Convegno GAS_Magnaghi



Invio una sintesi, non rivista dall'autore, dell'intervento del Prof. Magnaghi tenuto al Convegno dei Gruppi d'Acquisto Solidale (GAS) a Marzabotto (Bo) l'11-12 Maggio u.s.
Mauro Serventi (Gas-Fidenza)
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I Gruppi d’Acquisto Solidale nel PROGETTO LOCALE

Relazione del prof. A.Magnaghi*

Convegno dei GAS 12 Maggio 2002 – Marzabotto (Bo)

 

Premessa

Sono personalmente interessato ad approfondire le modalità di costruzione del PROGETTO LOCALE e credo che i Gruppi di Acquisto Solidale possano dare un contributo rilevante.

Comincio con una suggestione: ieri abbiamo visitato la zona archeologica etrusca sita nei pressi di Marzabotto, ho traguardato questo gigantesco prato “vuoto” ed ho provato stupore di fronte ad un prato in una posizione così strategica, “vuoto”.

Per scoprire immediatamente che, in realtà, non è vuoto: contiene una grande forza della storia, in questo caso i morti che vi sono sepolti da secoli.

In questo caso, il locale che caratterizza il progetto di cui andiamo parlando consiste nella forza culturale di una civiltà passata. E’ questa forza che ha impedito che su quel prato si costruisse, ad esempio, una gigantesca zona industriale. Senza di essa, senza la spinta che da essa proviene e che qualcuno ha saputo ascoltare, quel grande prato sarebbe occupato da insediamenti qualsiasi.

Di sicuro sarebbe avvenuto come è avvenuto a Prato, nella zona di Bonfietti, dove c’è un gigantesco interporto su un’area archeologia altrettanto importante.

Quell’apparente “vuoto” comunque, esprime una forza della cultura, ripresa e sostenuta dalla forza della cultura della memoria.

 

Il PROGETTO LOCALE

Da ciò si inizia a capire che la costruzione di un PROGETTO LOCALE richiede, tra l’altro, di non considerare il territorio come un pavimento, come qualcosa che deve sorreggere delle azioni umane che trovano la loro logica altrove, ma, al contrario, è un soggetto vivente di lunga durata, fatto di stratificazioni storiche, di cultura, di memoria, di ricchezza e di saperi che possono produrre futuro, se reinterpretati continuamente ed opportunamente.

 

La storia ha reinterpretato continuamente la sapienza dei luoghi.

Si pensi  alla posizione delle città collocate spesso lungo un asse, o in un crocevia di percorsi o di mercati, o su un crinale : le città sono lì da quando sono nate e la loro localizzazione è prodotto di cultura nomade che, a forza di saperi tramandati e trasmessi, ha individuato il punto dove c’era maggiore densità di informazione e di possibilità di riproduzione di quel luogo. Nessuna città al mondo si è spostata. Le città sono lì: quel punto è frutto di millenni di saperi contestuali che hanno prodotto quel luogo come luogo significante di lunga durata.

 

Effetti della civilizzazione industriale

Faccio questi esempi perché la nostra civilizzazione ha utilizzato e sta ancora utilizzando i luoghi ed il territorio come un pavimento, come qualcosa di indifferenziato da utilizzare sportivamente senza guardarlo, ma anche da distruggere. La civilizzazione contemporanea, industriale, capitalistica , ha trasferito il compito della costruzione della ricchezza nel rapporto tra uomo e macchinario, sostituendolo al rapporto tra uomo, macchinario e natura. Così facendo si è venuto creando quell’evidente divorzio tra natura e cultura che sta alla base della civilizzazione occidentale. Tale divorzio con la natura ha avuto come effetto immediato distruzione del territorio. Ciò ha comportato e comporta l’avvento di genocidi di tutte quelle culture che non si adattano alla globalizzazione.

Questo processo non inizia oggi ma ha inizio già con la conquista dell’America e poi si espande poi nel ‘600 e negli anni successivi. Gli indiani d’America, ad esempio, non si sono adattati a lavorare nelle piantagioni di cotone, quindi devono sono stati distrutti, i pastori sardi sono stati trasformati in operai chimici per fare le stesse operazioni di quelli di Marghera.

