Ciao Lorenzo, sono Marta del comitato "Palestina nel cuore" di Roma. Neanch'io ho visto Lebanon e quindi non posso e non voglio entrare nel merito. Ti segnalo però questa lettera del regista israeliano Eyal Sivan (io lo conosco per "Uno specialista", ma è più noto come il regista di Route 181). Sivan esprime la sua posizione in un modo che più chiaro non si può: secondo me coglie davvero nel segno. Eccoti il testo pubblicato sul blog di Zeitun:
Eyal Sivan ritira il suo ultimo film dal festival di Parigi in segno di opposizione alla politica israeliana di apartheid |
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Post aggiunto da Zeitun il 28 Ottobre 2009 alle 0:00 Visualizza il blog di Zeitun Un gran gesto di Eyal Sivan regista israeliano e co autore con Michel Khleifi di Route 181 e autore di molti film tra cui ricordiamo Lo Specialista sul processo a Eichmann. Una lettera lucida di grande spessore, ferma nel denunciare da un lato l'uso strumentale da parte israeliana della produzione culturale cinematografica per dimostrare l'esistenza di una democrazia in Israele; dall'altro l'opportunismo e il silenzio complice dei cineasti israeliani che, pur di ottenere finanziamenti pubblici, si guardano bene dal denunciare l'occupazione e i crimini di guerra a Gaza e in Libano. Grazie Eyal Sivan
Mme. Laurence Briot & Mme. Chantal Gabriel Direzione del programma Forum des images 2, rue du Cinéma 75045 Paris Cedex 01 - Francia
Londra 6 Ottobre 2009
Care Laurence Briot e Chantal Gabriel Vi scrivo in seguito alla richiesta che avete indirizzato ai miei produttori, Trabelsi e Eskenazi, di programmare il mio ultimo film "Jaffa, La meccanica del’arancia" nella retrospettiva 'Tel-Aviv, il Paradosso' da voi organizzata il mese prossimo al Forum des Images, nel quadro della celebrazione del centenario della città di Tel-Aviv. Innanzitutto voglio ringraziarvi per la vostra offerta di partecipare a questo evento e vi chiedo di scusare il mio ritardo nel rispondere alle vostre calorose sollecitazioni. Sono sinceramente onorato che abbiate pensato di programmare il mio film "Jaffa, La meccanica dell’arancia" per chiudere la vostra retrospettiva. Tuttavia, dopo matura riflessione, ho deciso di declinare il vostro invito. Le ragioni di questa decisione sono complesse e di natura politica, e per questo vorrei, se siete d’accordo, spiegarvele dettagliatamente. Come probabilmente sapete,
l'insieme del mio lavoro cinematografico - più di 15 film - ha principalmente per oggetto la società israeliana e il conflitto israelo-palestinese. Opponendomi alla politica israeliana nei confronti del popolo palestinese, mi sono sempre sforzato di agire in modo indipendente affinchè non vi sia nessuna ambiguità sul fatto che io non rappresento la "democrazia (ebraica) israeliana". Per questo, dall’inizio della mia carriera cinematografica, più di 20 anni fa, non ho mai beneficiato di alcun aiuto o di alcun supporto di una qualsiasi istituzione ufficiale israeliana. Ho sempre agito in modo di evitare che il mio lavoro possa essere strumentalizzato e rivendicato come una prova dell'atteggiamento liberale d'Israele; una libertà di espressione e una tolleranza che l’autorità israeliana accorda solo, ovviamente, a critiche ebraiche israeliane. La politica razzista e fascista del governo israeliano e il silenzio complice della maggior parte
dei suoi ambienti culturali durante la recente carneficina operata a Gaza come di fronte alla continua occupazione, alle violazioni dei diritti umani e alle molteplici discriminazioni nei confronti dei Palestinesi sotto occupazione o dei cittadini palestinesi dello Stato israeliano – tutte queste ragioni giustificano il mio mantenere le distanze rispetto ad ogni avvenimento che potrebbe essere interpretato come una celebrazione del successo culturale in Israele o una garanzia della normalità del modo di vivere israeliano. Poiché la vostra retrospettiva fa parte della campagna internazionale di celebrazione del centenario di Tel-Aviv e gode, a questo titolo, del sostegno del governo israeliano, non posso che declinare il vostro invito. D’altra parte, considerando gli attacchi offensivi, umilianti e continui di cui il mio lavoro è oggetto, in Francia come in Israele, e i rarissimi israeliani che si sono espressi per difendermi e manifestare la loro
