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COMMERCIO EQUO AL BIVIO DOPO IL BOOM
- Subject: COMMERCIO EQUO AL BIVIO DOPO IL BOOM
- From: "Francesco Castracane" <fra.castracane at libero.it>
- Date: Wed, 2 Jun 2004 14:37:45 +0200
COMMERCIO EQUO AL BIVIO DOPO IL BOOM
"Crisi di crescita" per il fenomeno, che ha ormai dimensioni planetarie
Una gamma di almeno 7 mila prodotti in 65 mila punti vendita nella sola
Europa, 3.500 lavoratori a tempo pieno e almeno 100 mila volontari: sono i
numeri del commercio equo e solidale, una realtà in piena espansione e che
nel nostro Paese sta conoscendo un boom senza precedenti, anche a Lodi.
Sebbene dati completi relativi a questo innovativo settore non siano ancora
disponibili, le indicazioni parziali sono molto eloquenti.
Tra il 2001 e il 2003, ad esempio, i prodotti del consorzio Ctm
Altromercato - che con 32 milioni di euro di fatturato è la principale
centrale di importazione italiana - hanno segnato incrementi del 65 per
cento e del 50 per cento, mentre il comparto del commercio alternativo non
si basa più solo sul volontariato: nel 2003 i due maggiori importatori (Ctm
e Commercio alternativo) hanno superato complessivamente i 100 dipendenti,
raddoppiati nel giro di tre-quattro anni.
Eppure oggi il fair trade ("commercio giusto") , nato per promuovere un tipo
di scambio tra Nord e Sud del mondo basato su un rapporto che fosse
paritario e garantisse ai produttori un prezzo equo per il loro lavoro, si
trova a far fronte ad una crisi. Per la precisione, una "crisi di crescita".
L'impennata dei fatturati impone grandi sforzi agli importatori.
«Devono adeguare le strutture, assumere personale, accentuare 1'apertura
alle vendite nei supermercati senza scivolare in una logica puramente
mercantile» scrivono Lorenzo Guadagnucci e Fabio Gavelli in "La crisi di
crescita, le prospettive del commercio equo e solidale" (pagine 160, euro 8,
Feltrinelli).
Le botteghe al bivioSecondo una ricerca svolta dalla cooperativa romana
Pangea, le botteghe italiane si scontrano sempre più con una serie di
limiti: strutture poco sviluppate, difficile rapporto con i media, scarso
dinamismo nel reperire risorse, poca collaborazione con altri soggetti
esterni al movimento. Soprattutto, le quote di mercato sono ancora troppo
basse per soddisfare le esigenze dei produttori.
Dentro o fuori dal mercato?
«Dai Paesi poveri proviene una domanda generalizzata di maggiori sbocchi:
più acquisti, più mercato» scrivono gli autori. Tuttavia «per molti soggetti
del Nord, il raggiungimento di questo obiettivo marcia necessariamente di
pari passo con la battaglia contro le iniquità del sistema economico e con
la necessità di promuovere nei Paesi ricchi nuovi stili di consumo e di
vita». Il costante dibattito sulla natura del commercio equo diventa dunque
sempre più cruciale di fronte alla possibilità di crescere stringendo
alleanze con il mercato tradizionale.
La via dell'industriaL'aumento esponenziale dei prodotti porta alle soglie
di un'altra sfida: il passaggio ai beni industriali di massa.
Esperimenti importanti, come i palloni del Pakistan o i jeans Kuyichi, hanno
già dimostrato la capacità del circuito equo di imbastire rapporti proficui
con aziende private o cooperative di grandi dimensioni.
All' interno del movimento ci si chiede se oggi questa strada vada percorsa
con sistematicità.
Per molti il profit può essere partner del fair trade, a patto che siano
fornite alcune importanti garanzie, come il rispetto dei diritti sindacali e
la sostenibilità ambientale.
Ma chi può fare fede per le aziende?
La questione dei marchiUn altro nodo irrisolto riguarda appunto la liceità e
l'efficacia degli enti volti alla certificazione dell'equosolidale. Già
esistono marchi di garanzia a livello nazionale e internazionale, ma il
dibattito resta aperto su molti punti: certificare i singoli prodotti o
invece i soggetti totalmente "equi"?
Quali criteri utilizzare?
Nuove alleanze
La centralità dello stile dei rapporti Nord-Sud si evidenzia anche nelle
numerose proposte di nuove alleanze e collaborazioni che il commercio
alternativo potrebbe avviare.
