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Triumph in Birmania: interviene il sindacato internazionale - clean clothes campaign



TRIUMPH IN BIRMANIA: INTERVIENE IL SINDACATO INTERNAZIONALE

Neil Kearney, segretario generale dell'ITGLWF (International Textile,
garment and leather workers federation)  ha diffuso il 9 marzo scorso un
comunicato stampa in cui accusa la Triumph di ambiguita' per il suo rifiuto
a lasciare la Birmania (sul caso si veda il messaggio distribuito il 24
gennaio).

In una lettera di 4 pagine indirizzata a Gunther Spiesshofer , presidente di
Triumph International Overseas, Neil
Kearney replica alle affermazioni dell'azienda svizzera di biancheria intima
(vedi traduzione della lettera della Triumph nel messaggio distribuito il 19
febbraio) e avverte che la pressione internazionale continuera' finche'
Triumph non se ne andra' dalla Birmania.

Alcuni passaggi:
"Triumph nega di fornire sostegno economico ai membri del regime birmano e
per questo ritiene che le sanzioni imposte dal governo svizzero non la
riguardino. In realta', i tentacoli dell'esercito raggiungono tutti i
settori interessati dagli investimenti privati ed e' praticamente
impossibile svolgere un'attivita' produttiva in Birmania senza fornire
sostegno diretto o indiretto al regime".
"Nel caso della Triumph, la fabbrica ha sede in un'area industriale data in
affitto dalla brigata militare Mingaladon (o di Mingaladon, n.d.t.), a nord
dell'aeroporto di Rangoon. Gli accordi sono stati senza dubbio gestiti
attraverso la
Union of Myanmar Economic Holdings (UMEH), una societa' che controlla gli
investimenti nell'industria e il cui principale azionista e' il dipartimento
del ministero della difesa preposto all'acquisto delle armi per la giunta
militare.  Vi e' poi l'imposizione di una tassa del 5% sulle esportazioni.
L'estensione reale del controllo dell'esercito sull'industria resta pero'
sconosciuta. Per esempio, nel 1997, un documentario della BBC filmato con
una telecamera nascosta mostrava alcuni lavoratori obbligati a versare
all'esercito meta' del loro salario giornaliero per poter conservare il
posto di lavoro".

Neil Kearney evidenzia che a novembre l'Organizzazione internazionale del
lavoro ha adottato una risoluzione che chiede a stati, enti, imprese private
di rivedere i loro rapporti con la Birmania al fine di garantire che gli
stessi non servano a perpetuare o a estendere il sistema diffuso del lavoro
forzato.  "Questa risoluzione riguarda anche la
Triumph", afferma Neil Kearney, "L'industria dell'abbigliamento fornisce
sostegno all'esercito, in modo particolare ai suoi membri di piu' alto
grado, e sono proprio questi ultimi a portare la responsabilita' del lavoro
forzato di massa che colpisce la popolazione civile. Inoltre, l'industria
dell'abbigliamento si avvale di infrastrutture che sono state costruite con
il lavoro forzato." "E ovviamente, essendo associata a Euratex
(organizzazione delle imprese europee del tessile-abbigliamento, n.d.t.),
Triumph ha sottoscritto il codice di condotta concordato fra Euratex e
ETUC/TLC (federazione sindacale europea del tessile, abbigliamento, cuoio,
n.d.t.), che proibisce l'impiego di lavoro forzato".

Secondo la Triumph, la campagna ha il solo obiettivo politico di colpire
un'azienda privata. " E' una falsita'", ribatte il segretario del sindacato
internazionale, "Triumph finge di ignorare che questa iniziativa e' promossa
da Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia, che ha
vinto l'82% dei seggi in parlamento nelle elezioni del 1990".

