rassegna stampa: SUPERMERCATI, BOOM DELLA SPESA NON FIRMATA



Ma come è buona la GDO! Fa di tutto e di più per soddisfare e fare
risparmare il "consumatore". Viva la "private label"....
Ci si dimentica che non sono Coop o Auchan che fanno un sacrificio pescando
dai propri profitti quel 20% di risorse finalizzate allo sconto, ma che in
realtà il costo del 20% di sconto al consumatore viene scaricato sui
produttori che lavorano in filiera, per loro conto, in stato di
sottomissione assoluta, senza potere contrattuale, tanto che pur di vendere
e restare aperti in tanti casi lavorano sul filo del sottocosto,
indebitandosi oggi come matti con le banche e sperando domani in un
cambiamento del mercato! L'unico cambiamento è lo spostamento di reddito dal
produttore alla distribuzione organizzata che si trova nella posizione di
usare le risorse economiche, professionali di ricerca ed innovazione dei
propri fornitori per finanziare il proprio progetto di impresa. E in tutto
questo dubitiamo che ci guadagnerà il "consumatore", il quale mangerà il
pomodoro di pachino ..."made in China", la patata biologica ..."made in
Egypt" e allo stesso prezzo di quelle prodotte in italia con costi e
garanzie produttive maggiori, e non ultimo crediamo probabile che i
cittadini/consumatori, così amorevolmente favoriti, avrànno qualche problema
quando,dato che per mangiare si deve avere un reddito, la produzione
italiana chiuderà la baracca e loro dipendenti si troveranno gettati sul
mercato del lavoro precarizzato, a bassa reddittività!
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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SUPERMERCATI, BOOM DELLA SPESA NON FIRMATA
Rivoluzione nei consumi. Sempre più diffuse anche in Italia le marche
commerciali: si risparmia fino al 20%. Il 16% dei prodotti alimentari e per
la casa porta il nome del supermercato. A Bologna la Fiera dedicata al
"private label"

ROMA - Anche l'Italia ci è arrivata. Un po' in ritardo rispetto ai Paesi più
sensibilizzati in tema di qualità e risparmio. Ma ci è arrivata. Le marche
commerciali, quelle in pratica che portano lo stesso nome del supermercato
in cui vengono vendute - ma a prezzi sensibilmente più bassi - hanno fatto
boom: rappresentano l'11 per cento del venduto in termini di valore, e il 16
per cento se si considera il volume della merce.
Una lenta ma progressiva conquista del consumatore, mezzo punto l'anno, fino
al 2004 quando gli italiani si sono sentiti molto più poveri e hanno deciso
di risparmiare.
L'aumento dell'1,2 per cento in 12 mesi è stato significativo al punto da
aver reso possibile la realizzazione di una Fiera sul "private label", altra
definizione del marchio commerciale, che si svolgerà a Bologna giovedì e
venerdì prossimi.
Una voce positiva in un periodo dominato dallo sconforto di commercianti e
consumatori, perfettamente in linea con il successo di mercatini e outlet
nel settore dell'abbigliamento.
Una filosofia di "acquisto intelligente" che sta conquistando anche gli
italiani.
«Sì, i presupposti per parlare di una rivoluzione nel settore delle vendite
alimentari ci sono tutti - spiega Giampiero Lugli, docente di Marketing
distributivo alla Facoltà di Economia dell'Università di Parma e curatore
dell'osservatorio sul Private Label che ha realizzato una ricerca mirata da
presentare in Fiera - in primo luogo perché i marchi commerciali propongono
prodotti a prezzi ridotti del 15-20 per cento, pur mantenendo un buon
livello di qualità. Se poi succede, che decidano di bloccare i prezzi al
2003, come è successo lo scorso anno e come faranno anche nel corso del
2005, è facile capire che la convenienza per il consumatore è davvero alta.
Il prodotto non ci perde, è dello stesso livello di quello a marca
conosciuta - infatti nella maggior parte dei casi è realizzato dalle
principali case alimentari - e il consumatore se ne accorge, perciò lo
acquista di nuovo. Si affeziona».

Il "private label", però non ha uguale riuscita su tutte le tipologie di
prodotti. Spiega Lugli che i più indicati sono quelli che richiedono una
bassa tecnologia, tipo pasta, sughi, sottaceti, scatolame, frutta, verdura e
insalata.
Qui il rapporto prezzo/qualità è garantito.
«Ci sono prodotti di marche alternative che invece costano di più dei
prodotti industriali - continua Lugli nel suo resoconto sul nuovo volto dei
supermercati - perché la distribuzione vuole andare oltre il semplice
risparmio. Per esempio il biologico, che ha un suo pubblico esigente
disposto a spendere anche il 20-30 per cento in più in nome di precise
garanzie. Oppure i prodotti tipici che riscoprono lardo di Colonnata,
formaggio di fossa e altre delizie per palati esigenti. Un caso è stato
quello del panettone a Natale: molte catene distributive ne hanno proposti
di propria produzione, realizzati con materie prime di ottima qualità: sono
andati a ruba e chi li ha acquistati giura che lo farà anche l'anno
prossimo».

Il consumatore intelligente, dunque, parla anche italiano.
A circa dieci anni dalla prima Fiera, che si tenne a Chicago negli Usa,
seguita da quella di Amsterdam e da quella di Parigi, Bologna entra nella
rosa del commercio più evoluto.
E trascina dietro tutto il Paese. I marchi presenti - Agorà, Auchan,
Carrefour, Conad, Coop, Crai, Despar, Gs, Interdis, Metro, Pam, Selex,
Sigma, Sisa e Sma - ora sono presenti su tutta la Penisola.
C'è voluto del tempo - spiegano i partecipanti alla Fiera - perché le catene
della grande distribuzione hanno faticato a raggiungere una diffusione
capillare, a differenza di quello che succede in Gran Bretagna, dove il
"private label" raggiunge il 40-50 per cento delle vendite, e della Francia
che si attesta a un buon 20-22 per cento.
«Nel nostro Paese la distribuzione è storicamente molto polverizzata, la
vendita al dettaglio è sempre piaciuta più di quella nei centri
commerciali - dice Lugli - ma adesso ci dirigiamo verso un'inversione di
tendenza. I supermercati solo circa 7 mila, gli ipermercati 350. E molto ha
fatto la crisi economica che ha portato in primo piano la convenienza».

Ma la voglia di risparmiare può condizionale l'esigenza di qualità tutta
italiana?
«Il fatto che dietro le marche commerciali ci siano le più note industrie
alimentari dà una garanzia del prodotto - tranquillizza Lugli- E dove non ci
sono le grandi firme, c'è la piccola e media impresa che garantisce l'
insalata fresca, le zucchine, le arance. Un consiglio, però: meglio non
sperimentare i prodotti del dolciario, un settore dove il produttore si
tiene ben stretta la composizione, e ha ragione perché è questo il segreto
di tanti successi che durano negli anni». (Il messaggero, 25 gennaio 2005)
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