David Rieff sull'intervento in Libia



Vale la pena di rileggere questo intervento di un giornalista, David Rieff, che aveva previsto tutto lo scorso marzo.

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Perché sono contrario all’attacco alla Libia

25 marzo 2011

Se lo scopo della no-fly zone sulla Libia fosse stato solo quello di impedire che i cittadini di Bengasi fossero massacrati dalle forze del colonnello Gheddafi, dichiararsi contrari avrebbe potuto aver senso a livello di principio ma non a livello morale.

La sera prima che le Nazioni Unite autorizzassero l’intervento occidentale, Gheddafi aveva minacciato una strage e non c’era motivo di non credergli. Una cosa è opporsi all’intervento per principio. Un’altra è applicare meccanicamente questo principio al caso libico, confermando così la famosa osservazione di Emerson che la coerenza a ogni costo è tipica delle menti mediocri.

Anche se la necessità di quest’intervento è stata sostenuta con il linguaggio dell’umanitarismo invocando la cosiddetta Responsabilità di proteggere (R2P) – cioè la nuova dottrina dell’Onu che permette d’intervenire militarmente per impedire ai tiranni di uccidere il loro stesso popolo – fin dall’inizio è stato chiaro che lo scopo principale era appoggiare l’insurrezione. E quindi arrivare a un cambio di regime. Diversamente, il bombardamento sarebbe stato interrotto appena finito l’attacco delle forze governative a Bengasi. E invece continua.

Quindi Iraq e Afghanistan non hanno insegnato nulla all’occidente sull’idea che si possa imporre la democrazia sulla punta del fucile. Ricordate i giorni beati alla fine degli anni novanta quando Tony Blair prometteva al mondo che in futuro l’occidente avrebbe combattuto solo guerre in nome dei suoi valori e non dei suoi interessi? Li stiamo rivivendo. Il disastro iracheno avrebbe dovuto ricordare soprattutto agli interventisti liberal la frase di Pascal: “L’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo faccia la bestia”. Una frase che dice la cruda verità su quelli che, per autolusingarci, chiamiamo interventi umanitari. E invece ci risiamo.

Gli intellettuali al fronte
In realtà, l’infatuazione delle élite progressiste occidentali per la guerra umanitaria non è stata affatto scossa dall’Iraq. 
(...) E oggi alcuni di questi interventisti liberal sono al potere.
(...) "Voci dell’inferno", il libro di Samantha Power sull’incapacità degli Stati Uniti di impedire i genocidi del ventesimo secolo, è stato il vangelo degli interventisti liberal statunitensi fin dalla sua pubblicazione.

Oggi Samantha Power lavora nell’amministrazione Obama e contribuisce a mettere in pratica le sue idee. Questa guerra, chiamiamola con il suo nome per una volta, sarà ricordata come una guerra fatta e acclamata dagli intellettuali. La principale differenza è che, soprattutto negli Stati Uniti, questa volta gli intellettuali vengono in gran parte dalle file dei liberal piuttosto che da quelle dei conservatori. Probabilmente se andrà male la rinnegheranno, accusando l’amministrazione Obama di averla pasticciata, più o meno come molti neoconservatori accusarono il segretario alla difesa Rumsfeld per i suoi errori strategici in Iraq. E in Libia cosa succederà? Tutto è possibile, naturalmente, ma sembrano molto ridotte le probabilità che questo conflitto, così grandioso per le sue giustificazioni morali e così incoerente nella sua tattica, vada come promettono i suoi sostenitori.

Ma nella guerra umanitaria si tende a pensare che le buone intenzioni di coloro che la scatenano siano superiori a tutte le altre considerazioni. Per questo chi l’ha voluta si rifiuta di chiamarla guerra, cioè qualcosa che implica inevitabilmente il massacro di innocenti, anche quando questo massacro avviene per una giusta causa (e nonostante tutti i discorsi sulle armi “intelligenti”, la guerra dal cielo è particolarmente incline a uccidere i civili). Questa guerra non serve a proteggere i cittadini di Bengasi. Questo obiettivo è stato raggiunto il primo giorno.

Ora il problema è rovesciare Gheddafi e sostituirlo con i leader dei ribelli di Bengasi. Perché Barack Obama, Nicolas Sarkozy o David Cameron pensino che chi governa la Libia sia affar loro e perché si siano dati tanto da fare per ottenere l’assenso della Lega Araba e non quello dei loro parlamenti, ci dimostra quanto sia sbagliata la dottrina dell’intervento umanitario. Questi leader sono più interessati a imporre la democrazia con la forza che a rispettare il giudizio democratico dei loro parlamenti.

Quindi quello che ci rimane è il cesarismo angelico dell’“impero del bene”! E tutto con l’approvazione di intellettuali le cui buone intenzioni non sono la soluzione al “problema dell’inferno” di Samantha Power, ma il problema stesso. La ferocia umanitaria da cinquemila metri d’altezza o da un sottomarino lanciamissili rimane sempre ferocia. E la strada per l’inferno resta sempre lastricata di buone intenzioni.

David Rieff


Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 890, 25 marzo 2011
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