sincera solidarietà (non tengo conto delle dichiarazioni di principio in favore del privilegio egemonico della "libertà d'espressione"), non mi è possibile sentirmi solidale con un tale gruppo. Non posso essere associato ad una retrospettiva che celebra artisti e cineasti che godono dì una posizione di privilegio assoluto e di una totale immunità, ma che hanno scelto di tacere quando crimini di guerra venivano commessi in Libano o a Gaza e che continuano ad evitare di esprimersi chiaramente sulla brutale repressione della popolazione palestinese, sul blocco di 3 anni e la chiusura di oltre un milione di persone nella Striscia di Gaza. Ci tengo a smarcarmi da quei miei colleghi che utilizzano in modo opportunista, perfino cinico, il conflitto e l'occupazione come sfondo dei loro lavori cinematografici e come rappresentazione neo-esotica del nostro paese – pratiche che possono spiegare il loro successo in Occidente e in particolare in Francia
– ed io rifiuto di essere associato a loro nel contesto della vostra manifestazione. Anche se il vostro invito aveva suscitato in me qualche esitazione, questa è stata spazzata via dalla lettura, una quindicina di giorni fa, di un articolo firmato da Ariel Schweitzer, l'organizzatore della vostra retrospettiva, e pubblicato su Le Monde. In quest’articolo, che si oppone al boicottaggio culturale dell’establishment israeliano, egli dichiara: “Delle male lingue diranno che questa politica culturale serve da alibi, mirando a dare del paese l'immagine di una democrazia illuminata, una posizione che maschera il suo vero atteggiamento repressivo verso i Palestinesi. Ammettiamolo. Ma io preferisco francamente questa politica culturale alla situazione esistente in molti paesi della regione dove non si possono proprio fare film politici e certo non con l’aiuto dello Stato”. Su questo punto, devo ringraziare il vostro organizzatore M. Schweitzer
per la sua ingenua sincerità e per le sue argomentazioni settarie che mi hanno permesso di articolare le ragioni per cui preferisco mantenere la distanza rispetto alla vostra retrospettiva e ad altri eventi simili. Infatti, come conferma M. Schweitzer, si tratta, in effetti, di celebrazioni della politica culturale israeliana e di una difesa dell'ideologia del ‘male minore’. Sia la mia storia e la mia tradizione ebraiche che le mie convinzioni e la mia etica personali mi obbligano, nelle circostanze politiche attuali – mentre le autorità delle democrazie occidentali e le loro intellighenzie hanno fatto la scelta di stare al fianco della politica criminale israeliana – a oppormi pubblicamente con questo atto fermo e non-violento all'attuale regime di apartheid che esiste oggi in Israele. Termino riprendendo le parole del mio collega ed amico, il famoso regista palestinese Michel Khleifi, che non cessa di ricordarci che la sfida che
dobbiamo affrontare, in quanto artisti e intellettuali, è quella di proseguire i nostri lavori non GRAZIE alla democrazia israeliana, ma MALGRADO essa. Per questo, sempre in modo non-violento, continuerò a oppormi, e a incitare i miei colleghi a fare lo stesso, contro il regime israeliano di apartheid e contro il "trattamento speciale" riservato nelle democrazie occidentali alla cultura israeliana ufficiale di opposizione. Augurandomi che accettiate e comprendiate la mia posizione e sperando di avere l'opportunità di mostrare il mio lavoro in altre circonstanze, con sincera gratitudine e rispetto, Eyal Sivan
Filmmaker Research Professor in Media Production School of Humanities and Social Sciences University of East London (UEL) United-Kingdom
traduzione di marianita | --- Gio 29/10/09, lorenzo_galbiati <lorenz.news at tele2.it> ha scritto:
Da: lorenzo_galbiati <lorenz.news at tele2.it> Oggetto: Re: [pace] Film Lebanon A: pace at peacelink.it, conflitti at peacelink.it, internazionale at www.ecn.org Data: Giovedì 29 ottobre 2009, 14:04
Non ho ancora visto Lebanon, e se posso andrò a vederlo.
