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[nobiotech-it] UNEP: globalizzazione distrugge le diversita'



UNEP: La globalizzazione minaccia le diversita' culturali, linguistiche e biologiche
Fonte: UNEP (United Nations Environment Programme)
Traduzione a Cura di Fabio Quattrocchi mailto:FABIOCCHI@Genie.it 

Nairobi, 8 Febbraio 2001 - Secono l'UNEP (l'agenzia per la protezione ambientale dell'ONU) la liberalizzazione dei mercati puo' anche essere la soluzione per lo sviluppo economico dei paesi ricchi e poveri. Ma esso non deve avanzare a spese delle culture indigene.

Le popolazioni indigene non solo hanno il diritto di preservare i loro stili di vita; ma sono anche depositari di conoscenze preziose su come gestire gli habitat e le risorse in maniera sostenibile.

Gran parte di queste conoscenze e' passata oralmente da generazione in generazione, quindi la perdita delle loro lingue equivale alla perdita di intere enciclopedie e saperi.

Un rapporto dell'agenzia fa riferimento alle tribu' della Tanzania che sanno incoraggiare la formazione dei termitai per accrescere la fertilita' del terreno. Un esempio lampante del valore di queste popolazioni.

Il rapporto sostiene che molte lingue e culture indigene sonno gia' sull'orlo dell'estinzione come effetto della globalizzazione. 

Lo studio stima che sul pianeta sono parlate dalle 5.000 alle 7.000 lingue, 4.000/5.000 delle quali sono classificate come indigene. Ben 2.500 sono in immediato pericolo di estinzione e molti altri stanno perdendo il contatto col mondo naturale.

Il 32% delle lingue parlate si trovano in Asia; il 30% in Africa; 19% nelle isole del Pacifico; 15% nelle Americhe e il 3% in Europa.

Il paese piu' glottodiverso e' la Papua Nuova Guinea dove si parlano 847 lingue diverse. Seguita dall'Indonsia con 655 lingue; Nigeria 376; India 309; Australia 261; Messico 230; Cameroon 201; Brasile 185; Ex Zaire 158; Filippine 153. 
 
Le lingue piu' in pericolo sono quelle parlate da meno di 1.000 persone la cui madre lingua originale e' palata solo dai membri piu' anziani delle tribu'. Oltre 1.000 lingue sono parlate da 100-1000 persone. Altre 553 sono usate solo da meno di 100 persone.

2.034 lingue sono gia' morte. Qualche ricercatore prevede che nell'arco dei prossimi 100 anni, il 90% delle lingue scomparira'.

Molti popoli indigeni hanno anche l'interesse di mantenere an'ampia varieta' di piante e animali con cui si nutrono. Ma l'avanzata degli stili di vita occidentali e i metodi di coltivazione importati dal mondo industrializzato stanno velocemente portando alla scomparsa di queste varieta' e della loro diversita' genetica.

Crescono sempre piu' le piantagioni che non vanno a buon fine per l'unifomita' genetica delle varieta' maggiormente usate.

Nel 1903 esistevano 13 varieta' di asparagi, nel 1983 si erano ridotte ad una, un declino del 97.8%. Esistevano 287 varieta' di carote, precipitate al numero di 21, un declino del 92.7%. Sempre nel 1903 c'erano 460 varieta' di ravanelli, diminuite a 27, un declino del 94.2%. Circa 500 varieta' lattuga furono catalogate nel 1903, oggi ne esistono solo 36.

La perdita delle culture indigene potrebbe significare anche la perdita di nuove fonti di medicine. Molti indigeni conoscono piante e animali il cui uso puo' guarire alcune malattie. Essi conoscono anche quali parti sono utili per la guarigione e in quale stagione raccogliere queste risorse in modo che abbiano la giusta quantita' di sostanza medicamentosa.

Queste conoscenze sono spesso nascoste in rituali religiosi e cerimonie. Questo sta a sottolineare come le lingue, le religioni, la psicologia e le credenze spirituali non possono mai essere separate dalla loro (degli indigeni) interpretazione del mondo naturale.

I pigmei Aka della Repubblica Centro Africana mischiano magia, rituali e cerimonie con l'uso di erbe medicamentose.

La convenzione sulla Diversita' Biologica (CBD) fa esplicito riferimento al bisogno di proteggere le culture indigene nell'articolo VIII, che afferma "la protezione delle comunita' indigene e dei loro stili di vita e' importante per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversita'".

Altre iniziative sono gestite dall'UNESCO che indica i siti di importanza culturale e ambientale in tutto il mondo. L'UNESCO sta rafforzando il suo ruolo per aiutare le comunita' indigene a conservare i siti sacri come i boschi.

L'UNESCO riconosce anche l'interrelazione tra l'uomo e la natura nella formazione/evoluzione dei paesaggi. Il primo sito dichiarato Patrimonio dell'Umanita' per il paesaggio culturale e' il Tongariro Nartional Park in Nuova Zelanda. E' un sito sacro per i Maori.

Il WTO ha formulato offerte per permettere ai paesi di sviluppare i Diritti di Proprieta' Intellettuale che potrebbero dare agli indigeni nuove strade per proteggere le loro specie vegetali dalla biopirateria.

La Convenzione sulla Biodiversita' ha recentemente ideato un meccanismo che permette alle nazioni firmatarie di sviluppare linee guida per proteggere le popolazioni indigene. Ma l'UNEP crede che e' piu' urgente salvaguardare le culture indigene e i loro saperi. L'agenzia individua 4 ragioni per cui e' necessario conservare le culture locali.

1. Gli indigeni hanno sistemi economici tradizionali che hanno un impatto sulla biodiversita' relativamente basso perche' essi tendono a utilizzare una grande varieta' di specie, e a coltivare una piccola quantita' di ognuna di esse. Al contrario gli agricoltori commerciali usano poche varieta' e le coltivano in gran numero. 

2. Gli indigeni tendono a incrementare la diversita' biologica dei territori in cui vivono, per avere a disposizione piu' varieta' riducendo il rischio delle fluttuazioni quantitative delle varie specie.

3. Gli indigeni lasciano sempre un largo 'margine d'errore' nelle previsioni stagionali dei raccolti per l'abbondanza di piante e animali. Sottostimando il surplus di ogni specie, essi minimizzano il rischio di compromettere le fonti di sostentamento.
 
4. Visto che i saperi degli indigeni sugli ecosistemi sono insegnati e "aggiornati" con dirette osservazioni della terra in cui abitano; pertanto rimuoverli dalle loro terre significa spezzare il ciclo generazionale di studio empirico. Il mantenimento dei loro saperi dipende dunque sull'uso continuo della stessa terra".


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