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parliamo di stalle e di latte
L'azienda agricola Bettegno di Pontevico lancia la sua sfidaDue milioni per
la nuova stalla L'azienda vuole crescere fino a 500 vacche in lattazione
Gianmichele Portieri PONTEVICO Il 9 aprile
scorso, davanti al
notaio Ricca a Pontevico, il conte Francesco Martinoni Caleppio e il suo
socio Bruno Bonaglia, firmavano il loro atto di fede nel futuro della
produzione lattiera nella Bassa bresciana. I due stipulavano un mutuo
agrario ventennale con Banca Intesa di due milioni di euro (3,87 miliardi in
vecchie lire che sono rimaste la moneta di conto in campagna) per costruire
una nuova stalla per l'allevamento di bovini da latte con impianto sala di
mungitura e vasca di stoccaggio reflui. Il mutuo doveva servire inoltre per
acquistare quote latte. Per accedere al prestito, stipulato al tasso
iniziale del 3,40% annuo, i due hanno prestato garanzie anche personali. A
distanza di pochi mesi il programma (evidentemente anticipato con risorse
proprie) è già praticamente realizzato. La nuova stalla dell'azienda
agricola Bettegno è sotto i nostri occhi nella sua imponenza, con il
brulicare di settecento bovini sotto un unico enorme tetto. L'azienda è nata
dalla fusione tra la mandria della cascina Bettegno del conte Martinoni e
l'azienda Bonaglia di Torchiera di Pontevico. I due soci hanno ritenuto di
dover raggiungere una imponente massa critica per poter stare sul mercato
con soddisfazione economica. È evidente infatti, conversando con Francesco
Martinoni, che l'imprenditore è avvezzo a fare i conti e, se questi non
tornassero, ne trarrebbe con immediatezza le conclusioni. Grazie anche al
prezzo spuntato per il latte dalla Coop latte indenne, (di cui Martinoni è
presidente) i conti del 2003 sono in linea con il budget. Un budget che
dovrebbe trovare il suo equilibrio con 500 bovine in lattazione e 40mila
quintali di quota. Una parte del mutuo è stata infatti impiegata per
acquistare 5mila quintali di quota latte, in corso l'acquisto di altri
3mila. Stalla nuova sta per la migliore tecnologia "risparmia lavoro". Tre
addetti in tutto in stalla, un record. Tutte le bovine di elevata genealogia
(con prevalenza di sangue canadese e l'invidiabile media di stalla di 95
quintali di latte) sono dotate di collare elettronico con pedometro. La sala
di mungitura (un gioiello) ha 48 poste ed è già ora capace di smaltire 120
bovine in mezz'ora. La grande mandria è servita in meno di tre ore e per il
resto è vigilata da una selva di antenne radio.
Due allevatori senza più stalla"Per non comperare nuove quote ho venduto
tutto"
BAGNOLO - GHEDI "Ho venduto le vacche e le quote
in dicembre, ma per
tre mesi sono andato avanti a svegliarmi alle 5 e, dopo colazione, ad andare
a fare un giro in stalla. Era vuota, così come la vede ora, ma c'è voluto un
pezzo prima di lasciare quell'abitudine". Fausto Ferrari è giovane (sulla
quarantina) e deve disegnarsi un futuro senza stalla da latte. "Nostalgia?"
"Ho fatto la scelta giusta, ma andavo in stalla da quando avevo nove anni e
non ho completato gli studi perchè volevo stare in stalla". Delle vacche
Frisone ci si può innamorare. "Sono eleganti come signorine". Il momento di
lasciarle è inesorabilmente traumatico. L'ostentata freddezza da
imprenditore navigato, non inganna proprio nessuno. Fausto Ferrari alla
cascina Fabbrica nella campagna di Bagnolo (tenuta un gran bene) ha 140 piò
di terra ed aveva 120 vacche in lattazione. La stalla, come si può vedere, è
nuova: ha un anno e mezzo ed è linda come se avesse pochi mesi. "Pensare che
nell'agosto del 2003 ho comprato a Vicenza gli ultimi 800 quintali di quota
latte, poi il 6 dicembre ho venduto tutto". A far scattare la molla è stato
il superprelievo sulla quota B comparso, a sorpresa per tutti, nell'agosto
scorso. Ferrari si è detto che comprando 2.600 quintali di quota per coprire
la B, i conti non quadravano più. Il sacrificio non valeva la candela. "È
stata una scelta di vita". Meno emotiva la scelta di Salvatore Rossi anche
se la molla è stata, anche in questo caso, la necessità di comperare altri
3mila quintali di quota. Salvatore Rossi, con la sua azienda Gasparina a sud
di Ghedi, è un grosso allevatore ed un personaggio. Deve la sua popolarità
anche al fatto di essere uno dei fratelli di Adelino Rossi, l'indimenticato
presidente del Consorzio Agrario dei tempi d'oro. Rossi dice che la molla è
stata la decisione dell'unico figlio maschio di intraprendere gli studi di
ingegneria informatica. Senza continuità familiare, Rossi ha ritenuto che il
sacrificio non valesse la candela. Non che fosse uno abituato a tirarsi
indietro: "Ho accudito da solo a 250 parti all'anno". Le vacche erano 180,
mentre la stalla contava 500 capi. L'azienda conta ancora su 300 piò di
terra, 200 dei quali in affitto, che Rossi coltiva ancora a mais e foraggio.
