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a chi di voi beve acqua minerale



«Qualcuno vuol darcela a bere»
Estratto dal libro "Qualcuno vuol darcela a bere" di Giuseppe Altamore,
giugno 2003 - Fratelli Frilli editori
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«E' molto chiaro che fare affidamento sull'acqua in bottiglia, pensando che
solo perché non viene dal rubinetto sia più pura e immune
dall'inquinamento, non risolverà affatto i problemi di sicurezza e
approvigionamento», afferma Gianfranco Bologna, portavoce del WWF Italia.

«Ma la migliore acqua da bere non si trova necessariamente in una
bottiglia», chiarisce Bologna. «Se vogliamo bere acqua pura dobbiamo porre
maggiori sforzi nel proteggere fiumi, laghi e falde idriche, e poi
investire in modo che tale acqua arrivi in modo sicuro al consumatore
attraverso i rubinetti». Per queste ragioni, l'acqua minerale è stata
inclusa tra gli otto mali che affliggono l'acqua in Italia nel controforum
organizzato a Firenze negli stessi giorni del Terzo forum mondiale
dell'acqua che si è tenuto a Kyoto nel marzo 2003.
Non solo, il consumo di acqua minerale è stato incluso fra i mali del
«Pozzo di Antonio», il rapporto sullo stato dell'acqua in Italia, a cura di
Riccardo Petrella, presidente del Comitato italiano del contratto
dell'acqua, che delinea un quadro dello stato delle risorse idriche nel
nostro paese e delle loro gestione. E dove starebbe il male? L'acqua
minerale non è forse più pura e più sana e, dunque, migliore per la salute
di quella potabile?

«La prima ragione del 'male', sta per l'appunto nell'ingiustificata
credenza che l'acqua minerale sia più pura e più sicura dell'acqua
potabile. L'acqua minerale non è né per definizione né in pratica
necessariamente più pura e più sana dell'acqua potabile, si legge nella
relazione. Anzitutto l'acqua minerale non è considerata dal legislatore
un'acqua potabile, ma come un'acqua terapeutica in ragione di certe
caratteristiche fisico-chimiche che ne suggeriscono un uso per fini
specifici. Per queste ragioni è consentito alle acque minerali di contenere
sostanze come l'arsenico, il sodio, il cadmio in quantità superiori a
quelle invece interdette per l'acqua potabile. Mentre non è permesso
all'acqua potabile di avere più di 10µg/l (microgrammi per litro) di
arsenico, è frequente che la maggior parte delle acque minerali siano
contenute 40/50µg/l di arsenico senza l'obbligo di dichiararlo sulle
etichette. Lo stesso vale per altre sostanze.

Valore limite di alcune sostanze contenute nell'acqua potabile e nell'acqua
minerale  

Valori limite acque potabili
Decreto L. 31/2001

Valori limite acque minerali
Decreto 542/92 - Dm 31/05/2001 Arsenico totale (µg/l) 10 50 Bario (µg/l) -
1 Cromo (µg/l) 50 50 Piombo (µg/l) 10-25 10 Nitrati (mg/l) 50 45-10*
Alluminio (µg/l) 200 Nessun limite Ferro (µg/l) 200 Nessun limite Manganese
(µg/l) 50 2000 Fluoruro (mg/l) 1,50 Nessun limite

* Valore relativo ad acque destinate all'infanzia

Una clamorosa omissione che può essere pericolosa per la salute di chi beve
sistematicamente la stessa acqua minerale per anni senza controllo medico.
Ricordiamo, inoltre, che nel febbraio 2000, l'Italia ha ricevuto un
ammonimento da parte della Commissione dell'Unione europea, perché i valori
massimi previsti per alcune sostanze tossiche e indesiderabili nelle acqua
minerali italiane erano superiori alle norme imposte a livello comunitario»