Per realizzare lo stabilimento chimico di Ottana, in Sardegna, e per avviarlo, si sono impegnati molti sociologi con lo scopo di capire come trasformare un pastore sardo in una persona che sta otto ore in fabbrica e poi deve consumare prodotti confezionati tipici della civilizzazione industriale. Di conseguenza a queste scelte si è assistito ad un’autentica distruzione di cultura locale.

Il genocidio a volte è culturale a volte è materiale.

Si è prodotto poi un’autentica distruzione di territorio. Basta pensare ai fiumi.  Si è passati in breve dal concetto di acque come generatrici di sapienza sul territorio (il fiume che genera la città), alle acque usate come discariche.

 

Come il PROGETTO LOCALE risponde alle sfide della civilizzazione industriale

Il PROGETTO LOCALE è quindi come alternativa strategica a questo processo di distruzione delle culture, e alle forme di globalizzazione che sfruttano i territori come strumento economico.

In quest’ottica il PROGETTO LOCALE diventa un Progetto sociale e politico per la riconquista di un mondo plurale, fatto di relazione tra uomo, ambiente e storia, nella quale riconosce se stesso e acquista forza di contrapposizione contro le forze distruttive delle culture. Il PROGETTO LOCALE è, quindi, un progetto di un mondo plurale. Dal momento in cui si guarda il territorio come un luogo denso di storia, di cultura, di saperi, di strumenti per uno sviluppo autogovernato, da quel momento sta lottando efficacemente contro un territorio usato dalle grandi multinazionali e da chi lo tratta come puro strumento per la produzione di profitto e di mercato.

 

E’ uno scontro.

Ora lo scontro non è più tra capitale e lavoro ma tra autogoverno ed eterodirezione.

Nel PROGETTO LOCALE gli “abitanti” reinventano una molteplicità di diversi stili di sviluppo a partire dalle ricchezze e dai giacimenti culturali e materiali che ogni territorio ha prodotto e continua a produrre. Il PROGETTO LOCALE cioè non è un dato precostituito da applicare nei vari luoghi. Non è possibile utilizzare ‘la valigetta dello sviluppo’: fabbrica, crescita economica, cultura occidentale.

In Africa si è assistito ad uno sviluppo eterodiretto in cui il Nord ha fornito il modello di crescita. La parola ‘sottosviluppo’è stata coniata per indicare uno sviluppo non compiuto, secondo il modello occidentale.

Il PROGETTO LOCALE è rottura della ‘valigetta’, o meglio, accoglienza reciproca delle proposte che vengono dai vari luoghi. Porto Alegre ha mostrato con evidenza come sia possibile che dal Sud vengano proposte valide per tutti. Un esempio, forse il più significativo, è la proposta di forme di partecipazione ed autogoverno che ci viene dal Municipio di Porto Alegre: le nostre esperienze di partecipazione sono una pallida eco di quel progetto.

 

Necessità di scambio e di relazione

Si sta andando verso relazioni di scambio solidale e reciproco tra esperienze, nella convinzione che ogni luogo ha qualcosa da apprendere e da insegnare perché  ha dentro di sé delle culture. I singoli luoghi sono in grado di autoprodurre sviluppo duraturo senza attendere da noi la parola universale dello sviluppo.

Nell’affrontare il PROGETTO LOCALE, quindi,occorre partire dalla coscienza di una relativizzazione di sé rispetto al mondo, per la costruzione di relazioni non gerarchiche ma solidali che escludano ogni tipo di dominio e per la riduzione della nostra impronta ecologica.

Per far questo, noi del Nord dobbiamo contare sempre più sulle nostre forze e ridurre quell’”altrove di conquista”che ci ha portato a ricercare e poi a sfruttare sempre di più altri luoghi. Occorre rivolgerci ai nostri giacimenti e a tutte le risorse che possiamo recuperare nel nostro territorio al fine di produrre benessere e ricchezza.

Bisogna riscoprire il proprio territorio come giacimento potenziale da cui ricavare ricchezza durevole.

In sintesi, perciò, occorre utilizzare correttamente tutto il proprio patrimonio,sia culturale che storico ed ambientale, per produrre ricchezza senza sfruttare altri paesi.

