rassegna stampa: WAL MART, COMMESSE IN RIVOLTA



a cura di ALtrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Green Planet" - 9/2/07

WAL MART, COMMESSE IN RIVOLTA.
(di Emiliano Angelelli)
Negli Stati Uniti le commesse di una catena di supermercati fanno causa per
discriminazione sessuale.
Cenerentola scende in guerra contro il big business e lo fa tremare come i
sindacati non sanno più fare. Si sono stancate e sono tante, quel milione e
centomila Cenerentole sottopagate rispetto ai maschi, irrise, discriminate,
che lavorano nel castello del più grande dei grandi magazzini del mondo, la
Wal-Mart americana, mille e 92 ipernegozi in sei Paesi e 1 milione e 800
mila dipendenti, e non chiedono scarpine di cristallo, ma salari equi,
promozioni e dignità.

Soprattutto pretendono di non sentirsi più chiamare "bambola" dal direttore
del negozio e di non essere più invitate "a farsi belle", se vogliono fare
carriera. Ma fatti bello tu, rispondono le impiegate della Wal-Mart che
hanno ottenuto ieri, nonostante la disperata difesa della controparte che
gli aveva sparato contro ogni cavillo e tecnicalità escogitate dai suoi
formidabili legali, il diritto di portare in tribunale questo datore di
lavoro colossale che esse accusano di "sexual discrimination". Nel
linguaggio della giurisprudenza americana, si chiama class action, un'azione
legale avanzata da un gruppo di persone a nome di un'intera "classe"
(curioso residuo di semantica marxiana) di presunti danneggiati.

Di queste class action, di querele collettive, i tribunali americani
traboccano, dai casi famosi dei fumatori contro le produttrici di sigarette
alle più oscure e quotidiane azioni di abbonati contro società telefoniche,
sovente chiuse con transazioni private. Ma il caso delle "Cenerentole contro
Wal-Mart" è qualcosa di assai più imponente della solita causa intentata dai
cacciatori di ambulanze. Lo è per le dimensioni dell'accusato, questa catena
di mega empori nella quale un cliente potrebbe entrare neonato e uscire
soltanto per la sepoltura, trovando dentro tutto, dalle culle ai farmaci,
dal cibo al mobilio. Lo è per la quantità delle querelanti, quelle donne che
formano il 60% del personale ma soltanto il 14% delle dirigenti. Respinte
dall'amministratore delegato che si fa fotografare stravaccato su una
poltrona a forma di scarpa da donna leopardata con tacchi a spillo.

Ma lo è soprattutto per la sfida a una cultura aziendale, a un nuovo modo di
concepire il business nel tempo della rivincita schiacciante della proprietà
sui sindacati. La class action contro la catena degli empori sconto fondata
da Sam Walton in un paesino dell'Arkansas con la semplice idea di vendere
con margini di profitto inferiori per vendere di più, attacca un impero che
aveva vissuto e governato se stesso come una nazione indipendente, forte del
proprio successo. Per "vendere tutto a meno", come vuole lo slogan della
Wal-Mart, il signor Walton (uno dei finanziatori della carriera di Bill
Clinton, suo concittadino in Arkansas) semplicemente pagava meno i propri
impiegati. Aveva proibito i sindacati ed evitato, inizialmente, di pagare le
assicurazioni sulla salute. Aveva assunto preferibilmente femmine, e non
particolarmente qualificate, giudicandole più docili. E aveva continuato a
espandersi, dal primo negozietto dell'Arkansas nel 1962 ai più di mille di
oggi, sparsi negli Usa, in Messico, in Irlanda, persino in Giappone, sotto
una maschera nipponica. Nessuno al mondo vende più prodotti, o più
giocattoli, di Wal Mart, che ricava 11 miliardi di dollari di profitti netti
su 315 miliardi di vendite ed è, con il suo milione e 800 mila dipendenti il
primo datore di lavoro americano, persino più del Pentagono. Una "fairy
tale", una favola per studenti di economia e commercio, che aveva diffuso
un'aura di "tutti felici e contenti" dentro i suoi immensi hangar di
mercanzia senza pretese estetiche, grandi fino a 24 mila metri quadrati, tre
campi di calcio regolamentari. Senza contare la colata di asfalto per il
parcheggio esterno, grande il doppio.

Troppo grande ormai, e troppo prepotente, questo castello del consumismo che
piomba su contee e paesi e fa il vuoto della concorrenza in pochi giorni,
per non attirare invidie, marce, petizioni, rivolte di comuni, picchetti e
ora la ribellione delle sue donne. I documenti presentati dagli avvocati
delle querelanti, ufficialmente cento di loro a nome del milione e più di
sorelle, sono implacabili e i tre giudici della corte d'appello federale
chiamati a giudicare la proponibilità della causa hanno dovuto arrendersi
all'evidenza e permettere il processo. Soltanto il 14% dei "capi e capetti"
sono femmine, contro il 60% che è la media nelle altre catene commerciali.
Una donna deve attendere in media otto anni per essere promossa a "vice
manager", mentre per un uomo bastano due anni e mezzo. La retribuzione media
di una commessa è di mille e 100 dollari annui inferiori a quella di un pari
grado maschio e dove finisce la quantificazione del trattamento
discriminatorio comincia la lunga lista della insensibilità maschilista.

Le riunioni di lavoro sono organizzate nei ristoranti "Hooters", il cui
piatto principale sono i prorompenti seni al vento delle cameriere o
addirittura in "strip club". La manager di un negozio in Arizona è pagata
meno del collega perché "non ha l'equipaggiamento giusto". La spiegazione
giudaico-cristiana di un capo in South Carolina alle aspiranti manager è che
"Dio creò prima Adamo e poi Eva, dunque le femmine vengono sempre dietro i
maschi". E la definitiva analisi sociologica del principale in Florida,
secondo il quale "voi donne venite qui soltanto perché siete casalinghe alla
ricerca di una paghetta e non per lavorare seriamente".

E dunque, anche scontando le naturali esagerazioni aneddotiche di ogni
querela, non il solito caso di querela per danni. È un processo a una
cultura, sia maschile che aziendale, quello che vedrà opposte le donne di
Wal Mart al king kong del discount. È una messa in discussione del nuovo
modo di fare business nell'America che sta cercando di scrollarsi di dosso
definitivamente i sindacati chiudendo e delocalizzando le linee di
produzione, ma che scopre un nuovo e ancora più micidiale avversario: non
più il mesto Cipputi in tuta ma la furiosa Cenerentola in grembiule. (fonte:
La Repubblica)
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