Neil Kearney ironizza sul senso di responsabilita' nei confronti dei suoi
mille dipendenti che impedirebbe all'azienda di chiudere la fabbrica
birmana. "La preoccupazione dell'azienda per i suoi lavoratori e'
commovente. Ma che dire dei 13 milioni di persone che vivono al di sotto
della soglia di sussistenza e del 40% dei bambini che soffrono di
malnutrizione a causa del malgoverno della giunta militare? E dei 2 milioni
di uomini, donne e bambini costretti al lavoro forzato nell'edilizia o a
fare da portatori per l'esercito? O le 300 mila persone che hanno dovuto
abbandonare il paese? O le 800 mila persone deportate a causa della politica
governativa o trasferite a forza per via dei combattimenti? O i 1500
prigionieri politici detenuti in condizioni orribili e sottoposti a torture
sistematiche? Il destino di un popolo di 40 milioni di persone condannate a
vivere nella poverta' e nella paura da un regime odioso è piu' importante
dei benefici limitati offerti da un  migliaio di posti di lavoro sotto
pagati. Pur dovendo affrontare sofferenze per la perdita del lavoro nel
breve periodo, affrettare la caduta del regime procurera' a questi
lavoratori e alle loro famiglie vantaggi
duraturi. Solo una transizione alla democrazia garantira' loro il diritto
fondamentale di costituire sindacati indipendenti e con questo la
possibilita' di stipulare contratti collettivi. "

Secondo Neil Kearney il rifiuto dell'azienda di chiudere la sua fabbrica in
Birmania e' da porre in relazione piu' alla
mancanza di liberta' nel paese che a una sincera preoccupazione per il
destino dei lavoratori. Il diritto di organizzarsi in sindacato non esiste,
e qualche volta questo diritto viene negato  sotto la minaccia delle armi.
Non sorprendono percio' le condizioni di lavoro spaventose di cui si ha
notizia nel settore industriale: circa 60 ore di lavoro alla settimana,
salari medi pari a circa 8 centesimi di dollaro all'ora che sono fra i piu'
bassi al mondo.

Secondo la Triumph, una parte dell'opposizione birmana e' contraria al
boicottaggio e Tin Htun Maung, ex membro del parlamento in un partito
dell'opposizione , dice: "Le sanzioni danneggiano solo il popolo".
"Questa e' la propaganda del regime", ribatte Neil Kearney, "La verita' e'
che i militari temono il ritiro degli investimenti esteri e hanno reagito
alle sanzioni dell'Oil con una campagna di disinformazione che comprende
anche una lettera aperta dei lavoratori di Myanmar che accusava l'Oil di
aver messo a repentaglio, con la sua decisione, la vita di 18 milioni di
persone. In realta', la gente non viene toccata dalle sanzioni, perche' non
ricava alcun vantaggio dagli
investimenti. Gli investimenti esteri servono solo a perpetuare il potere di
una giunta militare repressiva e che non e' stata eletta dal popolo".
La Triumph sostiene anche che e' il dialogo, e non le sanzioni economiche,
il mezzo per indurre un governo a cambiare la sua politica. "Il lavoro
forzato e' praticato in Birmania da decine d'anni. L'Oil ha fatto ogni
tentativo per convincere il regime a rispettare le liberta' fondamentali, ma
senza risultato. I generali si sono specializzati nell'imbastire operazioni
di immagine ogni volta che devono ricevere delegazioni estere importanti".

Conclude Neil Kearney: "La conferenza internazionale sindacale dal titolo
"Democrazia per la Birmania e la risoluzione dell'Oil: il sostegno dei
sindacati" che si e' tenuta a Tokyo all'inizio di marzo ha deciso di
mantenere la pressione sulle multinazionali che investono o commerciano con
la Birmania. Fra queste multinazionali c'e' la Triumph, la quale dovrebbe
sapere che la pressione non si allentera' fintanto che essa continua a
sostenere il regime illegale, corrotto e non democratico di Rangoon".

(L'International Textile, garment e leather workers federation e' un
segretariato sindacale internazionale dei lavoratori del settore
tessile-abbigliamento-calzaturiero che conta 220 organizzazioni affiliate in
110 paesi con 10 milioni di lavoratori iscritti). Per maggiori informazioni:
Neil Kearney, segretario generale, tel.32-2-5122606

Il testo integrale della lettera dell'ITGLWF alla Triumph International
viene inviato su richiesta.

