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Le ragioni della guerra: un'ipotesi



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La guerra sul treno della crisi petrolifera
  INTERVISTA
Parla l'esperto Onu Alberto Di Fazio
FRANCESCO PICCIONI

  Qual e' il peso del petrolio nel riprodursi ravvicinato di
situazioni di guerra? Per rispondere bisogna conosconere i dati su
disponibilita' a livello globale, ritmi di estrazione, nuove scoperte,
crescita dei consumi, reti di oleodotti, ecc. Siamo andati percio' a
sentire il prof. Alberto Di Fazio, da sei anni al lavoro col
programma dell'Igbp (International Geosphere-Biosphere Programme)
dell'Onu, responsabile del progetto Gaim (Global Analysis,
Integration and Modelling), appena nominato nella Commissione
nazionale di coordinamento con l'Igbp.

I vostri studi hanno elaborato una tesi "forte": ci troviamo in
prossimita' del picco della produzione di petrolio.

A circa 10 anni. Le stime ottimistiche arrivano a 20, le minime a 5.
Quelle dell'Iea (International Energy Agency), parlano del 2013.



Esiste una certa diffidenza verso le visioni "catastrofiste",
scottati forse dalle previsioni degli anni '70, che davano il
petrolio per finito nel 2000.

Ma non e' vero! Beyond the limits prevedeva che verso il 2010-2020 ci
sarebbero state delle crisi sistemiche provocate dallo sviluppo
esponenziale congiunto della produzione industriale e della
popolazione mondiale. E dopo 21 anni, nel '92, le previsioni
risultavano confermate (si veda il grafico, ndr). Si tratta di un
calcolo basato su grandezze puramente fisiche ed economiche.



Quindi siamo vicini al "massimo della produzione", non
all'"esaurimento".

Quando si scopre un pozzo, lo si trivella, si comincia a pompare, e
si aumenta la produzione in funzione della domanda, crescente. Prima
che finisca, pero', ci si ferma. Se, per tirar fuori un barile,
occorre piu' energia di quella che un barile puo' dare, il pozzo
chiude. Non e' un problema economico, ma energetico. Stiamo parlando
di un "massimo geologico", che viene raggiunto quando la giacenza e'
circa il 50-55% del valore iniziale. Non significa che "non c'e' piu'
petrolio", ma che la produzione non risponde piu' alla domanda.



La tecnologia non aiuta?

La tecnologia migliora il rendimento della produzione. Oggi si pompa
piu' rapidamente di prima, e troviamo espedienti tecnologici per
andare in quella cavita' orizzontale prima irrangiungibile, pompiamo
vapore acqueo a 900. Ma piu' di quello che c'e', non se ne puo' tirar
fuori. E' matematica. Raggiunto il massimo la produzione comincia a
calare.




Quel che resta e' irrecuperabile?

Certo. La giacenza residua dipende dalla conformazione geologica del
giacimento e varia tra il 20 e il 40%. Il massimo produttivo, invece,
lo si raggiunge, in media, quando la giacenza e' a meta'.



Sono ipotizzabili tecnologie che permettano di ramazzare anche quel
20-40% considerato irrangiungibile?

No. Esistono leggi fisiche: la massa per l'accelerazione di gravita',
per l'altezza. Piu' vado in profondita', piu' energia ci vuole. Dipende
dalla legge di gravita', non dalla tecnologia. Questa permette di
utilizzare una legge fisica a proprio vantaggio, ma solo fino al
limite della legge naturale. Non e' che questa penna possa cadere
all'insu'.



Questa e' la storia di un singolo pozzo.

Quando un pozzo raggiunge lo stato di crisi, il sistema umano va
avanti lo stesso. Gli americani hanno fatto due guerre mondiali
pompando petrolio da nuovi pozzi. Ma e' arrivato il giorno fatale, nel
1970, in cui la somma dei pozzi che chiudevano e quelli che venivano
aperti era tale da segnare il massimo della produzione Usa. Da allora
la loro produzione e' in discesa. Sono il paese piu' potente e possono
decidere e imporre certi rapporti all'Arabia saudita, o all'Iraq.
Hanno sostenuto la propria crescita pompando a casa loro. Ma quando
il problema del "picco massimo" si ripropone a livello globale,
allora non c'e' pił nulla da fare. Posso bombardare o corrompere chi
voglio, ma di petrolio ne esce sempre di meno.



Dagli anni '70 cosa e' cambiato?