 

Come ridurre la nostra impronta ecologica: i cicli chiusi.

La riduzione dell’impronta, perciò, non significa tout-court, riduzione di tutti i consumi o autofustigazione (dati gli attuali modelli di consumo).Non è possibile volantinare di fronte ai supermercati invitando a comprare la metà: è uno sforzo in perdita. Al contrario è urgente potenziare la scoperta delle potenzialità e delle risorse dai giacimenti del proprio territorio per chiudere i cicli principali: delle acque, della alimentazione, dei rifiuti e di tutto ciò che abbiamo rotto o interrotto.

L’interruzione di questi cicli, infatti, ha riempito il mondo intero di rifiuti perché ha rotto i cicli naturali. Oggi in agricoltura occorre operare per la ricongiunzione del ciclo tra produzione e allevamento al fine di rendere di nuovo operativa quella semplice regola che ha fatto sì che non fino ad alcuni anni fa non si producessero rifiuti.

Noi, al contrario, stiamo devastando i territori con rifiuti che devono essere smaltiti con depuratori. Il nostro modo attuale di produrre introduce prepotentemente il concetto di rifiuto: concetto che prima, con la realizzazione di cicli chiusi, non esisteva.

E c’erano cicli chiusi anche tra città e campagna.

Si pensi ad esempio a Milano, le cui acque andavano ad irrigare le zone di bonifica del sistema delle abbazie che, con l’utilizzo delle marcite, produceva quattro raccolti l’anno. Per ottenere questo risultato si sfruttava correttamente la grande abbondanza di acque locali a cui si aggiungeva l’apporto dei  rifiuti della città Milano in funzione di concimi,.

E’ questa una dimostrazione di un ciclo chiuso tra città e campagna.

Con la rottura del rapporto di scambio tra città e campagna i rifiuti appestano le acque, non servono più per la concimazione agricola e si sviluppa l’agricoltura industriale che produce atrazina e quant’altro in un ciclo perverso di distruzione di territorialità.

 

Il PROGETTO LOCALE ed il riconoscimento dei patrimoni locali

Il PROGETTO LOCALE è un progetto che, attraverso il recupero e la valorizzazione dei beni patrimoniali di un luogo per produrre ricchezze durevoli.

Per prima cosa allora dobbiamo imparare a vedere i nostri patrimoni e a riconoscerli. A volte un campo vuoto viene interpretato come uno spazio da riempire e non come una risorsa di per se stesso, pieno di storie, saperi, sapienze ambientali ed altro.

Il PROGETTO LOCALE inoltre è anche recupero della relazione tra individuo, gruppo, società insediata e questi saperi locali che riempiono di significato anche il campo vuoto

Al contrario, invece, accade che lo sviluppo della civiltà industriale è delegato a grandi macchine e a figure di produttori espropriati di qualunque capacità di incidere sulle decisioni nei processi produttivi. Basta pensare alla figura dell’operaio-massa degli anni scorsi : egli era impossibilitato a produrre progetti locali. Egli, infatti, veniva estirpato dal Sud, giungeva a Torino per girare un bullone e non sapeva più fare niente. Doveva comprare perfino il prezzemolo, non sperimentava più le relazioni solidali del quartiere, se si ammalava doveva andare in ospedale ecc. Tutta la sua vita produttiva era mercificata ed alienata: al lavoro per otto ore, poi al supermercato per finire inscatolato in un quartiere dormitorio davanti alla tv.

Un disgraziato del genere non poteva produrre PROGETTO LOCALE!

 

Possibili percorsi per il recupero del rapporto tra produzione e consumo

E’ successo, da allora, un fenomeno complesso che ha generato l’attuale società di tipo postindustriale. Anche per merito delle lotte operaie che hanno reso evidente un rifiuto di quel tipo di lavoro e hanno fatto apparire i limiti di quel tipo di sviluppo ,quel modello è andato in crisi.

Sono nati dei distretti industriali in cui è stato possibile iniziare a reimpostare il rapporto di produzione con attenzione alle relazioni virtuose tra società locale e produzione e lavoro( vedasi il modello emiliano, i distretti industriali in Toscana e nelle Marche, cosiddetti la Terza Italia) che reimposta il rapporto di produzione con attenzione ai rapporti tra società e territorio: la casa, l’orto, le relazioni sociali ecc..

