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Francesca Borri, cronache di guerra da Aleppo (Siria)
- Subject: Francesca Borri, cronache di guerra da Aleppo (Siria)
- From: "Alessandro Marescotti" <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Sun, 30 Sep 2012 20:44:54 +0200
- Importance: Normal
Il luogo piu' pericoloso, qui, e' l'ospedale. E' la prima cosa che ti dicono, quando arrivi: se hai voglia di stare tranquilla, stai sul fronte. Lasciate ogni regola, voi che entrate. Aleppo e' esplosioni, in questi giorni, nient'altro. Macerie. E quando ti avventuri in cerca di pane, acqua un medico, solo il tiro dei cecchini. Gli aerei di Assad volano radente, ti precipitano contro con schiaffi di vento e morte. Eppure sono cosi' imprecisi che non bombardano mai vicino le linee del fronte: rischierebbero di colpire non i ribelli, ma i lealisti. L'unita' dell'Esercito Libero in cui siamo embedded e' composta da tredici uomini, di cui due in ciabatte - e gli altri non sempre hanno ai piedi due scarpe uguali. Erano diciassette, in tre sono morti per recuperare il cadavere di un quarto che e' ancora li', in fondo alla strada. Hanno per base una scuola, e ognuno addosso una pistola, un kalashnikov e un coltello. Un bambino, nell'ufficio del preside, lucida su un tappeto i gioielli di famiglia: due lanciarazzi e un bazooka. A parte il capitano, un ufficiale che ha lasciato le truppe di Assad sei mesi fa, non sono che ragazzini di diciassette, diciotto anni. Alaa studia filosofia, e tra un turno e l'altro legge Habermas. I disertori si riconoscono subito: si sono rubati dalla caserma la maglietta mimetica. Gli altri hanno quella di Messi o Che Guevara. La primavera siriana e' diventata la guerra di Siria. E l'evoluzione si percepisce tutta nella differenza tra la frontiera con il Libano e la frontiera con la Turchia. Beirut e' rifugio, clandestino, dei piu' noti attivisti: quelli da cui tutto e' cominciato, corteo dopo corteo, assemblea dopo assemblea - e a cui hanno confiscato la rivoluzione. Aiutavano i giornalisti non solo a attraversare il confine, ma anche, soprattutto, capire le ragioni e rivendicazioni dell'opposizione al regime. Adesso la frontiera con il Libano e' inaccessibile. Si e' aperta in compenso quella con la Turchia: i ribelli controllano l'ufficio passaporti, entri calpestando il tappetino con il ritratto di Assad. Ma la nuova Siria di cui si sono autoproclamati portavoce e' un'incognita. Difficile discutere di politica, con loro. Inutile chiedere di inviati dell'Onu, Islam. Sunniti e alauiti. Qui l'essenziale e' consegnare 500 dollari al giorno: i giornalisti sono l'affare del momento - e' la tariffa del giro turistico per la Aleppo sotto attacco. Perche' le linee del fronte, formalmente, sono quattro. Ma la verita' e' che il fronte e' uno solo, qui: e' il cielo. E chi non ha che proiettili e coltelli, da opporre ai caccia, non ha scampo. Senza un intervento esterno, l'Esercito Libero non puo' vincere. E quindi, per ora, tenta di non perdere. Si difendono le posizioni, in questi giorni, ad Aleppo. Non si avanza. La citta' e' disseminata di cecchini e sangue rappreso, mentre dall'alto si bombarda senza sosta. La mappa disegnata sul muro, nell'ufficio del preside, ricorda la settimana enigmistica, quelle linee aggrovigliate e bisogna scoprire come arrivare da A a B: solo che tra A e B, qui, vivono decine di famiglie - e quella e' la mappa dei cecchini da stanare. In mezz'ora, all'ospedale Al Shifa sbarcano tre morti, uno ha otto anni. Fuori, l'orma lasciata dall'ultimo aereo, ieri sera: profonda due metri. Per rassicurare la popolazione, i ribelli si aggirano in pick-up bardati di doshka: e' una mitragliatrice placebo, contro un aereo ha l'effetto della cerbottana. E per rassicurare il mondo, guadagnarsi sostegno, trascinano i giornalisti al fronte: e cioe' davanti a invisibili cecchini lealisti. In tre, quattro, si nascondono al primo incrocio, a cento metri di distanza. E poi attraversano la strada di corsa, in perpendicolare, sventagliando alla cieca colpi di kalashnikov. Su e giu'. Ogni tanto, nella foga da Rambo, dimenticano di ricaricare i proiettili. Non esistono regole, in Siria. Bombardamenti sui civili, moschee convertite in postazioni militari. Armi sulle ambulanze, ribelli con le divise dei lealisti. Lealisti senza divise. E questa base sembra piu' un liceo occupato che un'unita' di esercito. E' una lite ogni dieci minuti. A chi tocca cucinare, come conquistare il prossimo isolato. Che tattica usare. Hai rubato le mie scarpe, no sei tu che ieri hai rubato le mie coperte. E non e' che il microcosmo di quello che accade tra i vari gruppi armati, e ancora piu' in generale, tra le varie anime dell'opposizione. Non si ha un'unica leadership e un'unica strategia, qui. Ne' tra i civili ne' tra i militari. Ed e' questa, piu' di ogni arsenale, la vera forza di Assad. Per la scuola, tra i kalashnikov, si aggirano bambini. Ahmed ha sei anni. Oggi ti insegno a essere un siriano vero, gli dice il capitano. Un siriano libero. Gli affida la pistola e gli fa sparare un colpo in aria, in questa strada stretta di edifici a otto piani con i vetri gia' in frantumi. Se ne rompe un altro. Una giovane donna corre giu' spaventata, il proiettile e' entrato nella sua cucina. Mi prende dalle mani penna e taccuino: ma che Siria puo' venire fuori, scrive, da uomini cosi'? E si rintana nel sottoscala. Francesca Borri Da Il Fatto Quotidiano di giovedì scorso -- Sostieni PeaceLink, versa un contributo sul c.c.p. 13403746 intestato ad Associazione PeaceLink, C.P. 2009, 74100 Taranto (TA)
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