rassegna stampa - INFLUENZA POLLI: OMS, RISCHIO NUOVA EPIDEMIA



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da Farmacia.it - 10 Novembre 2004 - 10:26

INFLUENZA POLLI: OMS, RISCHIO NUOVA EPIDEMIA
E' alto il rischio di una nuova epidemia di influenza aviaria. Ma i sistemi
sanitari di tutto il mondo sono impreparati per affrontarla adeguatamente.
E' l'opinione di David Heymann, responsabile della divisione per le malattie
infettive dell'Organizzazione mondiale della Sanita' che nel corso di una
conferenza stampa a Miami ha precisato: 'ìl pericolo e' elevato ma non siamo
in grado di quantificarlo''. ''Purtroppo non siamo pronti per contrastare il
possibile contagio'', ha detto Heymann sottolineando che i circa 300 milioni
dosi di vaccino anti-influenzale sono ben al di sotto delle quantita'
necessarie. Responsabili della sanita' di diversi Paesi e aziende
farmaceutiche si sono dati appuntamento a Ginevra questa settimana per
discutere le strategie di lotta ad un'eventuale epidemia. I timori di una
nuova ondata di infezioni sono aumentati dopo che in Tailandia e Vietnam e'
stato deciso l'abbattimento di milioni di polli infetti. Nessun pericolo,
invece, sul fronte Sars. Heymann ritiene improbabile il 'ritorno' della
sindrome responsabile nel 2002-2003 della morte di centinaia di persone in
Asia.
Fonte: Adnkronos Salute
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tratto da Panorama.it - 10 ottobre 2004
Virus, le nuove minacce.
L'influenza dei polli, la sars, ma non solo: l'elenco dei nemici biologici è
lungo e il pericolo di un'epidemia mondiale non è mai stato, dicono gli
esperti, così vicino.
A riaccendere l'allarme è bastata, negli ultimi giorni, la notizia del primo
verosimile caso di trasmissione da uomo a uomo del virus dei polli, noto con
la sigla H5N1, verificatosi in Thailandia: una donna di 26 anni è morta per
aver contratto la malattia probabilmente dalla figlia che aveva accudito in
ospedale (deceduta anch'essa). Se così fosse, sarebbe un segnale
preoccupante, che si aggiunge alla notizia di una terza vittima
dell'influenza aviaria: una bambina thailandese di 9 anni. Secondo gli
esperti, dopo l'ultima pandemia di influenza cinese del 1968, il mondo non è
mai stato così vicino a una nuova minaccia globale. E questo a soli due anni
dall'esordio della sars.

Ma il rischio non arriva solo dal virus dei polli o dalla polmonite atipica.
In tutto il pianeta ci sono focolai di infezioni emergenti, nemici biologici
pronti a conquistare nuovi spazi. Negli Stati Uniti i casi di encefalite da
West Nile virus hanno provocato, soltanto nel 2003, 8.700 contagi e
centinaia di vittime. Sempre gli Usa sono minacciati dagli Hantavirus, che
causano sindromi polmonari. Encefaliti da zecche colpiscono l'Europa
centro-settentrionale, mentre in Malaysia, nell'estate 2003, il virus Nipah,
che infetta i pipistrelli, è passato all'uomo facendo 110 morti. Il pericolo
sempre più elevato di virus emergenti, che compaiono ex novo nella specie
umana, ha riunito a Marburg, Germania, epidemiologi da tutto il mondo per il
convegno «Emerging infections and new vaccinations». Alla fine del
Novecento, hanno ricordato gli esperti, il mondo industrializzato si era
compiaciuto di avere debellato le malattie infettive. Già negli ultimi due
decenni del secolo, però, con l'arrivo di un'aggressiva pattuglia di virus
(dall'hiv all'epatite C) e la recrudescenza di vecchie patologie (dalla
malaria alla tbc) ciò si è dimostrato illusorio.

«Siamo biologicamente vulnerabili agli agenti infettivi» ricorda lo storico
della medicina Gilberto Corbellini. Virus, batteri e protozoi tornano alla
carica grazie a un insieme di circostanze: popolazione mondiale in crescita,
maggiore mobilità umana (migrazioni, viaggi), sviluppo di megalopoli, di
tecnologie mediche (trapianti e trasfusioni), cambiamenti nelle abitudini
sessuali. «Le epidemie sono la conseguenza di dinamiche biologiche-evolutive
causate dall'uomo». Anche il famoso storico della medicina Mirko D. Grmek
era convinto che, più che i mutamenti del genoma dei microbi, sono i
cambiamenti umani (agricoltura, zootecnia, produzione alimentare intensiva)
a favorire la diffusione degli agenti infettivi. Non solo. Secondo l'ex
consulente dell'Oms Tony McMichael, trasformazioni del clima e degli habitat
portano a contatto uomini e animali, serbatoi di agenti patogeni:
l'aumentato consumo di carne selvatica in Asia (come lo zibetto) ha
facilitato l'esplosione della sars; il riscaldamento globale ha contribuito
nei tropici alla diffusione della dengue (malattia emorragica trasmessa
dalle zanzare); e fenomeni come El Niño hanno dato origine a una
proliferazione di roditori, che trasmettono l'Hantavirus.

