I: appello per chiusura CIE



Title: Messaggio
 
 Per favore aderite all'appello per la chiusura dei CIE ( Centri Identificazione ed Espulsione) lanciato dalla giornalista Sonia Sabelli,  scrivendo a redazione@edizioniunicopli.it.
Aderite individualmente e come associazione, gruppo.     Noi del Coordinamento Nord Sud del Mondo stiamo seguendo le traversie del CIE di via Corelli, il loro lungo sciopero della fame.  
 Diffondete per favore l'appello  ai vostri indirizzari.
grazie
Amalia Navoni - CNSM
 



--- Lun 10/5/10, Ed. Unicopli - Nutini <redazione@edizioniunicopli.it> ha scritto:

Da: Ed. Unicopli - Nutini <redazione@edizioniunicopli.it>
Oggetto: appello per chiusura CIE
A: "stefano nutini" <redazione@edizioniunicopli.it>
Data: Lunedì 10 maggio 2010, 06:56


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Care tutte, cari tutti, 

come alcune/i di voi sapranno, dal mese di
settembre del 2009 conduco su radio ondarossa una trasmissione settimanale
sulle lotte antirazziste fuori e dentro i Cie, i centri di identificazione

ed espulsione in cui vengono rinchiuse le persone immigrate prive di
documenti.

Durante le trasmissioni, parlando al telefono con i reclusi e
le recluse nel Cie di Ponte Galeria, mi sono resa conto che spesso sono

semplicemente donne e uomini che, pur vivendo in Italia da molti anni,
perdono il permesso di soggiorno a causa della crisi e si ritrovano
rinchiusi in un Cie in attesa dell'espulsione verso un paese d'origine in

cui non hanno più nulla. Le donne poi, sono spesso vittime di tratta, che
hanno già subito la violenza dei trafficanti, degli sfruttatori e dei
clienti, a cui si aggiunge la violenza subita all'interno del Cie da parte

di agenti di polizia e operatori degli enti gestori. 

Se già in passato i
Cpt erano luoghi terribili, dopo l'approvazione del pacchetto sicurezza e
del prolungamento della detenzione fino a sei mesi la situazione

all'interno dei Cie è decisamente peggiorata: si moltiplicano le violenze e
i soprusi, mentre si susseguono le rivolte, sempre represse con violenti
pestaggi, gli atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio..


Tutto
ciò avviene nel silenzio più assordante, mentre fuori si preferisce fingere
di non vedere cosa avviene all'interno di questi veri e propri lager del
nostro secolo, in cui le persone vengono rinchiuse solo sulla base della

loro nazionalità (o della loro provenienza etnica/razziale). 

Perciò con
un gruppo di persone - fondamentalmente giornalisti e attivisti
antirazzisti, che come me si interessano a ciò che avviene all'interno dei

Cie - abbiamo pensato di far girare un appello, che rivolgiamo a voi con la
preghiera di sottoscriverlo e di aiutarci a farlo circolare, perché
nessuno/a possa più dire di non sapere.

La nostra idea è di raccogliere

un primo gruppo di adesioni e successivamente di presentare pubblicamente
l'appello (con una conferenza stampa che si terrà a Roma) oltre a
pubblicarlo su una pagina web, in modo che chiunque, in qualsiasi città

d'Italia, possa firmarlo on-line. 

Per questo mi rivolgo a voi, sperando
che decidiate di aderire, dando così un contributo al nostro tentativo di
rompere il silenzio che circonda le mura dei Cie.


Se non vi interessa,
potete tranquillamente cestinare questo messaggio. Se avete dei dubbi,
posso farvi avere maggiori informazioni su cosa sono i Cie, chi li gestisce
e come si vive al loro interno. Se invece volete sottoscrivere l'appello,

per favore rispondete semplicemente a questo messaggio. Successivamente,
dopo aver raccolto il primo gruppo di firmatari e dopo aver pubblicato
l'appello sull'apposita pagina web, lo faremo girare con un indirizzo e-mail

e un link per le relative adesioni (e vi chiederemo di aiutarci a farlo
circolare, anche pubblicandolo sui vostri blog/siti/ecc.).