In questo caso la mancanza degli animali è meno acuta, perchè le vacche sono
state cedute al fratello e ai nipoti, cui è anche affittata la stalla.
Insomma sono ancora al loro posto. Ora Rossi si chiede che fare con l'idea
di mettere un paio di capannoni con i maiali. Intanto, come del resto Fausto
Ferrari, ha investito della terra nel pomodoro da industria che si conferma
la coltura del momento. g. m. p.
La convenienza si è spostata in alto
DUE CONTI ATTORNO ALLA STALLA DA LATTE NEL BRESCIANO
Uno studio recente dell'Osservatorio del latte di Cremona,
quello del
prof. Pieri, basato sui costi e sui ricavi del 2001, mostra come al di sotto
delle 100 bovine in lattazione (e quindi circa 200 capi in stalla), il
bilancio non può che essere inesorabilmente in perdita. A quel livello, se
si è davvero bravi, si fanno "girare i soldi". Ma dal 2001 sono cambiati
alcuni fattori di calcolo e ormai la soglia per avere convenienza a gestire
un allevamento di bovini da latte si è spostata parecchio più su. Ormai i
conti sono in discreto utile solo se si mungono quasi 300 vacche. Ad
abbassare la soglia di pareggio contribuisce la disponibilità di mano
d'opera familiare, quella che non conta le ore di lavoro, che è disponibile
anche di notte. Viceversa il ricorso alla mano d'opera salariata (indiana o
bresciana, poco cambia) richiede di avere più vacche. Si può calcolare che
un mungitore costi all'anno, pagato e assicurato, circa 35mila euro. A
rendere più facile far quadrare i conti è pure la disponibilità di foraggio
di produzione propria. L'autoproduzione di foraggio non sempre è
astrattamente conveniente (talvolta i prezzi di mercato scendono sotto i
costi), ma è sempre preziosa per stabilizzare i conti quando, ad esempio, i
fieni scattano oltre 20 euro il quintale. La voce decisiva è comunque la
disponibilità delle quote latte. Se le si possiede e sono già ammortizzate,
i conti vanno in un verso, se si devono ammortizzare le quote è tutto un
altro discorso. Poichè la quota si paga 1.300 lire più Iva sulla parte
dichiarata e cioè circa 1.500 lire il kg di latte, su ogni kg di latte
prodotto si devono togliere 150 lire, che può essere più del guadagno.
Volete un parametro semplice? Le cose vanno bene se si realizza un margine
lordo (prima degli ammortamenti) di 500 euro l'anno per vacca. Una cifra che
dipende ovviamente molto anche dal prezzo del latte.
Sequestrato un altro allevamento
Dall'inizio dell'emergenza diossina ad Acerra, quello di ieri è il nono
allevamento, di cui due provenienti dal Casertano, che finisce sotto
sequestro a causa della contaminazione riscontrata nel latte. Dalle analisi
effettuate dalla Sogin sui terreni ad Acerra è stata riscontrata nei mesi
scorsi sui terreni la presenza di alti tassi di contaminazione da diossina.
Sui 15 prelievi effettuati, ben 7 superano i limiti previsti dalle
normative. I restanti hanno "evidenziato concentrazioni significative di
diossina". I dati contenuti nel rapporto della società che si occupa della
gestione di impianti nucleari contrastano con quelli dell'Arpac che a luglio
dell'anno scorso avevano evidenziato solo due campioni di terreno
contaminato lungo il corso dei Regi Lagni.
e.f.
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