L'occidente ha reagito allo shock del '73 sapendo di poter gestire
soltanto il 20% delle riserve totali. Ma si sono detti: "pompiamo di
piu'". Hanno avuto la fortuna di trovare il petrolio nel mare del
Nord, anche se a livello globale contava poco. Per l'Inghilterra e la
Norvegia era una ricchezza, e ha permesso alla Tatcher di distruggere
i minatori e di non dipendere dall'Opec. Pero' nel 2000 hanno
raggiunto il picco massimo. Ora stanno mantenendo la produzione
iniettando vapore, ma piu' la tieni alta, piu' presto si raggiunge il
rapporto negativo tra energia impiegata e quella estratta.



E qui succede il patatrac.

La parte economicamente e militarmente dominante del mondo non puo'
sopravvivere a un'economia in stagnazione. Figuriamoci con
un'economia in contrazione. Ecco perche' a quel punto si manifesta la
crisi. Quello che i paesi piu' forti possono fare e' spostare la
propria crisi un po' piu' in la'. Ad esempio conquistando il Medio
oriente e monopolizzando il petrolio per le proprie necessita'. Ma
questo significherebbe guerra con tutti.



E' uno scenario drastico.

Non bisogna far l'errore di credere che questa sia una crisi come le
altre, dove gli Stati uniti scaricano un po' di bombe sugli altri
paesi e poi si riparte. Prima potevano pompare petrolio sul proprio
territorio, costruire navi, aerei e cannoni e andare a fare la guerra
altrove. Per fare navi e cannoni serve energia, mica si possono fare
con Internet.



Si potrebbe rispolverare il nucleare.

Certo, e Bush lo ha gią proposto. Ma, se si vuole coprire col
nucleare il 30% del fabbisogno energetico attuale (anziche' il 3%),
bisogna costruire 5.350 centrali. E scordarsi la crescita economica.
In ogni caso con il nucleare si puo' far muovere il motore delle
portaerei (nemmeno di tutte le navi), ma bisogna costruirle, lavorare
l'acciaio. Le fonderie non vanno a energia elettrica.



Con il carbone.

Si', ma si torna indietro, al ciclo industriale precedente. A quel
punto va in crisi anche la potenza militare.



Negli ultimi 10 anni le riserve globali sono rimaste stabili. E'
possibile pensare a scoperte di giacimenti che mutino il quadro? Si
parla del Caspio, di Tengiz, dell'Afghanistan necessario per far
passare gli oleodotti.

Quello del Caspio ammonta a meno del 3% delle riserve mondiali. E'
rilevante per gli stati che ce l'hanno, e per le compagnie che
otterranno i diritti di sfruttamento. Ma se ci aspettiamo un picco da
qui a 10 anni, il Caspio lo sposta di appena tre mesi. Se scoprissimo
un giacimento pari a tutta l'Arabia saudita, piu' l'Iraq e l'Iran, il
picco andrebbe a 20 anni.



Ed e' possibile?

Basta vedere la curva delle scoperte petrolifere. Anche qui c'e' un
massimo, raggiunto negli anni '60. La probabilita' cala man mano che
si va avanti nel tempo. Per ogni barile scoperto, intanto, ne
consumiamo quattro.



Non ci sono regioni ancora "vergini"?

Le uniche regioni rimaste, di grande volume, sono a profondita'
oceaniche. Ma al di sotto dei duemila metri di profondita', a parte i
problemi di ancoraggio delle piattaforme (sotto i 1.500 metri non ci
va nessuno), c'de' il problema della pressione piezometrica: maggiore e'
la profondita', maggiore e' il lavoro che devo fare, piu' energia serve.
E' un fatto fisico. Per questo nessuno pensa a pozzi sotto 5.000
metri d'acqua: e' energeticamente sconveniente. E cosi' al Polo, o
nell'Antartico. Tutte le terre emerse sono state esplorate, con i
satelliti o direttamente. Gli Usa hanno speso il 51% in piu' per le
prospezioni, negli ultimi 20 anni. Ma le scoperte calano. Le
possibilita' di una scoperta colossale sono insomma minime, e
cambierebbe poco nel tempo-scala. Altrimenti il governo Usa non
avrebbe sfiorato la crisi politica per andare a trivellare in Alaska,
per un giacimento che equivale a otto mesi del loro consumo interno.

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                                                         Giuseppe
Ricciardi

velarossa@tiscalinet.it