 

Il PROGETTO LOCALE è possibile, anche se ineluttabile.

A partire perciò dalla crisi del modello industriale, dallo sviluppo di elementi della società postindustriale si può affermare che, oggi, il PROGETTO LOCALE è possibile.

Questa affermazione è sostenuta dalla constatazione che la forma del lavoro è cambiata.

Il lavoro salariato, infatti, non è più l’elemento costitutivo del contratto sociale, che si è andato modificando a favore di vari tipi di lavoro di tipo autonomo e/o microimpresa . Ciò non significa liberazione dal capitalismo ma permette il dispiegamento di una moltitudine di tipologie di lavoro nuovo, con caratteristiche nuove. Ne sono esempi i lavori socialmente utili, il lavoro ambientale ecc.

Oggi una microimpresa può, in qualche maniera, decidere anche cosa produrre, mentre per l’operaio Fiat è insignificante cosa produce, basta un salario e la riduzione della fatica.

Oggi il lavoro molecolare e diffuso può essere premessa importante per rendere possibile la costituzione di imprese etiche, che non abbiano, cioè, come fine unicamente il profitto. Attualmente questo modo diverso di produzione è una realtà in espansione e permette di affermare che il progetto locale è possibile. Questa possibilità, tuttavia, non significa ancora  che il processo è ineluttabile ne tanto meno che porti ad un successo pieno. Può succede che la molecolarizzazione del lavoro e delle imprese porti alla costituzione di imprese terminali rispetto le grandi multinazionali e corra il rischio di occupare aree marginali di produzione.

Occorre che si strutturi una rete diffusa di produzione sul territorio in grado di riappropriarsi dei fini della produzione e si rifiuti di essere comandata, decidendo cosa produrre, cosa e come dove quanto consumare ecc.

Questa rete è oggi possibile ed è il dato di novità.

Questo dato era già presente, in embrione, già dai primi anni ’70: Milano nel ’77 contava 270 centri sociali attivi, con botteghe artigiane, officine meccaniche, laboratori di musica, produzione di corsi e formazione alternativa, modelli di vita, produzione e consumo alternativi. Con gli anni di piombo tutto ciò viene spazzato via e rimangono solo alcuni esempi marginali.

 

I nuovi movimenti ed il PROGETTO LOCALE

I nuovi movimenti, oggi, sono caratteristici per la loro composizione, che è una composizione di differenze. Non c’è più la vecchia lotta di classe degli operai che lottano contro il capitale ma è una composizione molto articolata: ci sono agricoltori (difesa ambiente e tipicità dei prodotti), operai, associazioni ambientaliste e culturali, consumo critico, volontariato, servizi, lavoro sociale ed autonomo, imprese produttive e finanziare a finalità etica ecc.

E’ importante chiedersi: cosa succederebbe, ora, se questo movimento “precipitasse” su un determinato territorio. Si renderebbe evidente una società in costruzione, una società che può avere i suoi agricoltori, il commercio dei prodotti agricoli, la sua produzione culturale, il suo stile di sviluppo in relazione alla cultura e alla storia del luogo.

Ne esce una composizione molto variegata anche se, per ora, questo movimento è forte principalmente nella contestazione e debole sul territorio, è forte nel contestare le istituzioni mondiali ma è debole e frammentato nel locale.

Il PROGETTO LOCALE allora consiste nel far sì che si mettano insieme tanti spezzoni autonomi per produrre, ciascuno per la propria parte, un modello di sviluppo alternativo in un luogo.

Tale sviluppo alternativo non può essere “astratto” o preconfezionato al di fuori del luogo a cui si riferisce, ma deve essere intimamente legato alla qualità specifica del luogo per cui è progettato.

Esso si concretizza e si rende evidente quando, ad esempio, un agricoltore non diventa un agricoltore standard della Monsanto ma, al contrario, si rapporta al suo territorio riscoprendo le cultivar del luogo, trattando quel fiume, quel problema idrogeologico, quelle specificità del gusto e della cultura locale, divenendo così un agricoltore che porta una cultura specifica e non globale nella convinzione che tante culture specifiche faranno un globale diverso, un globale di relazione, di scambio, equo e solidale e non di dominio.

