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Equo e solidale: crisi da boom
- Subject: Equo e solidale: crisi da boom
- From: "fra.castracane" <fra.castracane at libero.it>
- Date: Sat, 7 Feb 2004 11:30:54 +0100
Articolo comparso su Avvenire e recuperato da Francesco Castracane EQUO E SOLIDALE, CRISI DA BOOM Il «fair trade» italiano ha uno sviluppo senza precedenti, ma proprio l'impennata dei fatturati mette il settore di fronte a problemi tecnici e ideali Una gamma di almeno settemila prodotti in 65 mila punti vendita nella sola Europa, 3500 lavoratori a tempo pieno e almeno centomila volontari: sono i numeri del commercio equo e solidale, una realtà in piena espansione dal Vecchio Continente al Nord America, e che nel nostro Paese sta conoscendo un boom senza precedenti. Sebbene dati completi relativi a questo innovativo settore non siano ancora disponibili, le indicazioni parziali sono molto eloquenti. Tra il 2001 e il 2003, ad esempio, i prodotti del consorzio Ctm Altromercato - che con 32 milioni di euro di fatturato è la principale centrale di importazione italiana - hanno segnato incrementi del 65% e del 50%, mentre il comparto del commercio alternativo non si basa più solo sul volontariato: nel 2003 i due maggiori importatori (Ctm e Commercio alternativo) hanno superato complessivamente i 100 dipendenti, raddoppiati nel giro di tre-quattro anni. Eppure oggi il fair trade («commercio giusto»), nato per promuovere un tipo di scambio tra Nord e Sud del mondo basato su un rapporto che fosse paritario e garantisse ai produttori un prezzo equo per il loro lavoro, si trova oggi a far fronte ad una crisi. Per la precisione, una «crisi di crescita. L'impennata dei fatturati impone grandi sforzi agli importatori. Devono adeguare le strutture, assumere personale, accentuare l'apertura alle vendite nei supermercati senza scivolare in una logica puramente mercantile», scrivono Lorenzo Guadagnucci e Fabio Gavelli in La crisi di crescita, le prospettive del commercio equo e solidale (pagine 160, euro 8), da domani in libreria per i tipi di Feltrinelli. Le botteghe al bivio Secondo una ricerca svolta dalla cooperativa romana Pangea, le botteghe italiane si scontrano sempre più con una serie di limiti: strutture poco sviluppate, difficile rapporto con i media, scarso dinamismo nel reperire risorse, poca collaborazione con altri soggetti esterni al movimento. Soprattutto, tuttavia, l e quote di mercato sono ancora troppo basse per soddisfare le esigenze dei produttori. Dentro o fuori dal mercato? «Dai Paesi poveri proviene una domanda generalizzata di maggiori sbocchi: più acquisti, più mercato», scrivono gli autori. Tuttavia «per molti soggetti del Nord, il raggiungimento di questo obiettivo marcia necessariamente di pari passo con la battaglia contro le iniquità del sistema economico e con la necessità di promuovere nei Paesi ricchi nuovi stili di consumo e di vita». Il costante dibattito sulla natura del commercio equo diventa dunque sempre più cruciale di fronte alla possibilità di crescere in modo decisivo stringendo alleanze con il mercato tradizionale. La via dell'industria L'aumento esponenziale dei prodotti offerti porta alle soglie di un'altra sfida: il passaggio ai beni industriali di massa. Esperimenti importanti, come i palloni del Pakistan o i jeans Kuyichi, hanno già dimostrato la capacità del circuito equo di imbastire rapporti proficui con aziende private o cooperative di grandi dimensioni. All'interno del movimento ci si chiede se oggi questa strada vada percorsa con sistematicità. Per molti il profit può essere partner del fair trade, a patto che siano fornite alcune importanti garanzie, come il rispetto dei diritti sindacali e la sostenibilità ambientale. Ma chi può fare fede per le aziende? La questione dei marchi Un altro nodo irrisolto riguarda appunto la liceità e l'efficacia degli enti volti alla certificazione dell'equosolidale. Già esistono marchi di garanzia a livello nazionale e internazionale, ma il dibattito resta aperto su molti punti: certificare i singoli prodotti o invece i soggetti totalmente "equi"? Quali criteri utilizzare? Come evitare che i produttori del Sud vivano i controlli «come una forzatura, se non come una nuova colonizzazione»? Nuove alleanze La centralità dello stile dei rapporti Nord-Sud si evidenzia anche nelle numerose p roposte di nuove alleanze e collaborazioni che il commercio alternativo potrebbe avviare. Sono molte le realtà con cui fino ad oggi si è dialogato ancora troppo poco: dalla rete delle Ong al turismo responsabile, dalla produzione biologica al microcredito e alla finanza etica. Gestire il boom La crescita impone nuovi interrogativi di gestione: si può essere professionali senza essere "aziendalizzati"? L'esperimento delle "Botteghe in partnership", avviato da Ctm, si configura ad esempio come un processo promosso dall'alto e c'è chi vi ha intravisto un rischio per l'autonomia delle botteghe stesse. Invece positivi si sono dimostrati i tentativi di ridurre il margine di guadagno assorbito dai negozi equi, a beneficio dei produttori. Un'opzione concepibile solo nell'ottica del commercio equo e solidale, ogni giorno più rivoluzionaria. L'Avvenire, 28 gennaio 2004
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