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rassegna stampa: La fame, i pesticidi e gli ogm



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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 T ratto da "il manifesto" - 07 Aprile 2004

TERRATERRA
La fame, i pesticidi e gli ogm
FABIO MASSIMO PARENTI

Non ci vuole un grande spirito critico per riconoscere che una tecnologia
non è mai neutrale. Le manipolazioni agrobiotech da laboratorio non fanno
eccezione, e le ragioni propagandistiche da parte di produttori e di
scienziati "interessati" sono lì a dimostrarlo. I vari "detentori
d'interessi" hanno annunciato che le colture ogm avrebbero risolto, con la
loro diffusione, il dramma della fame nel mondo. Grottesca demagogia visto
che, si sa, il problema alimentare mondiale è di natura soprattutto
politica ed economica. Altra giustificazione avanzata dai fautori di tali
colture è poi la presunta riduzione dell'uso della chimica in agricoltura.
Tuttavia, un recente studio di Charles M. Benbrook (direttore del Centro di
politica per l'ambiente e la scienza dell'Idaho) dimostra che nelle
coltivazioni ogm degli Stati Uniti l'uso di veleni chimici risulta in
realtà aumentato in modo significativo rispetto ai raccolti non modificati
geneticamente: +11,5% di erbicidi e insetticidi nel 2003; + 31 milioni di
chili di prodotti chimici sparsi sul territorio tra il 2001 e il 2003.
Lo studio prende in considerazione le due agro-biotecnologie più diffuse
negli Usa: la manipolazione genetica per accrescere la tolleranza agli
erbicidi e quella per consentire alle piante di produrre una tossina
naturale ("bt", dalle iniziali del batterio da cui è stato estratto il
gene) che disarma gli insetti nocivi.
La prima tecnologia/manipolazione, paradossalmente, è stata concepita con
lo scopo di permettere una più ampia tolleranza agli erbicidi e non per
diminuirne l'uso. Peraltro, la loro parziale riduzione sarebbe potuta
avvenire solo nel caso in cui fosse stata sviluppata la tolleranza delle
piante nei confronti degli erbicidi a basso tasso d'applicazione per acro,
e non, al contrario, aumentando (come è stato fatto) la resistenza verso il
glifosato, che è utilizzato da sempre in alte dosi.
La ricerca di Benbrook e i dati dell'United States Department of
Agricolture rilevano, in particolare, un aumento medio del 5% nell'impiego
dell'erbicida Roundup Ready (a base di glifosato) sui raccolti di soia
geneticamente modificata rispetto alle varietà convenzionali - sia i semi
modificati che il prodotto chimico sono di proprietà della Monsanto. Si
pensi, inoltre, che circa il 25% degli agricoltori statunitensi, passati da
sistemi basati sull'applicazione di basse dosi di erbicidi alla soia
Roundup Ready, hanno visto raddoppiare il volume di prodotti chimici
applicati per acro.
Quanto alla seconda tecnologia/manipolazione, quella "bt", la ricerca
rileva invece come la sua diffusione alla fine degli anni `90 abbia
favorito, ad esempio nelle coltivazioni di cotone, dei marcati squilibri
nelle popolazioni d'insetti: vere e proprie mutazioni che hanno obbligato a
passare da insetticidi ad ampio spettro all'uso di un maggior numero di
prodotti chimici specifici. Anche in questo caso, quindi, non sono stati
registrati nel complesso risultati soddisfacenti, cosicché i dati aggregati
sul volume dei trattamenti chimici per acro sono cambiati poco
dall'introduzione del cotone bt.
In generale, ogni prodotto chimico utilizzato dagli agricoltori è tollerato
da una data pianta per un periodo di tempo limitato (al massimo qualche
anno), dopodiché è necessario ricercare altre soluzioni. Specialisti
dell'Università dell'Arkansas hanno previsto che, nel 2004, 600 mila acri
piantati con la soia RR saranno infestati da erbe resistenti al glifosato
(e ciò si tradurrà in maggiori spese per gli agricoltori che dovranno fare
uso più intensivo di veleni).
In questa dinamica complessa, d'interazione fra elementi chimici naturali e
di sintesi, l'uso intensivo di pesticidi (l'insieme delle sostanze velenose
usate in agricoltura) ha favorito nel frattempo il proliferare di
superinsetti, di erbe superinfestanti e di supervirus.
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