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Chi vuole essere escluso dalla lista o vuole ricevere informazioni sulla
Clean Clothes Campaign, puo’ inviare un messaggio a : ermont@tin.it
Ersilia Monti (Coordinamento lombardo nord/sud del mondo)
P.le Governo Provvvisorio 6
20127 Milano
tel.02-26140345
email: ermont@tin.it
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-----Messaggio originale-----
Da: owner-cleanclothes@xs4all.nl <owner-cleanclothes@xs4all.nl>
Data: martedì 20 marzo 2001 13.06
Oggetto: [cleanclothes] press release ITGLWF on Triumph in Burma


>Dear friends,
>Please find here a press release from the International Textile, Garment
>and Leather Workers' Federation: 'Triumph accused of double-speak over
>refusal to quit Burma'.
>
>Subject: Press Release: "Triumph accused of double-speak over refusal to
>quit Burma"
>
>INTERNATIONAL TEXTILE, GARMENT AND LEATHER WORKERS' FEDERATION
>
>
>
>FOR THE PRESS
>FOR IMMEDIATE RELEASE
>Friday, March 9 2001
>
>
>TRIUMPH ACCUSED OF DOUBLE-SPEAK
>OVER REFUSAL TO QUIT BURMA
>
>Lingerie giant Triumph has been slammed over its refusal to pull out of
>Burma following a campaign by unions and rights organisations to urge the
>multinational to sever its links with the slave nation.
>
>Neil Kearney, General Secretary of the Brussels-based International
>Textile, Garment and Leather Workers Federation, today dismissed as
>double-speak a statement issued by the multinational defending its position
>not to close its Rangoon factory. In a letter to the head of Triumph
>International Overseas, Gunther Spiesshofer, the ITGLWF rebutted the
>company s arguments, and warned that international pressure would continue
>to mount until Triumph pulls out of Burma.
>
>"Triumph claims that it is not providing resources to members of the
>government, and is therefore not affected by the sanctions imposed by the
>Swiss government", says Kearney. "But in reality, the army s tentacles
>reach into all areas of foreign investment, and it is therefore virtually
>impossible for any foreign company to produce goods in Burma without
>providing direct or indirect support to the regime".
>
>"In the case of Triumph, the factory is located on an Industrial Estate
>rented from the Mingaladon military brigade, just north of Rangoon's
>airport. The leasing arrangements are no doubt handled through the Union of
>Myanmar Economic Holdings (UMEH), a company which controls all investment
>in the industry, and whose major shareholder is the department of the
>Ministry of Defense responsible for purchasing arms for the junta. Then
>there is the 5% tax levied on exports. But the full extent of the army s
>control over the industry is not known. For instance, in 1997, a BBC report
>filmed with a hidden camera showed workers being forced to pay half their
>daily wages to the army in order to keep their jobs".
>
>Kearney points out that in November, the International Labour Organisation
>(ILO) adopted a Resolution calling on other organisations, as well as on
>national governments and private companies, to review their relations with
>Burma, in order to ensure their relations do not serve to perpetuate or
>extend the widespread system of forced labour. "This Resolution affects
>Triumph", says Kearney. "The garment industry provides support to the
>military, mainly to its most senior members. And it is precisely these
>senior members who responsible for the massive forced labour problem
>affecting the civilian population. In addition, the garment industry relies
>on the country s infrastructure, which is being built with forced labour".
>
>"And of course, as a member of EURATEX, Triumph subscribes to the code of
>conduct negotiated between EURATEX and the ETUC/TCL which prohibts the use
>of forced labour".
>
>According to Triumph, the campaign is a purely a political one aimed at a
>private company. "This is disingenuous", counters the international labour
>leader: "Triumph is purposefully ignoring the fact that this effort is
>spearheaded by Burmese leader Aung San Suu Kyi, the leader of the National
>League for Democracy Party (NLD), who won 82% of the seats in 1990
>elections".
>
>Kearney scorns the company s claim that its sense of responsibility to the
