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rassegna stampa: Pianeta Wal-Mart: è la nuova schiavitù?




a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Vi proponiamo un breve articolo che parla di una grande catena americana di
supermercati, la Wall-Mart. E' uno spaccato del grande potere che oggi la
Grande Distribuzione Organizzata (GDO) esercita sull'intera società, su
come, in processi produttivi sempre più globalizzati, i fenomeni di
concentrazione di capitali finanziari e di reti distributive sia orientato
a creare veri monopoli che strangolano tutte le attività produttive e
stravolgono gli standard di vita della stragrande maggioranza della
popolazione, cacciando centinaia di migliaia di lavoratori e produttori
nelle fascie a rischio di povertà e nella precarietà assoluta. Questo
sistema di funzionamento generale dell'economia è ancora più preoccupante
quando riguarda il settore agroalimentare poichè ogni politica basata sul
parametro del minor prezzo che non tenga conto del diritto al giusto
reddito dei produttori e dei lavoratori conduce solo ad un cibo di nessuna
qualità e spinge verso il basso le garanzie di sicurezza alimentare diritto
inalienabile del cittadino/consumatore. Inoltre, come si evince dalla
lettura di questo caso concreto, ogni (supposto) risparmio diretto sulla
spesa del "consumatore" viene annullato dagli enormi costi sociali, diretti
ed indiretti, che questa politica mette in moto: il cittadino poi viene
chiamato a pagare l'aumento della spesa sanitaria (ad es. per l'aumento di
malattie causate da una pessima qualità degli alimenti), l'aumento delle
spese di sicurezza sociale (ad es. per fronteggiare l' aumento della
disoccupazione, della precarietà e del disagio sociale), l'aumento della
spesa per il controllo e la gestione del territorio (ad es. per gestire le
calamità naturalòi provocate dall'abbandono dei terreni vocati
all'agricoltura), l'aumento della spesa per il sostegno delle attività
produttive legate al settore primario (ad es. fondi comunitari in europa o
Bill Farming negli Stati Uniti), ..... e si potrebbe andare avanti!  Noi
pensiamo che il modello produttivo proposto da società come la Wall-Mart
debba essere rifiutato perchè immiserisce l'intera società  e che cittadini
e agricoltori possano e debbano prendere atto di questa situazione, che
possiamo e dobbiamo insieme trovare forme di aggregazione ed iniziativa per
fermare questa deriva distruttiva della ricchezza e dello stesso tessuto
sociale, deriva che va decisamente contro ogni possibile miglioramento
generale della qualità della vita.
A cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "L'Estpresso" - 29/01/04
Pianeta Wal-Mart: è la nuova schiavitù?
Il colosso della distribuzione Usa è diventato l'azienda più grande del
mondo. Tagliando prezzi e stipendi. Ora è un caso politico
di Enrico Pedemonte
Lo scorso 23 ottobre è stata una giornata tragica per la Wal-Mart, il
colosso della distribuzione Usa. Decine di squadre di agenti federali hanno
fatto irruzione in 61 ipermercati in 21 Stati americani e circa 250
lavoratori clandestini sono finiti in manette. L'operazione ha portato alla
luce vicende che la Wal-Mart, cioè la più grande azienda del mondo, mai
avrebbe voluto divulgare.
Nel New Jersey, per esempio, nel supermercato di Piscataway, sono stati
trovati parecchi lavoratori messicani privi di documenti che hanno
confessato di avere lavorato per tre anni 60 ore alla settimana. Erano
pagati sei dollari l'ora, senza mai un giorno di vacanza, senza
straordinari, senza assicurazione sanitaria, senza contratto. Lavoravano
tutte le notti per ripulire i supermercati e sistemare le merci sugli
scaffali. I dirigenti della Wal-Mart hanno spiegato che si trattava di
lavoratori assunti da società esterne: "Se qualcuno dei nostri ha violato
la legge vogliamo sapere chi è, per essere certi che non lavorerà più per
la nostra azienda", è stata la risposta ufficiale di Mona Williams,
vicepresidente per le comunicazioni.
Anche in Oregon, in Minnesota e California, dove l'azienda è stata accusata
di non aver pagato gli straordinari a molte centinaia di lavoratori tra il
1995 e il 1999, il commento è stato: "Se qualche manager non ha rispettato
le regole sarà sottoposto ad azione disciplinare".

