la loro efficacia e funzione è oggi
in forte discussione. Ancor di più per il fatto che la loro esistenza è
collegata, ovviamente, al sostegno ai prezzi in esportazione (dumping) che
oltre ad essere una forte causa di tensioni con i paesi poveri nell’ambito
del WTO, risulta essere insostenibile politicamente per i costi e per le
distorsioni di mercato che creano. Il caso Italiano in questa ottica è preso
da emblema.
Contro la nuova posizione della commissaria si sono scatenati le potenti
organizzazioni sindacali agricole Francesi e Tedesche che da questa
situazione europea godono di grande vantaggio come precedentemente
illustrato.
Ancor di più, serissime associazioni sindacali, come quelle olandesi, oggi
credono che le quote siano un vero danno al settore.
Ma non basta.
La chiusura delle aziende agricole da latte sta progressivamente mettendo in
discussione il settore della trasformazione casearia e mangimistica che
occupa oltre 50.000 addetti. Sono, infatti, centinaia di caseifici in
particolare del centro e sud Italia che hanno chiuso o stanno chiudendo.
Tutto questo perché manca il latte nazionale.
Resiste chi alla produzione nazionale integra importazioni via via crescenti
e truffaldine di prodotti esteri spacciati per italiani, esempio, Francia di
Latina che ha addirittura uno stabilimento di produzione delle mozzarelle a
Berlino, la Sabelli di Ascoli che importa cagliate per le mozzarelle (del
Gran Sasso) dalla Romania e dalla Slovenia.
Ma il peggio del peggio, nel più assoluto silenzio, avviene nelle due
D.O.P., , il Parmigiano e il Grana Padano,  che sono la colonna portante del
nostro settore lattiero caseario con oltre 45 milioni di q.li di latte
italiano utilizzato. Avviene, infatti, che il secondo, il Grana Padano, la
cui Dop è gestita in modo assolutamente non democratico, costringa i
produttori a sottostare a regole inique di pagamento di intollerabili
contributi al marketing del consorzio e dall’altro sia ben tollerato che
alcuni grandi industriali aderenti alla Dop, lancino sul mercato nazionale
delle produzioni come il GRAN MORAVIA, prodotto giusto in Moravia, del tutto
simile nella forma e nelle caratteristiche al Grana Padano, e ancora che,
coperti dalle maledette “quote di carta” comprate nelle regioni del sud
Italia, si importino clandestinamente cagliate fresche dai paesi dell’est
per fare le due DOP. La nuova revisione del disciplinare della DOP Grana
Padano è tutto in questa direzione

E’ in questo contesto che si deve inquadrare la questione delle quote latte
nel nostro paese.

Un paese, l’Italia, che ha bisogno di un rilancio della zootecnia da latte
che sia legata alla terra e alla conduzione diretta, al rispetto dell’
ambiente, alla tutela del territorio e del benessere animale, che sia
espressione di una volontà condivisa e convinta del non uso degli OGM nel
piatto alimentare, che sia portatrice delle colture dei saperi delle cento e
cento tradizioni gastronomiche del nostro paese di cui i formaggi sono il
punto più alto e conosciuto nel mondo. Tutto un patrimonio produttivo, unico
al mondo, oggi messo in crisi dal sistema produttivo, ormai agonizzante,
delle quote latte europeo e, ancora peggio nel nostro paese, colpito come
dal cancro dell’incompetenza e dell’irresponsabilità politica di molte
parti, che nelle sue ultime convulsioni sta portando al disastro la nostra
zootecnia e l’intero settore lattiero caseario.


Ci voglio scelte coraggiose e alte competenze

Le quote nate per contenere l’iperproduzione sono arrivate al punto di
determinare nel nostro paese la mancanza del latte fresco.
Le quote nate per garantire il prezzo alla stalla sono finite, invece, per
essere con le loro distorsioni, causa della continua perdita di valore del
prezzo del latte alla stalla, oggi abbondantemente sotto costo, in
particolare per gli allevatori che hanno comprato le quote.
La 119 ha posto fine alle speranza di un ripensamento della distribuzione
equa del diritto a produrre incatenando il nostro paese a una situazione
impossibile e senza alcuna via di uscita.
Fermo acquisendo la necessità di superare questa situazione e sostenendo in
sede europea da subito il superamento delle quote e la fine del sostegno ai
prezzi all’esportazione la proposte che scaturiscono sono:
1)- Lo studio ministeriale o una commissione parlamentare per fare un punto
condiviso e imparziale della situazione per dare alla politica un terreno
obbiettivo di confronto.
2)- Un progetto straordinario steso in tempi rapidi per il rilancio del
settore.

Padova 02/10/2006				AltrAgricoltura Nord Est
-------------------------------------------------------------

N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a:

altragricoltura at italytrading.com

Altre notizie sul sito: www.altragricolturanordest.it

--
No virus found in this outgoing message.
Checked by AVG Free Edition.
Version: 7.1.407 / Virus Database: 268.12.12/461 - Release Date: 02/10/2006