Anche le associazioni culturali od ambientaliste, se si mettono in relazione con territorio specifico, porteranno delle culture specifiche. E’ importante notare, a questo riguardo, come la costituzione di Marcos nel Chiapas chieda il riconoscimento di circa 48 lingue (non vengono chiamati dialetti) al fine di operare, attraverso la lingua, per il riconoscimento di stili di vita e di culture diverse.

In sintesi, allora, la proposta del PROGETTO LOCALE,

similmente alla proposta della Carta del Nuovo Municipio, è quella di riuscire, nel prossimo periodo, a mettere insieme reti di produttori, di consumatori, di volontari, di culture e tutto ciò che già si esprime con progetti (non dobbiamo inventarli noi) con lo scopo di costruire dei laboratori di sviluppo autogovernati.

Questo lavoro, nel frattempo, farà crescere la solidità della società locale ed il reticolo che costituisce la nuova comunità contrapponendosi al modello vigente tipico della società industriale moderna che si propone di distruggere il concetto di comunità.

In questo reticolo dovrà svilupparsi un’alleanza tra produttori e “abitanti” (abitanti e non solo consumatori  di merci ma abitanti del mondo e del luogo con i propri stili di vita edi relazione di alimentazione, cultura ecc.) per favorire la mescolanza delle due figure aprendo così la possibilità di costruire patti sociali locali.

In una società di microproduttori è facile che le due figure si mescolino. Mentre, infatti, nella società industriale le due figure erano nettamente distinte: il produttore, cioè, si preoccupava di fornire merci ed il consumatore di “consumare”, in una società complessa tipica di una società postindustriale composta da microproduttori in rete, il produttore può prendere più coscienza di essere anche abitante di un territorio in cui vive ed aprirsi a patti di valorizzazione del territorio stesso in cui è produttore ed abitante allo stesso tempo.

A tali patti viene assegnata la funzione di strumenti per la costituzione del nuovo municipio.

 

La Carta del nuovo Municipio

La Carta del Nuovo Municipio (presentata a Porto Alegre quest’anno) tenta il seguente passaggio: a partire da una forte domanda di partecipazione dal basso e da un nuovo ruolo delle amministrazioni locali oggi più sensibili ed attrezzate, diventa possibile stipulare patti per lo sviluppo del territorio.

Alcuni amministratori, infatti, sensibili al loro nuovo ruolo  si stanno rendendo conto che il proprio territorio può produrre ricchezza secondo modelli originali di sviluppo. L’ amministratore di qualche anno fa amministrava quasi solo l’anagrafe e poche altre cose ed accettava sul territorio qualunque cosa producesse reddito e salario. Qualunque fabbrica, anche se distruggeva il territorio, andava bene. Oggi sta cambiando. L’amministratore medio si è accorto che lasciare insediare sul proprio territorio una fabbrica che dopo alcuni anni abbandona, lasciando un territorio devastato è un grave errore. Oggi molti amministratori sono propensi a favorire lo sviluppo di imprenditoria o di reti di imprese collegate e radicate sul territorio e che producono cose che servano a metter il lavoro nel territorio.

Dall’altra parte abbiamo un movimento che produce territorialità attraverso piccole reti locali di agricoltura, operai, consumatori, piccole imprese che non hanno solo finalità di profitto ma anche ambientali etiche e sociali

La carta fa la proposta di stipulare patti tra soggetti diversi, amministratori locali che si sporgono verso il sociale e movimenti che si aprono verso l’istituzionale, che , anche con fatica, si muovono verso la costituzione di patti e di laboratori.

A tutt’oggi hanno aderito centinaia di comuni, alcune province ed una regione, ed ora siamo nella fase dei processi costituenti.

In questa fase diventa necessario inventare istituti intermedi tra la democrazia delegata ( voti ogni 5 anni) ed il referendum svizzero (voti ogni 5 minuti), comprendenti le rappresentanze di tutte le iniziative attive nel sociale, che affianchino le varie associazioni ( di categorie ecc), le componenti del lavoro sociale, del consumo critico, del volontariato ecc  al fine di elaborare scenari condivisi per il futuro di un territorio.

