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Palestina: "Sabbia di Gaza" di Fabrizio Bellini



From: Fabri Bellini <ibrizie@hotmail.com>


Sabbia di Gaza (Fabrizio)
Era il 27 giugno, l'ultima volta che mi sono trovato, stringendo il mio 
passaporto, davanti a quelle pompa al "blocco O", sono passati quattro mesi 
ed ancora una volta stringo il mio passaporto in mano, alzandolo per far 
vedere che sono straniero e così proteggere i lavoratori palestinesi addetti 
alla riparazione e alla manutenzione delle pompa. La pompa serve a 
convogliare le acque nere nella fogna.
Prima, sorgeva tra le case al confine con l’Egitto a Rafah nella Striscia di 
Gaza.
Ora, è l’unica cosa ancora in piedi in una fascia di 500 m dal confine con 
l’Egitto a Rafah nelle Striscia di Gaza.
A giugno, dove c’erano le case erano rimasti cumuli di macerie; oggi, 
neppure quelli. C’è  sabbia, sabbia, sabbia. Un ragazzo cerca di indicarci 
il posto dove sorgeva la casa di sua madre, ma non la trova, non c’è più 
nulla, solo sabbia. L’IDF definisce tutto  questo “fascia di sicurezza”, i 
tank e i buldozzer, infatti, ci sono vicini, i loro cannoni sono puntati su 
di noi. “Motivi di sicurezza”, noi, siamo “armati” di passaporto. Altri 
mezzi corazzati lavorano alacremente e i tre operai palestinesi che 
impegnati alla manutenzione della pompa sembrano ancora più piccoli. Anche 
noi siamo piccoli di fronte a tutta questa massa ferrosa in movimento. Siamo 
piccoli ma facciamo “paura” visto che i carri armati vigilano il nostro 
lavoro di “scorta”.
Non è dei tank o della nostra azione di interposizione, però, che voglio 
parlare ma bensì della sabbia. La sabbia è chiara e i vari mezzi addetti 
alla costruzione delle nuove torrette difensive si muovono come su di un 
mare calmo e liscio. Prima c’erano le case ed ora c’è la sabbia. Ogni tracce 
dei precedenti abitanti è stata cancellata. Non so perché ma la sabbia di 
Rafah mi ha fatto tornare in mente un prato. Questo prato si trovava, 
qualche anno fa, in una città della Bosnia Centrale, in quella parte che si 
chiama tutt’oggi Republika Serpska. Quel prato di Banja Luka sorgeva nel 
centro della città e chi aveva il coraggio di raccontare diceva che lì, 
proprio lì sorgeva la moschea più grande della città. Non c’erano macerie a 
ricordarlo, erano state portate via, c’era solo un prato e l’imam non era in 
grado di stabilire con precisione dove si erigevano le mura portanti. 
Nessuna traccia. Io so cosa significava il prato di Banja Luka, pulizia 
etnica.
Sono situazioni diverse  ma l’assenza delle “tracce” mi fa riflettere sulle 
parole. I nazionalisti serbi, assetati si sangue volevano proteggere le loro 
famiglie dai mussulmani “cattivi”, così dicevano e così credevano. Anche se 
tutti sappiamo che questo non era vero.
A Rafah l’IDF sta difendendo una frontiera per il nobile scopo di proteggere 
la sicurezza di Israele, ma purtroppo faccio fatica a crederlo.
Le quattro torrette in costruzione a Rafah avranno al loro apice potenti 
telecamere e armi telecomandate, domineranno gran parte della città, per 
fare questo negli ultimi due anni sono state abbattute circa 250 abitazioni, 
ma gli scontri invece che diminuire sono aumentati. La gente di Rafah 
aspetta la notte in cui anche la loro casa potrebbe essere abbattuta con 
poche ore di preavviso. E’ un attesa piena di paura e di rabbia. Questa 
rabbia arma i numerosi gruppi armati e terroristici che sono presenti nella 
zona e gli da un potere che aumenta di giorno in giorno.

La sabbia è di colore marrone mentre gli alberi e la vegetazione sono di 
colore verde.
E’ questa la prima differenza che uno nota quando passa il check point di 
Erez tra la Striscia di Gaza e Israele. Gli israeliani hanno fama nel mondo 
di essere stati in grado di far fiorire il deserto e non è una fama 
millantata. Nei territori tutto è più brullo e la vegetazione meno florida.
Sono molte le ragioni, probabilmente i palestinesi sono meno bravi, ma ci va 
anche messa la mancanza di acqua (che viene in parte sfruttata dagli 
insediamenti israeliani) la scarsa possibilità, anche economica, di 
sviluppo, poi viene l’occupazione. I mezzi militari israeliani 
contribuiscono a trasformare il poco verde della Striscia in marrone sabbia, 
il mezzo è semplice: il buldozzer. Il fine è scontato “motivi di sicurezza”. 
E’ cosi che vedo cambiare paesaggio sotto i miei occhi di osservatore che si 
sforza di essere obiettivo. Nei pressi dell’insediamento di Netzarim i 
buldozzer coloravano, non più tardi di qualche giorno fa, un fascia di terra 
che va fino al mare. Lo stesso giorno altro marrone sabbia vicino a Erez.
Perché lo stato che è famoso per far fiorire il deserto desertifica la 
Striscia di Gaza? La risposta è sempre quella ma io non ci credo più: 
“motivi di sicurezza”.

Operazione Colomba
www.operazionecolomba.org