Nella California meridionale 70 mila lavoratori hanno aderito a uno
sciopero generale perché la Safeway, la più grande catena di supermercati
alimentari a ovest del Mississipi, per difendersi dalla concorrenza della
Wal-Mart ha deciso di ridurre l'assistenza sanitaria dei suoi dipendenti. E
altre catene di supermarket stanno seguendo la stessa strada,
giustificandosi così: o ci si adegua ai metodi della Wal-Mart, o si chiude.
Per certi versi si tratta di uno sciopero paradossale: gli Stati Uniti sono
l'unico paese del mondo industrializzato dove chi sciopera può essere
sostituito da altri assunti a termine. Quindi i lavoratori stanno a casa,
ma i negozi continuano a vendere le loro merci. Ma lo sciopero serve
comunque a scuotere le coscienze, e a far capire che il "modello Wal-Mart",
con la sua corsa spietata a prezzi sempre più bassi, rischia di cambiare in
modo radicale la vita di milioni di lavoratori.

Infatti non è più solo una questione californiana. Sono in sciopero anche
migliaia di supermercati nel West Virginia, in Kentucky, nell'Indiana, in
Arizona e nell'area di Chicago. Persino il settimanale "Business Week",
alfiere del liberismo, si chiede in copertina: "Wal-Mart è troppo potente?".
I sindacati rispondono di sì: l'azienda è diventata un monopolio
ingombrante e bastano pochi numeri per capire perché. Wal-Mart è l'azienda
più grande del mondo, ha un milione e 400 mila dipendenti e un fatturato
annuo di 245 miliardi di dollari. Ogni settimana 138 milioni di persone
entrano in uno dei suoi centri commerciali per fare almeno un acquisto.
La ragione di questo successo è semplice: secondo la Ubs Warburg, alla
Wal-Mart i prezzi sono in media più bassi del 14 per cento rispetto ai
concorrenti. Ma, con un gioco di parole ormai abusato dalla stampa Usa,
"prezzi così bassi hanno un prezzo molto alto". I lavoratori Wal-Mart
guadagnano un terzo in meno rispetto al salario garantito dagli accordi
sindacali. Infatti, poiché all'interno della Wal-Mart i sindacati non
esistono, l'azienda non deve tener conto di alcun contratto.

L'amministratore delegato Lee Scott spiega così la filosofia aziendale a
"Business Week": "Pensiamo che sia meglio avere a che fare con i nostri
dipendenti a livello individuale, senza bisogno di intermediari". D'altra
parte, assicura Scott, i dipendenti sono liberi di organizzarsi in
sindacato. Ma stranamente non lo fanno. E forse questo spiega perché negli
ultimi anni sui tavoli del ministero del Lavoro Usa siano piovute 60
denunce per i comportamenti antisindacali dell'azienda.
La Wal-Mart paga i dipendenti, in media, 14 mila dollari, contro i 18 mila
dei concorrenti. Se si aggiunge che il governo ha posto la "linea della
povertà" a 15.060 dollari per una famiglia con tre persone, e che i
lavoratori Wal-Mart devono pagare di tasca propria una quota sempre più
alta dell'assicurazione sanitaria, si capisce come la posta in gioco stia
diventando drammatica. E si capisce perché, il 14 novembre, il "New York
Times" abbia pubblicato un violento editoriale denunciando il pericolo di
una "Wal-Martizzazione" dell'America: "Bisogna evitare che centinaia di
migliaia di persone che lavorano nei servizi passino dalla middle class
alla fascia della povertà".
Secondo il "Times" non si tratta solo di un problema di diritti sindacali:
Wal-Mart mette a rischio la stessa organizzazione sociale e quindi è un
problema che riguarda i consumatori. L'invito ad azioni di boicottaggio nei
confronti dell'azienda non è tanto velato.

