Nell'estate del 1995, più esattamente nel mese di
luglio, non era difficile immaginare che la guerra in Bosnia Erzegovina era
alla fine. La fine "ufficiale", quella delle strette di mano e dei trattati
sarebbe arrivata qualche mese dopo. I segnali c'erano tutti. La caduta della
Kraijna assomigliava più ad una ritirata che ad una verrà battaglia di
"liberazione". Le enclaves musulmane di Zepa, Goradze, Biach e Srebrenica
erano allo stremo mentre i serbi dei quartieri di Sarajevo stavano
diseppellendo i loro morti per apprestarsi ad un viaggio di addio, senza un
probabile ritorno a casa. Era chiaro che dietro tutto ciò c'era un accordo,
neanche tanto segreto, di scambi di territori fra i belligeranti. E la
popolazione? Il problema era presto risolto con una parola "magica" che da
anni oramai risonava nelle orecchie di tutti: pulizia etnica. In fondo era il
prezzo da pagare per far cessare una volta per tutti i combattimenti, così la
Comunità Internazionale e l'ONU potevano gridare il loro successo. Come andò a
finire oramai è storia, nomi di città come Srebrenica con il loro carico di
7.000 morti mette paura solo a sentirla nominare. I profughi li abbiamo visti
ripetutamente su tutti i giornali e telegiornali, ma raramente abbiamo sentito
parlare degli "scomparsi".
Esattamente cinque anni fa si consumava uno
degli ultimi atti, forse il più tragico, che quattro anni di guerra in Bosnia
Erzegovina ci avevano riservato. La caduta ed il massacro della Zona Protetta
di Srebrenica.
I fatti. La guerra
oramai era alla fine, bisognava solo raggiungere sul terreno i patti che i
potenti - Milosevic, Izetbegovic e Tudjman - avevano non tanto segretamente
sottoscritto, con il tacito assenso della comunità internazionale: il 51% del
territorio della Bosnia ai croato-musulmani ed il restante ai serbo bosniaci.
Ma per raggiungere ciò bisognava togliere di mezzo queste zone protette, come
ebbe a dire un generale delle Nazioni Unite. Le zone protette erano delle
enclaves musulmane in un territorio completamente in mano ai serbo bosniaci ma
sotto la protezione dell'ONU. Le zone protette erano un'invenzione del
Generale delle Nazioni Unite Morillon, lo stesso che i media occidentali
definivano "L'eroe di Srebrenica" perché era colui che era riuscito ad
entrare, nel 1993, in quella città con degli aiuti. Peccato che gli stessi
media sorvolarono sempre sul fatto che Morillon per tentare di uscire indenne
da quella città cercò goffamente di travestirsi da un comune cittadino.
Peccato poi che le donne lo riconobbero e di peso lo portarono dentro al
palazzo delle poste. "Eh no caro Morillon gli avranno detto adesso
tu non ti muovi fino a che non ci porti tutti fuori da questo inferno". Una
notte insonne e Morillon partorì l'idea: la Zona Protetta. Le Nazioni Unite
garantivano la sicurezza della città dall'assedio serbo tramite l'invio di un
centinaio di soldati canadesi prima e olandesi poi.
Passano due anni ed i
signori della guerra bosniaca decidono che è ora di finirla se si vuole ancora
conservare il potere, ma c'è ancora da risolvere l'annoso problema dei
quartieri di Sarajevo in mano ai serbi e quello delle enclaves oramai
indifendibili per il governo bosniaco. Cosa meglio di uno scambio di
territorio e dei relativi abitanti per pareggiare il conto? Ma cosa si fa con
i caschi blu che "difendono" le enclaves? A risolvere il problema interviene
l'ONU. Il 30 maggio del 1995 l'ONU pubblica un documento dove si dichiara che
i Caschi Blu possono lasciare le Zone Protette. E' il segnale che i serbi
bosniaci attendevano.
Il nove luglio 1995 l'esercito serbo bosniaco guidato
dal Generale Mladic inizia il bombardamento di Srebrenica. I caschi Blu
tentano di convincere la popolazione bosniaca alla resa garantendo che gli
aerei NATO sarebbero intervenuti a difenderli. Nel frattempo Naser Oric,
comandante dell'esercito bosniaco a Srebrenica, insieme con i suoi
fedelissimi, vengono prelevati e trasferiti a Tuzla. L'artiglieria serba
continua a martellare la città, degli aerei NATO neanche un rombo in lontanza
si ode. I serbi sono in città. I Caschi Blu olandesi per salvare la pelle
cedono in blocco tutto il loro armamento ai serbi. L'esercito serbo bosniaco
entrano a Srebrenica a bordo dei blindati bianchi dell'ONU. La popolazione
bosniaca gli corre incontro convinta che siano "i salvatori", che siano
arrivati per portali via. Solo dopo si accorgeranno dell'inganno, ma oramai è
troppo tardi.
Seguiranno due settimane di rastellamenti, uccisioni, stupri
e fughe in massa di donne, vecchi e bambini. Gli uomini vengono fatti
prigionieri. Nulla si saprà più di loro. Un esercito di vedove reclamano
ancora di sapere che fine hanno fatto settemila persone. Tanti sono i
"dispersi" di Srebrenica. La maggior parte di loro sono stati uccisi
dell'esercito serbo bosniaco del Presidente e criminale di guerra Karadzic'.
Attualmente più di quattromila morti sono stati rinvenuti nei dintorni della
citta, fra i boschi e in fosse comuni.
Nel libro "Lo specchio di Sarajevo" Adriano Sofri
scrive: "Le persone di Sarajevo si chiedono quanti anni, e quanti milioni di
altre vittime, ci separano dal giorno in cui nomi come Goradze o
Srebrenica saranno celebrati come Guerninca e Marzabotto, e si faranno
grandi film sul loro martirio?".
"A come Srebrenica" è un'attenta
ricostruzione che vuol dare una risposta alla domanda che si è posto Adriano
Sofri, "A come Srebrenica" è uno spettacolo teatrale scritto da Giovanna
Giovannozzi e portato in scena da Roberta Bigiarelli alla quale abbiamo fatto
una intervista.
Durante la caduta di Srebrenica e Zepa molti uomini
furono fatti prigionieri ed arrestati con l'accusa di "tradimento" ma solo
pochi prigioniri sono stati scambiati alla fine della guerra. Molti mancano
ancora all'appello. E' un enorme buco nero che, non si capisce perché, non si
riesce a risolvere. Riportiamo il racconto-testimonianza
diretta di una donna il cui marito è stato "arrestato" su ordine del generale
Mladic all'interno di una base ONU durante le trattative per la resa della
enclave musulmana di Zepa.
E' una storia tragica, assurda ed aberrante dove
la ragion di stato e la real politik occidentale ha fatto si che ad una donna
venisse strappato il marito. E' la storia di una lunga ricerca non ancora
finita, è la storia di una madre che vuole a tutti i costi sapere in quale
carcere è rinchiuso il padre delle sue due bambine, è la storia del
"Comandante Avdo Palic" e dei mille altri prigionieri di guerra, di ogni
fronte, non ancora rilasciati.