Venticinque anni di lotte contro la multinazionale svizzera



Venticinque anni di lotte contro la multinazionale svizzera

Dall'infrazione del Codice sul latte materno alle morti dei sindacalisti, dallo sfruttamento delle sorgenti d'acqua alla beffa del caffè con l'etichetta "equo-solidale"

Da Nestlè ci aspettiamo una forte assunzione di responsabilità, sociale innanzi tutto; e la ricerca di un profitto che non sia a scapito dell’etica.

di Vincenzo Puggioni - A Vevey, in Svizzera, c’è la sede di una delle più potenti multinazionali del pianeta: la Nestlè. Nel 2004 risultava essere proprietaria di 500 stabilimenti in 83 diversi Paesi, con 247.000 addetti ed un fatturato di 86.769 milioni di franchi svizzeri, con un utile di 6.717 milioni di franchi (8% in più rispetto all'anno precedente). Nel 1997 l'utile era di 4.182 milioni, dunque in solo sette anni un incremento del 60% (Rapporto Finanziario Nestlé 2004).

Nestlè dunque protagonista del “grande mercato globale”? Non certo dal punto di vista dell’etica.

E non a caso oggetto di pesanti critiche e di un duro boicottaggio internazionale che dura da molti anni.

Tutto parte dal mancato rispetto del Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno, promulgato nel 1981 dall’Oms e dall’Unicef e sottoscritto da molte imprese del settore, Nestlè inclusa. Venticinque anni di promesse andate a vuoto, se è vero come è vero che ancora oggi la multinazionale elvetica continua a violare il codice (vd. “Codice Violato”, edizioni 2001 e 2004 - www.ibfanitalia.org) e a negarsi a qualsiasi, serio confronto pubblico, che vada oltre pubblicazioni patinate che intenderebbero dimostrarne la serietà e l’impegno a favore di neonati e madri.

Non è l’unica impresa che vìola il Codice; ma questo non significa che non lo debba rispettare, anzi a maggior ragione, essendo leader di mercato anche in questo settore. Che mette sul contraltare del profitto la vita di un milione e mezzo di neonati (dato Unicef), vittime delle conseguenze dell’allattamento artificiale. E la salute di tanti altri neonati ai quali viene a mancare il nutrimento migliore, il diritto delle loro madri a poterli alimentare come vorrebbero, come quasi sempre potrebbero.

Ma Nestlè non è soltanto latte in polvere. Così veniamo a sapere che in Colombia i lavoratori della multinazionale raggiungono l’obiettivo di un nuovo contratto di lavoro, siglato dal Sinaltrainal (sindacato degli alimentaristi) dopo una estenuante lotta, che garantirà per un periodo di tre anni alcuni - pochi - diritti fondamentali. Un contratto che è stato ottenuto anche con il sangue, grazie al sacrificio di sindacalisti come Luciano Enrique Romero Molina, dirigente sindacale, massacrato (badate bene non ucciso, prova ne siano le 40 coltellate inferte da misteriosi assassini i cui nomi resteranno per sempre ignoti) il 9 settembre 2005 a Valledupar. In un Paese dove lottare per il rispetto dei diritti significa mettersi contro ogni potere e doverne subire le conseguenze.

Come Diosdado Fortuna, altro sindacalista (Uniòn de Empleados Filipìnos) di un altro Paese terra di conquista delle multinazionali, le Filippine. Viene assassinato dopo essere uscito dallo stabilimento Nestlè di Cabuyao, cinquanta chilometri da Manila, mentre sulla sua moto faceva ritorno a casa; due colpi precisi lo colpiscono alle spalle, ovviamente ignoti gli assassini, impuniti, è storia di ogni giorno.

Ma chi ricorderà Molina e Fortuna, se non le mogli ed i figli che li piangono e ai quali è veramente difficile spiegare perché si viene massacrati soltanto perché si osa difendere i propri diritti? Sono state presentate due interrogazioni nella precedente legislatura, molto dettagliate; la banale risposta di un sottosegretario non riuscirà a rendere loro giustizia.

Nestlè, sempre lei, che grazie alla “complicità” dei certificatori inglesi lo scorso anno riesce persino a lanciare un suo caffè “equo e solidale”….. quasi bastassero un paio di piantagioni nelle quali si rispettano alcuni dei basilari criteri etici di comportamento per diventare equosolidali! Cosa ne è di tutte le altre piantagioni della multinazionale, siano esse di caffè o cacao, ce lo può spiegare la multinazionale? Ce lo possono spiegare quelli di Transfair UK, spiegarcelo non con lunghe lettere ma con la ragione etica che dovrebbe guidare la loro condotta e che dovrebbe far capire loro quanto è pericoloso consegnare il commercio equo nelle mani delle multinazionali? Alle quali non pare vero potercisi tuffare dentro e trasformarlo, a propria (sbiadita) immagine e somiglianza.

Avremmo ancora tanto da dire su Nestlè, tanto da chiedere a Nestlè; qualcosa faremmo chiedere loro dalla popolazione di Sao Lourenço, in Brasile, laddove il movimento cittadino per la salvaguardia del “bene acqua” denuncia lo sfruttamento eccessivo di una sorgente sita in mezzo ad un parco naturale, a 150 metri di profondità, situazione che sta creando gravi problemi di approvvigionamento idrico e peggiorando l’ecosistema dell’intera regione; o dai lavoratori italiani di San Sisto (Perugina) e di Sansepolcro (Buitoni), che stanno lottando per difendersi dai programmi di ristrutturazione della multinazionale milionaria, che deve “ottimizzare i costi strutturali dell’impresa e incrementare l’utile” (Rapporto Finanziario Nestlè 2004).

Da Nestlè ci aspettiamo una forte assunzione di responsabilità, sociale innanzi tutto; e la ricerca di un profitto che non sia a scapito dell’etica. Insieme ad una rinnovata capacità di sapersi aprire al confronto e al dialogo, essenziali per rispondere ad istanze sempre più pressanti che provengono da consumatori ogni giorno più consapevoli delle proprie scelte.

(Segreteria Rete Italiana Boicottaggio Nestlè)