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rassegna stampa: SUPERMERCATI, BOOM DELLA SPESA NON FIRMATA
- Subject: rassegna stampa: SUPERMERCATI, BOOM DELLA SPESA NON FIRMATA
- From: "Altragricoltura" <altragrico at italytrading.com>
- Date: Fri, 28 Jan 2005 20:22:00 +0100
Ma come è buona la GDO! Fa di tutto e di più per soddisfare e fare risparmare il "consumatore". Viva la "private label".... Ci si dimentica che non sono Coop o Auchan che fanno un sacrificio pescando dai propri profitti quel 20% di risorse finalizzate allo sconto, ma che in realtà il costo del 20% di sconto al consumatore viene scaricato sui produttori che lavorano in filiera, per loro conto, in stato di sottomissione assoluta, senza potere contrattuale, tanto che pur di vendere e restare aperti in tanti casi lavorano sul filo del sottocosto, indebitandosi oggi come matti con le banche e sperando domani in un cambiamento del mercato! L'unico cambiamento è lo spostamento di reddito dal produttore alla distribuzione organizzata che si trova nella posizione di usare le risorse economiche, professionali di ricerca ed innovazione dei propri fornitori per finanziare il proprio progetto di impresa. E in tutto questo dubitiamo che ci guadagnerà il "consumatore", il quale mangerà il pomodoro di pachino ..."made in China", la patata biologica ..."made in Egypt" e allo stesso prezzo di quelle prodotte in italia con costi e garanzie produttive maggiori, e non ultimo crediamo probabile che i cittadini/consumatori, così amorevolmente favoriti, avrànno qualche problema quando,dato che per mangiare si deve avere un reddito, la produzione italiana chiuderà la baracca e loro dipendenti si troveranno gettati sul mercato del lavoro precarizzato, a bassa reddittività! a cura di AltrAgricoltura Nord Est ------------------------ SUPERMERCATI, BOOM DELLA SPESA NON FIRMATA Rivoluzione nei consumi. Sempre più diffuse anche in Italia le marche commerciali: si risparmia fino al 20%. Il 16% dei prodotti alimentari e per la casa porta il nome del supermercato. A Bologna la Fiera dedicata al "private label" ROMA - Anche l'Italia ci è arrivata. Un po' in ritardo rispetto ai Paesi più sensibilizzati in tema di qualità e risparmio. Ma ci è arrivata. Le marche commerciali, quelle in pratica che portano lo stesso nome del supermercato in cui vengono vendute - ma a prezzi sensibilmente più bassi - hanno fatto boom: rappresentano l'11 per cento del venduto in termini di valore, e il 16 per cento se si considera il volume della merce. Una lenta ma progressiva conquista del consumatore, mezzo punto l'anno, fino al 2004 quando gli italiani si sono sentiti molto più poveri e hanno deciso di risparmiare. L'aumento dell'1,2 per cento in 12 mesi è stato significativo al punto da aver reso possibile la realizzazione di una Fiera sul "private label", altra definizione del marchio commerciale, che si svolgerà a Bologna giovedì e venerdì prossimi. Una voce positiva in un periodo dominato dallo sconforto di commercianti e consumatori, perfettamente in linea con il successo di mercatini e outlet nel settore dell'abbigliamento. Una filosofia di "acquisto intelligente" che sta conquistando anche gli italiani. «Sì, i presupposti per parlare di una rivoluzione nel settore delle vendite alimentari ci sono tutti - spiega Giampiero Lugli, docente di Marketing distributivo alla Facoltà di Economia dell'Università di Parma e curatore dell'osservatorio sul Private Label che ha realizzato una ricerca mirata da presentare in Fiera - in primo luogo perché i marchi commerciali propongono prodotti a prezzi ridotti del 15-20 per cento, pur mantenendo un buon livello di qualità. Se poi succede, che decidano di bloccare i prezzi al 2003, come è successo lo scorso anno e come faranno anche nel corso del 2005, è facile capire che la convenienza per il consumatore è davvero alta. Il prodotto non ci perde, è dello stesso livello di quello a marca conosciuta - infatti nella maggior parte dei casi è realizzato dalle principali case alimentari - e il consumatore se ne accorge, perciò lo acquista di nuovo. Si affeziona». Il "private label", però non ha uguale riuscita su tutte le tipologie di prodotti. Spiega Lugli che i più indicati sono quelli che richiedono una bassa tecnologia, tipo pasta, sughi, sottaceti, scatolame, frutta, verdura e insalata. Qui il rapporto prezzo/qualità è garantito. «Ci sono prodotti di marche alternative che invece costano di più dei prodotti industriali - continua Lugli nel suo resoconto sul nuovo volto dei supermercati - perché la distribuzione vuole andare oltre il semplice risparmio. Per esempio il biologico, che ha un suo pubblico esigente disposto a spendere anche il 20-30 per cento in più in nome di precise garanzie. Oppure i prodotti tipici che riscoprono lardo di Colonnata, formaggio di fossa e altre delizie per palati esigenti. Un caso è stato quello del panettone a Natale: molte catene distributive ne hanno proposti di propria produzione, realizzati con materie prime di ottima qualità: sono andati a ruba e chi li ha acquistati giura che lo farà anche l'anno prossimo». Il consumatore intelligente, dunque, parla anche italiano. A circa dieci anni dalla prima Fiera, che si tenne a Chicago negli Usa, seguita da quella di Amsterdam e da quella di Parigi, Bologna entra nella rosa del commercio più evoluto. E trascina dietro tutto il Paese. I marchi presenti - Agorà, Auchan, Carrefour, Conad, Coop, Crai, Despar, Gs, Interdis, Metro, Pam, Selex, Sigma, Sisa e Sma - ora sono presenti su tutta la Penisola. C'è voluto del tempo - spiegano i partecipanti alla Fiera - perché le catene della grande distribuzione hanno faticato a raggiungere una diffusione capillare, a differenza di quello che succede in Gran Bretagna, dove il "private label" raggiunge il 40-50 per cento delle vendite, e della Francia che si attesta a un buon 20-22 per cento. «Nel nostro Paese la distribuzione è storicamente molto polverizzata, la vendita al dettaglio è sempre piaciuta più di quella nei centri commerciali - dice Lugli - ma adesso ci dirigiamo verso un'inversione di tendenza. I supermercati solo circa 7 mila, gli ipermercati 350. E molto ha fatto la crisi economica che ha portato in primo piano la convenienza». Ma la voglia di risparmiare può condizionale l'esigenza di qualità tutta italiana? «Il fatto che dietro le marche commerciali ci siano le più note industrie alimentari dà una garanzia del prodotto - tranquillizza Lugli- E dove non ci sono le grandi firme, c'è la piccola e media impresa che garantisce l' insalata fresca, le zucchine, le arance. Un consiglio, però: meglio non sperimentare i prodotti del dolciario, un settore dove il produttore si tiene ben stretta la composizione, e ha ragione perché è questo il segreto di tanti successi che durano negli anni». (Il messaggero, 25 gennaio 2005) -------------------------------- N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a altragricoltura at italytrading.com
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