Un caro saluto


sonia sabelli


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QUESTO APPELLO  RIVOLTO

ALLE ANTIRAZZISTE E AGLI ANTIRAZZISTI

CHE NON
INTENDONO TACERE

A coloro che intendono schierarsi apertamente, in maniera
netta e senza ambiguità, per la chiusura definitiva dei Centri di

identificazione ed espulsione, strutture che rappresentano concretamente il
simbolo più evidente della negazione dei diritti - primo fra tutti quello
della libertà personale - nonché momento estremo del controllo

sociale.

Voluti dall'Unione Europea per affermare la propria definizione
di fortezza che garantisce i diritti solo ad alcuni e in certi casi, messi
in atto in Italia da un governo di centro sinistra, rafforzati e peggiorati

dai governi di destra, i Cie sono la dimostrazione della politica espressa
dal nostro Paese nei confronti degli "stranieri", in un percorso che dal
rifiuto porta alla rimozione, alla negazione dell'altro. Buchi neri del

diritto nazionale e internazionale, spesso nascosti agli occhi dei
cittadini nelle periferie delle città, inaccessibili e non monitorabili, i
Cie sono nei fatti un'istituzione illegale, risultato di abusi giuridici e

di leggi razziali come quella che introducendo il "reato di clandestinità",
nega il principio di eguaglianza.

Chi ci è entrato ha avuto modo di
toccare con mano rabbia, dolore e violenza. L'estensione a sei mesi del

tempo massimo di detenzione ha acuito ancora di più la disperazione, che
spesso si traduce in tentativi di suicidio, in vite che si frantumano nel
silenzio e nell'indifferenza. Chi ha ascoltato la voce di quelle e quelli

che in maniera ipocrita vengono chiamati "ospiti", riuscendo a sfondare il
muro impenetrabile di invisibilità che nasconde i destini di persone
costrette in gabbia, può affermare con nettezza che i Cie, un tempo Cpt,

sono irriformabili.

Perché è inaccettabile restare rinchiusi per il solo
fatto di aver varcato una frontiera per necessità, per il solo fatto di
esistere e aspirare a un futuro migliore. L'esistenza dei Cie si colloca

nel disegno di chi vuole uomini e donne migranti in perenne condizione di
ricattabilità, impossibilitati ad accedere a percorsi di regolarizzazione,
scorie finali di chi è espulso dal circuito produttivo dopo essere stato

sfruttato e costretto alla clandestinizzazione.

Gabbie e cemento
nascondono destini spezzati, tentativi di rivolta, furore legittimo e
repressione sistematica. Gli enti gestori, che da queste strutture
guadagnano milioni di euro macchiati di sangue, provvedono a far trovare

ambienti puliti alle delegazioni che riescono a entrare. Ma basta guardare
negli occhi gli uomini e le donne che stanno dietro quelle sbarre, per
ritrovarsi in faccia una realtà celata e rimossa.

Quella che chiediamo non

è soltanto una firma di circostanza, ma un impegno duraturo.

Chiediamo che
chi opera nei mezzi di informazione, nelle associazioni umanitarie, nelle
istituzioni, nel mondo della cultura e dello spettacolo, si assuma,

sottoscrivendo, una responsabilità precisa. Quella di forzare l'omertà che
consente tale vergogna e di raccontare.

Raccontare con onestà, non
fermandosi all'apparenza ma per comunicare quanto sia importante chiudere

tutti i Cie.

Scegliendo oggi di disobbedire al consenso di cui gode il
razzismo istituzionale.

Un giorno, speriamo non lontano, luoghi infami
come i Cie diventeranno simboli di una vergogna passata, da visitare per

non dimenticare, per non ripetere.

 

 

 

 
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