Gli italiani non vogliono gli ogm, ma non sono tecnofobi



Al convegno annuale sulla comunicazione della scienza Agnes Allansdottir
(Università di Siena): "Gli italiani non vogliono gli OGM, ma non sono
tecnofobi"


Contraddittorio. Si potrebbe definire così l'atteggiamento degli italiani
nei confronti delle biotecnologie: tendenzialmente negativo quando si parla
di applicazioni in campo agroalimentare, positivo se il campo è quello
biomedico.

Lo dimostrano i dati resi noti il 12 novembre scorso dal Censis nell'ambito
delle indagini condotte dal Monitor Biomedico. Il 57,3 per cento degli
intervistati
si è dichiara favorevole agli interventi di ingegneria genetica se
finalizzata
alla prevenzione delle malattie.
Ma la situazione si ribalta quando si parla di alimentazione: il 56,6 per
cento del campione è contrario e il 30,6 per cento è favorevole. Dati che
in parte confermano ciò che è emerso nell'indagine condotta
dell'Eurobarometro:
largo consenso per test genetici e clonazione di cellule e tessuti a scopo
terapeutico, in tutti i paesi europei e soprattutto in Italia, dove ben
il 59 per cento degli intervistati si è espresso a favore.
Ma sugli alimenti geneticamente modificati l'atteggiamento è ben diverso:
in questo caso, lo scetticismo è molto maggiore e addirittura 1 italiano
su 2 (49 per cento) li rifiuta. E, in controtendenza rispetto al resto
dell'Europa,
la sfiducia verso i cibi biotech è aumentata: se nel 1996 il 47 per cento
era favorevole, nel 2002 è risultato ottimista soltanto il 26 per cento
degli intervistati.
Bocciati anche la clonazione di cellule animali e gli xenotrapianti,
ritenuti
non solo rischiosi ma inutili e moralmente poco accettabili. I risultati
della ricerca europea sono stati illustrati da Agnes Allansdottir
dell'Università
di Siena, durante il II Convegno Annuale sulla Comunicazione della Scienza,
tenutosi dal 6 all'8 novembre scorsi a Forlì. A lei abbiamo chiesto un
commento.

Dott.ssa Allansdottir, il pubblico italiano è forse tecnofobo?
"No, tutt'altro. I cittadini, al contrario, credono nella ricerca
scientifica
e tecnologica. La sfiducia, infatti, coinvolge soltanto le biotecnologie,
ma non le altre nuove tecnologie, verso le quali l'ottimismo è più alto
e largamente condiviso. Inoltre, anche le biotecnologie stesse non sono
percepite come un tutt'uno: il pubblico si è dimostrato perfettamente in
grado di distinguere tra le diverse applicazioni ed esprimere giudizi
ragionati.
Per esempio, se l'opposizione nei confronti del cibo geneticamente
modificato
è in Italia ancora molto elevata, sono invece giudicate positivamente le
applicazioni in campo medico".

Perché questa spaccatura tra applicazioni biomediche e agroalimentari?
"Il problema, in realtà, non sta soltanto nel tipo di applicazione, ma anche
negli attori coinvolti. È stato chiesto di esprimere un giudizio
sull'operato
di diversi soggetti che si occupano di biotecnologie e il dato che emerge
è eclatante: la fiducia è molto elevata nei confronti di medici e
associazioni
di malati, ma anche verso i ricercatori universitari, dei quali si fida
il 60 per cento del pubblico. I ricercatori del settore privato finiscono
invece all'ultimo posto, insieme all'industria in genere che registra appena
il 24 per cento dei consensi. Il timore del pubblico è che alcune
applicazioni
soddisfino quasi esclusivamente gli interessi economici dell'industria,
con pochi benefici per il cittadino. Mentre nelle scoperte in campo medico
il pubblico riconosce il progresso della scienza e le ricadute positive
sulla salute dell'essere umano, la ricerca in ambito agroalimentare è vista
come un'attività con finalità esclusivamente di tipo commerciale".

Termini come "clonazione" e "organismi geneticamente modificati" fanno
ancora
paura, dunque?
"No, anche in questo caso il pubblico è in grado di distinguere, in base
alla finalità e ai potenziali benefici delle varie applicazioni. Gli
intervistati
infatti hanno mostrato un ragionevole sostegno nei confronti dell'utilizzo
di Ogm per la produzione di enzimi con impatto ambientale positivo, per
esempio per la produzione di detersivi "ecologici". Non è la modificazione
genetica in sé a suscitare rifiuto, ma il suo utilizzo. Allo stesso modo,
nel 1999, mentre la clonazione di cellule umane per la riparazione di organi
veniva incoraggiata, quella di cellule animali era vista come rischiosa
e non direttamente utile per l'essere umano".

Galileo, 15 novembre 2003