R: per far rispettare i diritti umani?



Interessante quesito. Le tue ultime domande sono:
1) come hanno affrontato gli economisti la questione della limitazione al
commercio internazionale a fini di evitare danni sociali o ambientali
2) i perchè del fatto che non si fa.

Sulla domanda 1 ti rimanderei ad alcuni libri di un illuminato economista
(Herman Daly)...ma la sostanza è che gli economisti hanno lasciato l'onere
della prova dei vantaggi del libero commercio ad un economista dell'800:
David Ricardo, che dimostrò come sotto certe ipotesi era bene per tutti gli
stati specializzarsi a produrre il bene dove avevano il vantaggio comparato
più alto e acquistare all'estero il resto (te lo dico in modo semplificato).
Il fatto fondamentale è che questa teoria (dei vantaggi comparati) funziona
sotto due ipotesi: immobilità del fattore lavoro e immobilità del fattore
capitale. Per meglio dire funziona se il capitale italiano rimane investito
in italia, quello inglese in Ignhilterra, etc. Il che era appunto molto vero
nell'800, ma alquanto fuori dalla realtà oggi. Ergo la teoria economica che
tutti gli economisti chiamano in causa per giustificare l'ottimo del libero
mercato, oggi non funziona più.

Sulla domanda 2, sono vere tutte le cose che ti ha risposto Viviana. Se non
si fa è perchè vi sono potentissimi interessi contro. Sono gli interessi
della maggioranza dell'umanità? Direi di no. Sono gli interessi della
maggioranza delle imprese del mondo? Direi ancora di no. Sono gli interessi
di un gruppo ristretto di potenti multinazionali e lobby correlate.

Se è vero che l'Italia in primis, come molti altri paesi del mondo dipende
dal commercio internazionale, è anche vero che qui non si tratta di
stabilire una situazione di impossibile autarchia, semplicemente (per usare
un termine da economisti) di internalizzare le esternalità sociali e
ambientali. Esempio: prodotto tessile cinese, prodotto da ditta cinese dove
non sono rispettati i diritti umani e del lavoro; si dice che quel prodotto
non potrà più entrare in italia se non dimostrerà che è prodotto nel
rispetto di quei diritti, l'onere della prova ovviamente ai produttori o in
alternativa agli importatori (che sono quelli che ci guadagnano di più). Che
tipo di prova? Per esempio una certificazione come la SA8000 che fa
riferimento ad uno standard internazionale. In questo modo non si dice che
il prodotto tessile cinese non deve più entrare sotto certi prezzi o sopra
certe quantità, si dice che può entrare solo se ha certi requisiti. Per
capirsi se la ditta cinese si mette in regola con i diritti umani e del
lavoro, il suo prodotto non è che diventa caro quanto quello italiano: ci
sarà sempre un differenziale enorme: ma almeno non pagato sulla pelle dei
lavoratori (idem per l'ambiente).
Quindi uno strumento di regolazione del commercio internazionale basato su
standard sociali e ambientali potrebbe essere assolutamente possibile e
auspicabile anche in termini di "ottimalità" economica.

Ma c'è un'altro facile strumento che agirebbe verso lo stesso fine. Ne parla
Daly e ne parla Gesualdi nell'ultimo libro: una tassa sulle emissioni di
CO2, e quindi sull'uso dei combustibili fossili: segue aumento costo
trasporto: segue aumento prezzi beni che vengono da lontano: segue guadagno
competitività beni prodotti localmente.

Infine c'è uno strumento ancora più semplice, quello che farebbe tornare
valida l'ipotesi della teoria di Ricardo: limitare i movimenti di capitale
da uno stato all'altro: se il capitale italiano va in cerca del vantaggio
assoluto (non più di quello comparato come ai tempi di Ricardo) quel
vantaggio lo trova nei paesi dove sono violati i diritti umani e
dell'ambiente, perchè è là che quel capitale investito renderà di più.

Insomma gli strumenti ci sono, in perfetta linea con la teoria economica, ma
mancano i promotori. In questo manca drammaticamente tutta la sinistra
italiana da Rifondazione in avanti...che lascia questo tema solo alle urla
della lega (dazi doganali per difendere le imprese del veneto ......che
usano massicciamente manodopera immigrata regolare e non......).

insomma su questi temi la delusione più grande è che continua il silenzio.

grazie quindi per averli sollevati

daniele





----- Original Message -----
From: Nicoletta Landi <nicoletta at peacelink.org>
To: <consumocritico at peacelink.it>
Sent: Wednesday, May 04, 2005 2:58 PM
Subject: per far rispettare i diritti umani?


> ciao, a volte lasciano la mente vagare, vengono in mente le idee piu'
> semplici.
>
> come si fa a raddrizzare il mercato?
>
> basterebbe che il singolo stato, riappropriandosi della propria autonomia,
> vietasse le importazioni dei prodotti fatti in posti dove non vigono gli
> stessi diritti sul lavoro.
>
> immaginiamoci: tutti i consumatori italiani non compreranno piu' per legge
> i prodotti di tutti i posti dove vengono garantiti meno diritti che ai
> lavoratori italiani.
>
> come a dire: non vogliamo comprare cose fatte in un modo che noi non
> vogliamo piu' per noi stessi e i nostri figli.
>
> a questo punto, tutti i consumatori italiani sarebbero costretti
> automaticamente a:
>
> spendere di piu' per acquistare prodotti fatti meglio
> consumare di meno
> le imprese italiane riprenderebbero fiato
>
> magari altri stati potrebbero fare lo stesso.
>
> e l'onere della prova? a carico dello stato da dove vengono importati i
> prodotti.
>
> in fondo, lo stesso avviene gia' su cio' che attiene alla salute, sui
> prodotti considerati cancerogeni o fatali.
>
> a parte i tremila "ma"  che mi vengono in mente, mi chiedo come e' stata
> affrontata dagli economisti tale possibilita', e quali sono i perche' del
> fatto che non si fa.
>
> un saluto affettuoso
> ciao nicoletta
>
> --
> Mailing list Consumo Critico dell'associazione PeaceLink.
> Per CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html
> Se non riesci, scrivi a nicoletta at peacelink.org
> inserendo "cancella" nel Soggetto.
> Si sottintende l'accettazione della Policy Generale:
> http://www.peacelink.it/associazione/html/policy_generale.html
>


 
 
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