Emblematico è il caso delle encefaliti virali: «Sono causate» chiarisce
Franz X. Heinz dell'Università di Vienna «da Flavivirus, con le
caratteristiche dei virus emergenti. Sono endemiche in molte regioni
europee, dall'Austria alla Norvegia, diffuse da zanzare o zecche». Analoga
la genesi dell'encefalite da virus del West Nile (trasportato da uccelli e
trasmesso dalla zanzara), apparsa a New York nel 1999 e da allora diventata
un problema di salute pubblica. «Assai simile» aggiunge Heinz «è la storia
del virus Usutu, di recente introdotto in Austria dall'Africa, forse
attraverso uccelli migratori. Finora ha causato la morte di uccelli
domestici, ma potrebbe rivelarsi patogeno per l'uomo». Come fare per non
essere sopraffatti da questi formidabili avversari? Mentre classiche misure
di contenimento come la quarantena e le restrizioni ai viaggiatori sono
riuscite a circoscrivere l'epidemia di sars, le stesse risorse sarebbero
insufficienti per una pandemia influenzale: «Ho sentito alcuni sostenere»
riferisce l'epidemiologo Roy Anderson «che se ci siamo riusciti una volta ce
la faremo anche la prossima. Ma è un falso senso di sicurezza».

Tenere sotto controllo la sars è stato possibile, dice Anderson, perché il
picco dell'infettività si manifesta da 7 a 10 giorni dopo i primi sintomi
clinici. Nel caso di un virus influenzale «cattivo», il discorso sarebbe
diverso: «Il punto debole sono le grandi città, con collegamenti
internazionali intensi e limitate possibilità di isolamento. Per Gustav
Nossal, consulente Oms, quello di Anderson è un «pessimismo realistico». La
parola d'ordine è: tenersi pronti all'inaspettabile. Quindi, in attesa del
«Big one pandemico», accumulare scorte di farmaci antivirali (l'unico che
potrebbe funzionare è l'oseltamivir) e potenziare la capacità di produrre
vaccini. «Oggi ci sono le tecnologie adeguate per mettere a punto un vaccino
in tempi brevi» dice Rino Rappuoli, direttore della ricerca della
multinazionale Chiron. «Abbiamo già i lotti per l'H5N1, preparati in
collaborazione con i National institutes of health e i Centers for disease
control di Atlanta».

Per preparare nuovi vaccini si punta in particolare sulle più avanzate
metodiche genomiche e postgenomiche. «Ma il mercato non ha incentivato altre
industrie a investire nel settore» commenta Klaus Stöhr, esperto dell'Oms.
«La produzione di vaccini comporta costi rilevanti che non potrebbero essere
recuperati se, per esempio, la temuta pandemia influenzale tardasse ad
arrivare». E i metodi standard, che prevedono la crescita del virus in uova
embrionate di pollo, non funzionano con l'H5N1: quest'ultimo è così letale
che ammazza gli embrioni. Traendo indicazioni dal passato, l'immunologo
Anthony Fauci, direttore del National institute of allergy and infectious
diseases di Bethesda, Washington, prevede che una pandemia influenzale di
origine aviaria possa iniziare con un focolaio limitato (ancora il Sud-Est
asiatico?) e che l'eventuale diffusione potrebbe lasciare forse tempo
sufficiente ai produttori di farmaci e vaccini. Forse. Di certo c'è il
monito proveniente dalla sars: un focolaio epidemico che scoppia in un'area
circoscritta del pianeta, in tempi in cui un virus può salire a bordo di un
aereo su un vettore umano e sbarcare dopo poche ore in un'altra parte del
globo. Diventando un serio problema per tutto il mondo.

NEMICO NUMERO UNO: L'H5N1
Il virus dell'influenza aviaria sta diventando più pericoloso

Sarà l'H5N1, il virus dell'influenza dei polli vietnamiti e thailandesi, che
finora ha provocato una trentina di morti, la causa della grande pandemia
influenzale paventata e attesa dagli esperti? Nessuno può dirlo. È un
rischio che finora si può ragionevolmente temere, visto che da quando il
ceppo virale H5N1 ha fatto la sua apparizione, alla fine del 2003, in
numerosi allevamenti del Sud-Est asiatico, gli eventi hanno seguito un
percorso purtroppo prevedibile.

Prima la dimostrazione di un passaggio diretto dagli uccelli all'uomo, poi
la scoperta dell'infezione in gatti domestici e maiali: animali considerati
«recipienti di mescolamento» del dna virale di origine aviaria e umana, da
cui possono scaturire nuovi virus letali per l'uomo; si è accertato inoltre
che l'H5N1 è in grado di infettare le tigri degli zoo. Infine, il sospetto
di un primo probabile caso di trasmissione da uomo a uomo del virus. Per
fortuna, questo non significa che un'epidemia globale sia ormai inevitabile:
«Anche se il problema non è più il se ma il quando, l'esordio di una
pandemia è influenzato da eventi non prevedibili» dice l'epidemiologo
inglese Roy Anderson. Aggiunge che sarebbe da irresponsabili non prepararsi
al peggio. E i governi dovrebbero elaborare tutti i possibili scenari per
poter programmare adeguate strategie di contenimento. «Ma chi lo sta facendo
davvero?» si chiede.
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