rassegna stampa: I cittadini battono la «piovra» Wal Mart



Vi ricordate della grande catena distributiva Wall Mart, la più grande del
mondo, quella che ha assunto crumiri per fronteggiare e stroncare lo
sciopero di 40.000 suoi dipendenti che rivendicavano il rispetto di diritti
acquisiti come l'assistenza sanitaria? Ebbene anche ad un colosso di questa
portata non tuttti i progetti vanno in porto quando la società civile prende
coscienza dei propri diritti, dei rischi in cui viene precipitata e si
autorganizza per resistere e proporre altri modelli di relazioni sociali. Ad
Inglewood, California, i cittadini vincono il referendum contro il leader
della distribuzione globale...
a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da il manifesto - 08 Aprile 2004
I cittadini battono la «piovra» Wal Mart
Gli abitanti di Inglewood, California, vincono il referendum contro il
leader della distribuzione globale. Voleva costruire la prima
città-ipermercato senza legge né diritti sindacali
LUCA CELADA
LOS ANGELES
Wal Mart ha perso la battaglia di Inglewood. Il quartiere di Los Angeles -
amministrativamente una città indipendente, con popolazione metà ispanica e
metà afroamericana - aveva passato un'ordinanza municipale vietando la
costruzione di un supercenter, un ipermercato delle dimensioni di 17 campi
di calcio per evitare un prevedibile monopolio della vendita al dettaglio
nella zona. Poco dopo la delibera, un'associazione orwellianamente
denominata «comitato cittadino per il benvenuto a Walmart», aveva presentato
le firme necessarie per indire il referendum che avrebbe ribaltato la
decisione, abolito i requisiti studi di impatto ambientale e precluso
ulteriori modifiche la piano regolatore da parte del consiglio. Il gigante
di Bentonville, in Arkansas - la società s'è confermata poche settimane fa
la più grande al mondo - aveva poi iniziato una campagna d'opinione
finanziata dai suoi smisurati forzieri, l'ultima tattica nella strategia di
misure «estreme» nei confronti di amministrazioni locali che tentano di
ostacolarne la crescita. Ma gli elettori di Inglewood hanno respinto per 61%
a 39% le lusinghe del gigante blu. Wal Mart e la società pioniere dei Big
Box, i «negozi scatolone», centri polivalenti di iperconsumo dove si può
comprare tutto, dalla mobilia ai pannolini, dalle moto all'abbigliamento.
Con 2.966 megamercati negli Stati uniti e altre centinaia in trenta paesi
del mondo, 1,2 milioni di impiegati e altre 800.000 assunzioni previste,
nell'ultimo anno fiscale Wal Mart ha fatturato 245 miliardi di dollari e ha
incassato 8 miliardi di dollari di utile: tre volte la numero due del
settore, Carrefour. Il giro d'affari è otto volte superiore a quello di
Microsoft. Dimensioni che gli permettono in sostanza di creare una propria
sfera macroeconomica, dalla determinazione dei prezzi all'ingrosso di beni e
materie alla fluttuazione di costi e salari al flusso di manodopera sul
mercato internazionale. La filosofia commerciale della società prevede
l'abbassamento dei prezzi fino appena al di sopra la soglia della perdita,
compensando il minor guadagno col volume delle vendite. Una politica della
terra bruciata che si traduce nel fallimento della concorrenza locale, con
conseguente drastica perdita di posti di lavoro cui Wal Mart supplisce con
nuovi impieghi sottopagati e senza benefici sanitari. Al punto che la stessa
società sconsiglia di provare a «mantenere una famiglia con un solo
stipendio Wal Mart» mentre incoraggia i propri impiegati ad «arrotondare»
gli stipendi con l'assistenza sociale e vieta l'ingresso dei sindacati in
azienda.

Dopo una marcia trionfale di espansione nel resto d'America, l'entrata in
California della società prevede l'apertura di 40 nuovi supercenter da
20.000 metri quadri, uno spettro che ha determinato l'amaro sciopero dei
supermercati che dopo quattro mesi si è concluso quest'inverno con la
perdita della cassa mutua e la riduzione dei salari dei nuovi lavoratori del
settore per «poter competere», a detta del management, nel nuovo universo
Wal Mart. Non per caso la strategia privilegia l'espansione nelle comunità
più disagiate, in grado di fornire allo stesso tempo clienti per i prodotti
superscontati e lavoratori disposti ad accettare le condizioni di semi
precariato offerte.