Sono molte le realtà con cui fino ad oggi si è dialogato ancora poco: dalla
rete delle Ong al turismo responsabile, dalla produzione biologica al
microcredito e alla finanza etica.n Gestire il boomLa crescita impone nuovi
interrogativi: si può essere professionali senza essere "aziendalizzati"?
L'esperimento Ctm delle "Botteghe in partnership" si configura come un
processo dall'alto e c'è chi vi intravede un rischio per l' autonomia delle
botteghe. Invece positivi si sono dimostrati i tentativi di ridurre il
margine di guadagno dei negozi, a beneficio dei produttori.
Un'opzione concepibile solo nell'ottica equa e solidale, ogni giorno più
rivoluzionaria.
(Il cittadino, Lodi, 24 aprile 2004)
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7 MILIONI DI ITALIANI COMPRANO PRODOTTI EQUI
Gli italiani che fanno la spesa scegliendo prodotti 'equi e solidali' sono
in aumento: in un anno infatti sono raddoppiati, da 3,5 a 7 mln.
L'identikit dell' italiano che favorisce questo commercio vive soprattutto
al Nord, e' prevalentemente studente, impiegato, casalinga od operaio, con
tendenze politiche orientate a sinistra. Il dato emerge da una ricerca di
'Gpf e Associati' sul mondo del fair trade italiano.
(Ansa, 21 maggio 2004)
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PIACE SEMPRE DI PIU' L'EQUO SOLIDALE GARANTITO
Transfair Fairtrade: le banane equosolidali si attestano come il primo
prodotto e conquistano il 20% del mercato totale del settore biologico.
Il 2003 è stato l'anno della banana equosolidale: a due anni dal primo
sperimentale inserimento, la banana bio ed equa ha venduto lo scorso anno
per 2200 tonnellate pari a circa 6,7 milioni di euro, considerando i prezzi
medi di al pubblico. Ma è gran parte del settore dell'equosolidale garantito
ad aver conosciuto un'interessante crescita facendo di Fairtrade TransFair
una delle iniziative nazionali che ha conosciuto gli incrementi più alti a
livello europeo. Anche cacao e cioccolato hanno conosciuto grosse crescite
percentuali: più 73% rispetto al 2002 per la cioccolata e addirittura più
169% per il cacao in polvere. Vanno forte anche il miele equosolidale che è
passato dalle 37 tonnellate del 2002 alle 85 tonnellate del 2003. E il succo
di arancio che ha venduto 679.000 litri nel 2003 rispetto ai 243.000 litri
del 2002 per un valore all'acquisto di 800.000 euro. Hanno conosciuto una
leggera flessione i prodotti "classici" di commercio equo, come il caffè,
che ha segnato un meno 8% nel 2003 rispetto all'anno precedente; ed è il tè
ancora il prodotto più debole anche se TransFair si attende un incremento
positivo dai prossimi inserimenti delle referenze estive di tè freddo.
Complessivamente i prodotti fartrade hanno conosciuto un volume complessivo
di vendita pari a circa 20 milioni di euro contro i 12 milioni di euro del
2002. "Questa crescita che è dovuta principalmente al deciso impegno di
alcune catene della distribuzione, come Coop, che proprio dal 2003 ha
lanciato una linea di prodotti equosolidali a marchio" - ha dichiarato Paolo
Pastore, coordinatore nazionale di Fairtrade TransFair Italia- Penso anche a
Carrefour che ha deciso di inserire le banane fairtrade nella propria linea
"ScelgoBio"; o a Naturasì che nel 2003 ha messo a scaffale i prodotti della
linea Mondovero Bio". Altri licenziatari hanno fatto scelte "coraggiose":
come Almaverde che ha sostituito tutto il suo referenziamento di banane bio
con banane eque certificate; oppure Pfanner che ha allargato la propria
presenza nella distribuzione.
Il trend si mantiene buono anche per il primo trimestre del 2004 che ha
segnato l'exploit di un altro nuovo prodotto, l'ananas che, distribuito solo
a partire dalla scorsa estate, è passato dalle 47 tonnellate degli ultimi
due trimestri del 2003 alle 85 tonnellate nel solo primo trimestre 2004.
Continua a confermarsi la crescita delle banane, del cioccolato (che
raddoppia rispetto al quarto trimestre del 2003 passando da quasi 15
tonnellate a più di 16 nel primo trimestre 2004) e ancora del miele che
aumenta di 9 tonnellate rispetto all'ultimo periodo dello scorso anno dove
si era attestato sulle 26 tonnellate.
(Transfair Italia, 20 maggio 2004)