>1,000 workers it employs prevents it from closing the factory. "The company
>s concern for its workers is touching", he comments. "But what about the 13
>million people living below subsistence levels and the 40% of children
>suffering from malnutrition as a result of the junta s misrule ? Or the two
>million men, women and children pressed into forced labour on construction
>projects or as porters in the army ? Or the 300,000 who have been forced to
>flee the country ? Or the 800,000 people displaced either by the government
>s relocation policy or because of fighting ? Or the 1,500 political
>prisoners held behind bars in horrendous conditions and routinely tortured
?
>
>"The fate of a population of forty million people, condemned to live in
>poverty and fear by an odious regime, outweighs the limited benefits
>afforded by 1,000 low-paid jobs. While the 1,000 workers who lose their
>jobs might suffer in the short-term, by hastening the regime s demise the
>move would provide longer-term benefits for them and their families. Only a
>transition to democracy will give these workers the fundamental right to
>form independent unions and to engage in collective bargaining".
>
>Kearney suggests that the company s refusal to close its Burmese factory
>probably has more to do with the total lack of freedom in the country than
>its concern for the workers it employs. Workers are denied sometimes at
>gunpoint - the right to organise and bargain collectively. Not
>surprisingly, conditions in the garment industry are appalling. Working
>hours in the industry are said to approach 60 hours a week. Average
>shopfloor wages, said to be about 8 US cents an hour, are among the lowest
>in the world.
>
>According to Triumph, parts of the political opposition in Burma itself are
>against a boycott, and Tin Htun Maung, a former member of parliament and
>politician of the opposition, says that "sanctions are only damaging the
>people".
>
>"This is the regime s propaganda", retorts Kearney. "The fact is the
>military fears the withdrawal of investment and has reacted to the ILO s
>sanctions with a campaign of disinformation, including a open letter from
>the workers of Myanmar warning that the ILO s decision has jeopardized the
>livelihood of 18 million workers . In reality, the people will not be hurt
>by sanctions, because they are not being helped by investment. Foreign
>investment only helps perpetuate the rule of a repressive, unelected
junta".
>
>Triumph also claims that dialogue, not economic sanctions, is the way to
>embarrass a government into changing its policies. "Forced labour has
>existed for many decades in Burma. The ILO has exhausted itself trying to
>persuade the regime to respect fundamental freedoms, but to no avail. The
>generals have simply become very good at making cosmetic gestures just
>before they are due to receive important foreign delegations".
>
>Concludes Kearney: "An international trade union conference entitled
>"Democracy for Burma and the ILO Resolution: Trade Unions in support" held
>in Tokyo last week resolved to keep up the pressure on multinationals still
>trading or investing in Burma. That includes Triumph. The company should
>know that pressure will not abate as long as it continues to support the
>illegal, corrupt and undemocratic regime in Rangoon".
>
>-end-
>
>The International Textile, Garment and Leather Workers Federation is an
>International Trade Secretariat bringing together 220 affiliated
>organisations in 110 countries with a combined membership of 10 million
>workers.
>
>For more information, contact: Neil Kearney, General Secretary, Neil
Kearney
>
>(General Secretary) at 32/2/512.2606 (office) or 32/475932487 (cell)
>
>The full text of the ITGLWF s four-page letter to Triumph International is
>available on request.
>--
>Laura Carter
>Assistant to the General Secretary (Policy)
>International Textile, Garment and Leather Workers' Federation (ITGLWF)
>
>708 3rd Street
>Nelson BC V1L2R2
>Canada
>Tel/Fax: 1/250/354.2016
>Brussels fax: 32/2/706.5423
>
>
>Clean Clothes Campaign
>PO Box 11584
>1001 GN Amsterdam
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>tel: + 31 20 4122785
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