La Wal-Mart difende la sua filosofia senza incertezze. L'azienda è una
macchina da guerra progettata per aumentare incessantemente la produttività
e abbassare i prezzi, adeguandosi prima degli altri alle nuove condizioni
dei mercati
. Sam Walton, il fondatore della Wal-Mart, alla metà degli anni Ottanta
lanciò una grande campagna a favore del made in America. Ora l'azienda è
sotto accusa per la politica di prezzi stracciati messa in atto grazie a
importazioni crescenti dai paesi in via di sviluppo, specie dall'Oriente.
Nel 2002 la Wal-Mart ha importato merci prodotte in Cina per un valore di
12 miliardi di dollari, circa il 10 per cento di tutte le importazioni
americane da quel paese. Gli agenti Wal-Mart trattano direttamente con i
produttori asiatici alla ricerca dei prezzi più bassi. E negli ultimi anni,
stimolando la concorrenza locale, l'azienda è riuscita a ottenere risultati
clamorosi.
I jeans targati George, venduti in Gran Bretagna e Germania, negli ultimi
due anni sono passati da 27 a 8 dollari. Questo consente all'azienda di
contrattare prezzi stracciati anche con i produttori americani, come la
Levi's, che è stata obbligata ad accettare condizioni capestro per evitare
che le proprie merci fossero escluse dagli scaffali Wal-Mart.

Leggendo una recente ricerca della Nielsen, si scopre che negli Stati Uniti
la Wal-Mart ha una quota di mercato del 32 per cento nella vendita di
pannolini, del 26 per cento nei dentifrici, del 30 per cento nei prodotti
per la cura dei capelli, del 20 per cento nel cibo per animali. Nessun
produttore può rischiare di essere escluso da questa rete di vendita. Ogni
volta che Wal-Mart decide di entrare in un settore, i concorrenti tremano
perché il suo arrivo comporta un'immediata corsa al ribasso di prezzi,
stipendi e condizioni di lavoro.
Ora il modello Wal-Mart sta diventando un caso politico. La decisione di
aprire 40 ipermercati di 12 mila metri quadrati ciascuno nella California
meridionale ha fatto scattare la molla della rivolta. I supermercati
concorrenti hanno cominciato a tagliare i salari ai dipendenti, chiedendo
loro di pagare quote crescenti dell'assicurazione sanitaria. Ma contro la
vittoria di questo modello aziendale si sta scatenando il finimondo.
Gli attivisti sindacali dicono che il potere di Wal-Mart va ridimensionato.
Grazie alle pressioni sui produttori e alle economie di scala praticate
l'azienda è in grado ormai di sbaragliare ogni concorrenza e far sparire i
supermarket concorrenti. Denny Feingold, dirigente della Los Angeles
Alliance For a New Economy, dice: "Bisogna impedire che sia la Wal-Mart a
decidere i nostri standard di vita".

Alcune amministrazioni pubbliche sono intenzionate a porre limiti ai nuovi
ipermercati. Ma Wal-Mart minaccia di ricorrere a un referendum. Lo ha già
fatto nella contea di Contra Costa, in California, dove si voterà il 4
marzo. E in Oregon sta per succedere la stessa cosa. I dirigenti della
Wal-Mart usano gli argomenti del neoliberismo: "I nostri prezzi bassi
favoriscono i consumatori e hanno un effetto moltiplicatore sull'economia".
Si tratta di argomenti controversi che potrebbero diventare uno dei temi
centrali della campagna elettorale per le presidenziali. Wal-Mart importa
dall'estero il 96 per cento dei prodotti per l'abbigliamento, l'80 per
cento dei giocattoli e il 100 per cento dell'elettronica. E i sindacati
dicono che per rispettare lo slogan esposto in ogni negozio ("Lavoriamo per
diminuire i prezzi ogni giorno") la Wal-Mart esporta centinaia di migliaia
di posti di lavoro americani all'estero e ne impoverisce altrettanti
all'interno. Sono le delizie della globalizzazione. Ma molti americani
cominciano a domandarsi se ne valga la pena. 
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