rassegna stampa: ARGENTINA, UN DESERTO DI SOIA TRANSGENICA



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Green Planet" - 28-03-05
ARGENTINA, UN DESERTO DI SOIA TRANSGENICA
Ogni tre tonnellate se ne va un ettaro di terra. Ma secondo gli studiosi è
un modello di sviluppo non sostenibile

Sull'altare dell'accordo della soia saranno sacrificati milioni di ettari di
foreste, sradicati in nome dell'alleanza strategica con Pechino.
Il gigante comunista cinese e i governi dell'America Latina tengono fede
agli accordi commerciali decisi lo scorso novembre quando il presidente
cinese Hu Jintao nel giro di pochi giorni, in un vero e proprio tour
diplomatico, strinse accordi economici con quattro importanti paesi dell'
America del Sud: Cile, Brasile, Argentina e Cuba.
"L'Argentina avrà più facile accesso al mercato cinese con i suoi prodotti
agricoli" dichiarò alla Bbc, Juan Wang, l'ambasciatore cinese a Buenos
Aires.
La domanda crescente di soia da parte della Cina ha permesso all'Argentina
di riprendersi parzialmente dalla crisi del 2001 registrando una crescita
dell'8%.
Ma proprio questa ripresa dovuta alla coltivazione intensiva della soia
potrebbe - nel lungo periodo - mettere in crisi l'intero modello agricolo
argentino.
L'Argentina è il primo esportatore mondiale di soia e per rispondere alla
domanda del mercato internazionale ha iniziato da tempo a distruggere le sue
foreste.
Ettari di terreno destinati alla coltivazione di soia sostituiscono le
piantagioni di frutta e circa il 50% del territorio coltivabile è oggi
sfruttato per la monocultura.
In Brasile, sono sessantadue milioni gli ettari già coltivati cui si
aggiungeranno, fra breve, altri novanta milioni di ettari di foresta
vergine, il tutto destinato alla domanda cinese.
Le foreste vengono distrutte per coltivare soia geneticamente modificata
impiegata nell'altra parte del mondo, in Europa e in Cina, per la grande
industria degli allevamenti di maiali, bovini e polli.
Il 98% della soia argentina è transgenica dato che questa pianta non
potrebbe nascere nel terreno delle foreste tropicali argentine.
I bulldozer distruggono le foreste di Salta che assieme a Yungas e Great
Chaco rappresentano la seconda foresta dell'America Latina, dopo
l'Amazzonia.
Si tratta di aree ricche di specie rare che potrebbero a breve scomparire
definitivamente dalla regione. La foresta del Grande Chaco copre un milione
di chilometri quadrati e si estende in Argentina, Paraguay, Bolivia e
Brasile.
La foresta di Yungas, conosciuta anche come foresta di montagna, si trova
solo in Argentina, dove occupa circa 70.000 chilometri quadrati. Per ogni
tre tonnellate di soia, se ne va un ettaro di terra. Lo stesso avviene anche
in Paraguay, Bolivia e nel sud del Brasile.
In Argentina il boom della soia è iniziato nel 1996 quando la Monsanto ha
introdotto nel paese le prime sementi geneticamente modificate, aprendo la
strada a quelli che presto sarebbero diventati gravi problemi sociali e
ambientali.
La distruzione delle foreste di Yungas e Grande Chaco provoca danni alle
comunità locali e ai popoli indigeni anche perché i "baroni della soia"
pagano la polizia locale per minacciare la gente e spingerla a lasciare la
propria casa, non limitando l'uso delle armi.
Senza contare l'impiego massiccio di erbicidi e pesticidi. Il consumo
argentino di glyphosate era di 13,9 milioni di litri nel 1997, arrivò a 150
milioni di litri nel 2002.

All'università di Rosario un gruppo di studiosi documentava che l'abuso di
Roundup (l'erbicida prodotto e usato dalla stessa Monsanto) aveva prodotto
l'emergere di erbe resistenti allo stesso prodotto.
In quell'occasione Charles Bembrook dell'organizzazione «Northwest Science
and Environmental Policy Center» di Sandpoint nell'Idaho che aveva cercato
invano di mettere in guardia i coltivatori argentini dall'uso massiccio
della soia Ogm, commentava: "L'Argentina ha adottato la tecnologia Ogm più
rapidamente e più radicalmente di ogni altro paese. Non ha preso le
opportune precauzioni per gestire la resistenza e proteggere la fertilità
dei suoli. Sulla base di questi risultati non penso che questo tipo di
agricoltura sia sostenibile per più d'un altro paio di anni".
Aprile, 22 marzo 2005
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