rassegna stampa: BIOPIRATERIA MULTINAZIONALE IN AFRICA.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Green planet" - 31/05/06
BIOPIRATERIA MULTINAZIONALE IN AFRICA.
Piante e batteri vengono brevettati e trasformati in prodotti redditizi nei
laboratori di diverse multinazionali, ma alle comunità di origine non arriva
nessun beneficio.
Sono decine le multinazionali occidentali del settore biotecnologico e
farmaceutico che in Africa, in palese violazione della Convenzione sulla
biodiversità dell'Onu approvata nel 1992, stanno rastrellando le risorse
naturali del continente. Un saccheggio di piante e batteri che nei
laboratori biotecnologici di Bayer, Sygenta, SrPharma, Genencor
International o Option Biotech, dopo essere stati brevettati vengono
trasformati in prodotti molto redditizi, senza però che ai paesi e alle
comunità di origine arrivi alcun beneficio dallo sfruttamento delle loro
ricchezze naturali.

La denuncia emerge da un dettagliato dossier, di recente pubblicazione e
frutto del lavoro congiunto dell'organizzazione ambientalista Edmonds
Institute con sede a Washington e dell'African centre for biosafety di
Johannesburg. Può trattarsi di meravigliose piante, come la Balsaminacea
Impatiens o pianta di vetro, dagli splendidi fiori che possono essere di
colore bianco, rosa o rosso destinati ad abbellire i giardini europei. La
Sygenta ne ha raccolte alcune varietà sui monti Usambara, in Tanzania, che
ha poi brevettato e attraverso la cui vendita la company svizzera ha
guadagnato solo nel 2004 oltre 85 milioni di euro. Può trattarsi però anche
di un batterio, come quello trovato sul lago Ruiro, in Kenya, dal quale la
Bayer ha sviluppato il Glucobay, un farmaco contro il diabete che gli ha
fatto guadagnare 218 milioni di euro.

Ma ce n'è per tutte. Circa dieci anni fa la multinazionale californiana
Genencor international ha brevettato dei microbi prelevati dai laghi della
Rift Valley, che vengono utilizzati nell'industria tessile per la
decolorazione dei blue jeans con un profitto annuo di 3 milioni e mezzo di
euro. Tra le multinazionali citate nel dossier troviamo anche la canadese
Option Biotech, che ha brevettato sementi di Afromomun Stipulatum raccolti
in Congo, da cui ha ricavato il Biovigora, un rimedio naturale per
migliorare le prestazioni sessuali. Poi c'è l'inglese SrPharma, che ha
brevettato un batterio raccolto in Uganda negli anni '70, utilizzato per
sviluppare un trattamento contro malattie virali croniche, compreso l'Aids.

Come si puà facilmente intuire le company in questione non hanno neanche
preso in considerazione l'ipotesi di condividere con le nazioni africane i
benefici economici raggiunti, nonostante sia attiva la Convenzione
internazionale sulla biodiversità con cui dal '92, l'Onu riconosce agli
Stati la piena sovranità sulle risorse naturali presenti sui propri
territori.

Beth Burrow, direttrice dell'Edmond Institute, l'ha definita «una nuova
forma di saccheggio coloniale» in un mondo in cui le imprese hanno
l'abitudine di appropriarsi di ciò che vogliono e dove vogliono, facendo poi
credere di farlo per il bene dell'umanità. Alcune multinazionali, chiamate
in causa nel dossier, si sono difese affermando che pur provenendo i loro
prodotti da risorse naturali africane, i benefici devono ricadere su coloro
che applicano le biotecnologie e nulla è dovuto ai paesi d'origine. Il
direttore di SrPharma, Melvyn Davies, ne è convinto a tal punto da
dichiarare che non è importante il luogo d'origine della materia prima, ma
il lavoro biotecnologico che si è fatto per sviluppare il prodotto finale.
In difesa della Bayer, Christina Sehnert, portavoce della company, ha
precisato che per la produzione del Glucobay non stanno usando il batterio
keniota originale, ma il suo prodotto biotecnologico brevettato.

In pratica le multinazionali si ritengono libere non solo di saccheggiare le
risorse naturali africane, ma di acquisirne la proprietà intellettuale
brevettandole, dando così origine a vere e proprie forme di biopirateria:
un'attitudine inaccettabile in considerazione del fatto che gli africani non
possono permettersi l'acquisto di quei farmaci prodotti attraverso lo
sfruttamento delle risorse biologiche sottratte al loro continente. «E' una
totale mancanza di considerazione e di rispetto verso le nostre risorse e i
nostri popoli» ha affermato Mariam Mayet, responsabile dell'African centre
for biosafety e coautrice dell'inchiesta che rincara la dose, aggiungendo
che i dati riportati sulle 52 pagine del dossier - la cui versione
integrale, in inglese, si può scaricare dal sito
www.edmonds-institute.org/outofafrica.pdf - sono il risultato di appena un
mese di ricerche. Possiamo solo immaginare cosa avrebbero scoperto le due
organizzazioni se avessero avuto a disposizione più tempo.
Il Manifesto, 31 maggio 2006
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