Per la campagna del referendum di Inglewood - comunità storica, e
storicamente trascurata, della Los Angeles nera - Wal Mart aveva stanziato
un milione di dollari (una media di 200 dollari per votante effettivo)
compresa la produzione di spot televisivi a base di soddisfatti shopper
afroamericani che cantavano le lodi degli sconti e sorridenti impiegati e
generose donazioni a una serie di organizzazioni «storiche» nella comunità
black. «Non era certo la nostra prima scelta», aveva dichiarato il
presidente John Mack, direttore della Urban League «ma dopo anni di degrado,
trascurati da tutti, abbiamo dovuto ammettere che un Wal Mart era meglio di
niente». Nelle fasi finali della campagna si sono invece mobilitati per il
«no» leader nazionali come Maxine Waters e Jesse Jackson, che hanno
sottolineato l'esautorazione dell'autorità locale da parte di un colosso
transnazionale abituato a negoziare da una posizione di forza con interi
paesi. Il business model di Wal Mart prevede infatti l'esportazione
sistematica della produzione in paesi in via di sviluppo come l'Honduras, il
Messico, il Bangladesh e naturalmente la Cina, dove 3000 aziende hanno
fornito a Wal Mart 12 miliardi di dollari di prodotti solo lo scorso anno.
Il volume gestito dall'azienda è tale che alcuni governi come quello del
Bangladesh - paese che esporta negli Usa per un valore di $1,9 miliardi (il
14% dei quali verso Wal Mart) - hanno inviato emissari diplomatici a
trattare direttamente col quartier generale in Arkansas, quasi si trattasse
di una nazione sovrana.

Gli ipermercati dal caratteristico colore blu sono così diventati simbolo di
una strategia commerciale transnazionale ai tempi della globalizzazione,
alimentata dalla radicalizzazione delle regole liberiste sia dal punto di
vista produttivo che da quello del consumo. Le monocolture commerciali
determinate dai supercentri con la sfera di influenza che si allarga sulla
regione circostante hanno il potere di modificare profondamente le comunità
selezionate per lo sviluppo come veri «buchi neri» socioeconomici, che
inghiottono lavoro ben pagato e concorrenza sostituendoli con precariato e
monopolio. Per questo di recente è cresciuta l'opposizione a livello locale
e in California: in particolare diverse amministrazioni hanno varato misure
per arginare le dimensioni delle catene commerciali. Wal Mart ha reagito con
campagne di lobbying, querele e, come nel caso di Inglewood, strategie di
sapore «shwarzeneggeriano». La tattica aveva dato i suoi frutti l'anno
scorso con un referendum analogo vinto dalla società a Contra Costa nei
pressi di San Francisco, ma ora Wal Mart è inciampata e l'opposizione si
prepara a rafforzare le difese: San Francisco e Los Angeles, ad esempio,
stanno preparando misure anti-Wal Mart simili a quelle di Inglewood e a
livello statale ci sono disegni di legge che obbligherebbero operatori di
big box a risarcire lo stato per i costi di assistenza medica che usano
scaricare sul welfare pubblico e a finanziare di tasca propria studi di
impatto socioambientale prima di eventuali nuove aperture.

Per l'espansione di Wal Mart si tratta di una sconfitta rara ma di elevato
valore simbolico, che ha galvanizzato l'opposizione a certe strategie
iperliberiste e che si inserisce nell'ambito del dibattito sull'outsourcing,
l'esportazione massiccia del lavoro verso il terzo mondo che con la guerra
in Iraq promette di diventare uno dei temi principali della campagna
elettorale di quest'estate. «Si tratta di importanti battaglie glocal», ha
affermato una rappresentante della coalizione a un comizio anti-Wal Mart a
Inglewood, «ma sostanzialmente sono scaramucce di retroguardia. La battaglia
può essere vinta solo con la sindacalizzazione di tutta la forza lavoro di
Wal Mart».
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