«La seconda ragione del 'male' risiede nel fatto che se - come abbiamo
visto - l'acqua minerale non è né più pura né più sana della potabile è
certamente molto più cara: dalle 300 alle 600 e persino 1000 volte più
cara», aggiunge Petrella.
Secondo gli ultimi dati, derivati da un'inchiesta della Federconsumatori,
il costo medio in Italia di 200 metri cubi d'acqua potabile, corrisponde al
consumo medio di una famiglia, è pari, nel 2000, a 361.269 lire annue, cioè
1806 lire al metrocubo (0.93 euro).
Un litro di Perrier costa più di 1000 litri di acqua di rubinetto, la più
cara d'Italia (quella di Forlì) e quasi 3000 volte di più dell'acqua
potabile di Milano.
«Il successo di mercato delle acque minerali è chiaramente uno scandalo»,
continua Petrella.
«Ci troviamo di fronte a un fenomeno di sfruttamento a fine di lucro di un
bene demaniale che secondo quanto ha riconfermato la legge sull'acqua del
1994 (la legge Galli) fa parte del patrimonio inalienabile delle regioni.
Lo sfruttamento avviene con il beneplacito formale ed esplicito delle
autorità pubbliche. Le regioni hanno ceduto il diritto di gestione delle
acque minerali a delle tariffe ridicolmente basse. Il caso della Lombardia,
una delle regioni a più alta densità di fonti minerali illustra bene la
situazione. Su più di 2000 miliardi di lire che rappresentano il business
delle acque minerali in Lombardia per 8 miliardi di litri di acqua estratti
di cui solo 2 miliardi e mezzo sono stati imbottigliati e venduti (che fine
hanno fatto gli altri 5,5 miliardi di litri estratti?), la regione
Lombardia ha visto arrivare nelle sue casse meno di 300 milioni di lire,
una miseria rispetto agli incassi delle imprese private.
Quel che è grave è che più dell'80% delle acque minerali sono imbottigliate
in contenitori di plastica (in Pet), il cui costo si aggira sui 1° cent
contro i 25 cent per la bottiglia di vetro. I costi dello smaltimento
ricadono sulle regioni che spendono di più di quanto incassino dai canoni
delle concessioni di sfruttamento delle fonti.
«Non è difficile capire, ora, perché il business dell'acqua minerale sia
così lucroso e le ragioni che hanno spinto il capitale privato a
influenzare, tramite la pubblicità e la potenza della grande distribuzione,
il comportamento delle popolazioni occidentali a diventare dei grossi
consumatori d'acqua minerale», precisa Petrella. «Aneddoto che aggiunge il
'comico' a una situazione inquietante: nel febbraio 2002 un decreto del
Ministero della Sanità ingiungeva agli esercizi di vendere al consumatore
l'acqua minerale naturale originariamente preconfezionata in confezione
integra o aperta soltanto al momento della consumazione. Una tale misura,
se fosse entrata in vigore, avrebbe comportato uno sperpero inimmaginabile
di bottiglie. Fortunatamente, di fronte alla numerose critiche, il
Ministero ha ritirato il decreto alcuni giorni dopo averlo adottato».
Il business dell'acqua minerale è un business a forte concentrazione
industriale e finanziaria. Nestlé (multinazione svizzera) e Danone
(francese) sono rispettivamente la numero uno e la numero due delle imprese
mondiale d'acqua imbottigliata. Da sole rappresentano più del 30% del
mercato mondiale. Nestlé possiede più di 260 marche d'acqua minerale in
tutto il mondo, fra cui Vittel, Contrex, Terrier (la più importante del
mondo) e le italiane San Pellegrino, Lievissima, Panna. Fanno parte invece
della Danone: Ferrarelle, San Benedetto (Guizza)Š Il grande business delle
minerali in Italia è, dunque, fonte di benefici soprattutto per gli
azionisti della Nestlé e della Danone.

«La terza ragione del 'male' risiede nella mercificazione dell'acqua e
nella privatizzazione dei servizi d'acqua. Questi hanno trovato nel
business delle acque minerali uno strumento potente di stimolo e di
'legittimazione'. Perché non mercificare anche l'acqua potabile, si sono
detti gli operatori privati? Che differenza c'è - domandano - tra l'acqua
potabile e l'acqua minerale? Se la mercificazione di quest'ultima non
solleva nessun problema economico, politico, sociale, etico, perché - si
chiedono il consumatore e il finanziere - si deve impedire di vendere e
acquistare l'acqua potabile come ogni altra merce? Perché le imprese
private non dovrebbero prendersi cura anche dei relativi servizi idrici?
Il mondo commerciale dell'acqua minerale sta scombussolando l'intero
settore dell'acqua.
Attirate dagli alti livelli di profitto e dalla allettanti promesse future
del business acqua, potenti imprese come la Coca Cola sono entrate
anch'esse nel settore introducendo un nuovo tipo di 'acqua da bere',
l'acqua purificata. L'acqua 'purificata' non è altro che acqua d'acquedotto
sottoposta ad alcune operazioni di demineralizzazione e di declorizzazione.
Piano piano, il legislatore ha autorizzato anche in Italia la vendita in
bottiglia dell'acqua di rubinetto. Una grande confusione caratterizza
sempre più il 'business dell'acqua' composto da un numero crescente di tipi
d'acqua: acqua potabile di rubinetto, 'acqua da tavolaa (si tratta di acque
da potabili in bottiglia), acqua potabile in bottiglia in bottiglia
'naturale' con 'aggiunta di anidride carbonica', acqua 'purificata', acqua
naturale minerale (acqua minimamente mineralizzata, acqua oligominerale,
acqua minerale terapeutica), acqua di sorgente (cioè acqua potabile
prelevata alla fonte ma che non può essere clorata. Tutte le acque minerali
sono di sorgente ma non tutte le acque di sorgente sono minerali), acqua di
sorgente 'naturale', acqua di falda.
L'espansione del 'mercato dell'acqua' ha condotto a un rimescolamento delle
carte a livello delle imprese: le imprese tradizionali d'acqua minerali
sono entrate nel settore dell'acqua potabile in bottiglia e, viceversa, le
imprese d'acqua potabile cominciano a intervenire nel settore delle acque
in bottiglia (minerali comprese). Lo stesso dicasi delle imprese di soft
drinks (limonate, cola, bevande gassateŠ) e del latte (la Parmalat, per
esempio, ha messo sul mercato una sua acqua in bottiglia, l''Aqua Parlamat'.
«Tutto ciò in una logica commerciale e di profitto. La mercificazione
dell'acqua, facilitata dal boom delle acque minerali, rappresenta uno dei
mali più gravi e insidiosi», accusa Petrella.

Estratto dal libro «Qualcuno vuol darcela a bere» di Giuseppe Altamore,
edizione Fratelli Frilli