Una volta preso un considerazione un territorio, occorrerà  costruire un tavolo di lavoro con la partecipazione di tutte le componenti sociali in grado di proporre uno scenario dello sviluppo del territorio stesso.

E’ importante sottolineare, tra l’altro, che, negli attuali Piani, ciò non avviene: lo sviluppo viene deciso altrove, di solito nelle stanze chiuse delle amministrazioni.

Il tavolo, qualora in funzione, non dovrà svolgere funzioni di concertazione ma dovrà configurarsi come un  tavolo costituente.

Il passo successivo sarà poi quello di individuare gli attori in grado di realizzare gli scenari individuati.

I territori individuati non potranno riferirsi soltanto ad un territorio puramente urbano ma dovranno comprendere città e campagna per consentire una reale riproduzione del modello, prefigurando così un nuovo ruolo del mondo rurale visto in relazione non gerarchica e di scambio con la città.

Non è possibile, infatti,se non in minima parte, proporsi la riduzione dell’impronta ecologica e riferirsi ad un solo quartiere. Per permettere, ad esempio, l’autoriproduzione del ciclo dell’acqua occorre lavorare all’interno di un sistema di bacino idrografico.

Anche in un quartiere sono possibili ed auspicabili esperienze di riduzione dell’impronta: esperienze di vicinato, di mercati locali ecc..ma è in una relazione tra città e campagna che sono realizzabili le esperienze più incisive.

 

Alcune esperienze.

Due piccole esperienze toscane:

1)      Radici: qualità totale agroalimentare servizi e cultura a Sovereto. Una vecchia fornace in Val di Cornia è divenuta monastero laico e produce cultura delle filiere agroalimentari locali, della loro commercializzazione e consumo in forma innovative. Questo centro è museo e centro di documentazione storica e del lavoro agricolo, centro di formazione professionale, sala convegni, foresteria e servizi, laboratori di analisi sulle cultivar locali, impianti di confezionamento dei prodotti, centro di reti commerciali all’ingrosso e di nicchia, fornitura di servizi ad imprese, servizi di tecnologie avanzate, riferimento per l’università (master e base ). Tutto diverso da un’azienda agricola tradizionale eppure produce filiere di orticoli, olivicoli, frutticoli, sostenute da un turismo culturale in sviluppo.

 

2)      Progetto pilota integrato Provincia di Prato: valorizzazione produttiva ambientale agrituristica del territorio rurale della media Val di Bisenzio. Prende un pezzo di territorio e si ripropone il ripopolamento, secondo certe di modalità di costruzione di un progetto autosostenibile che è insieme: rivalutazione del territorio agricolo, salvaguardia idrogeologica, produzione di qualità ambientale e del paesaggio , commercializzazione, rivitalizzazione dei mercati con prodotti locali…..(nel patto si parla anche di… stili di vita!) Di solito i patti erano fatti per produrre lavoro e finanziare imprese. Qui c’è un’etica dello sviluppo e ciascuno fa la sua parte.

Gli attori sono: Il comune di Variano, i comuni limitrofi, la comunità montana, la provincia di Prato, la Camera di Commercio , Università, regione Toscana, Centro di documentazione storico etnografico, servizio ASL e privati( 20 aziende agricole site nel territorio che si impegnano a produrre prodotti servizi agriturismo……)

 

La Carta, infine, auspica la nascita di Nuovi municipi in grado, insieme agli attori sociali, di produrre modelli di sviluppo specifici di quel luogo e fondati sulla valutazione del patrimonio.

Nuovi: non più vittime di modelli esogeni ma in grado di mobilitare le energie sociali locali per la produzione di modelli di sviluppo autogovernati.

 

Conclusioni.

Questo progetto rafforza la società locale, e la rende capace di difendersi da assalti di progetti esogeni di sviluppo. Solo col rafforzamento delle società locali attraverso la messa  in atto di questi modelli di sviluppo, infatti, si potranno creare relazioni tra soggetti diversi, pubblici e privati, in grado di contrastare progetti esogeni ed eterodiretti aventi finalità divergenti rispetto agli interessi reali e complessivi di un territorio.

 

 

* Testo tratto non rivisto dall’autore