Valzer con Bashir mi è sembrato un film con buone intenzioni, anche se furbo (formato molto commerciale) e ambiguo: i soldati, anche quelli graduati, sembravano all'oscuro di tutto, vittime anche loro, come se l'unico colpevole, l'unico indifferente alle vite palestinesi fosse Sharon. Se in parte i soldati possono essere stati inconsapevoli, non c'è dubbio che l'esercito si è reso responsabile dei peggiori crimini, da distribuire in modo proporzionale ai gradi.
Per quanto riguarda Lebanon e chi fa una lettura critica dell'operato di Israele, c'è sempre il rischio che questo in qualche modo lavi la coscienza dai crimini di quello stato.
Come denunciano i veri pacifisti israeliani, ossia quelli che si dichiarano apertamente anti-sionisti o non-sionisti come Halper e Warshawki, il pericolo maggiore per noi europei sono i critici moderati di Israele, quelli che presentano la faccia buona del sionismo, vedi Grossman, Oz e Yehoshua (G-O-Y per semplificare), e che sono di fatto organici alle politiche criminali di ogni governo israeliano. Sono pericolosi più loro dei fanatici razzisti alla Lieberman perchè presentano un sionismo apparentemente accettabile.
Ora, capire la linea di confine tra chi fa critiche moderate a Israele ma lo sostiene e difende nella sostanza, come G-O-Y (che secondo me vanno boicottati) e tra chi lo critica sinceramente, condannando almeno una buona parte del suo operato, sebbene senza portare la critica in profondità (alla base sostanzialmente razzista del progetto sionista), è difficile. C'è una zona grigia, tra i veri pacifisti e gente alla G-O-Y che non sempre va condannata o boicottata.
Nel caso di Lebanon, non so, per ora. Però l'appello di Pal News è scritto in un modo un po' troppo rozzo e prescrittivo.
Lorenzo
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Sent: Thursday, October 29, 2009 1:31 PM
Subject: Re: [pace] Film Lebanon
Sostengo al massimo la causa palestinese, anche contro chi l'affida alla violenza. Non ho visto Lebanon. Del film Valzer con Bashir ho dato una interpretazione diversa da quella proposta qui sotto.
Enrico Peyretti, Torino
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09 01 16 Anime di pietra
Valzer con Bashir, film di animazione, regista Ari Folman, Israele Germania Francia 2008
Uccidere uccide. Per salvarti devi uccidere la tua memoria, cioè te. Altrimenti ti azzanna nel sonno. Il sonno è lo stato di chi è indifeso. Ben a ragione ti assale nel sonno, perché la guerra è un sonno: non sei presente, sei fuori di te, e fuori da chi uccidi. In realtà, in guerra sei indifeso, come nel sonno. In guerra, la paura ti usa. Spari, spari, senza sapere perché, senza neppure mirare. Oppure mirando, quando ti sembra che la paura si incarni là. La tua arma vomita, eiacula, ma non sei mai libero. Non viene la quiete dopo questo orgasmo. Non vedi, non sai chi è colpito. Non è mai la paura, invulnerabile come Achille. Quelli che colpisci sono dietro un vetro, non sono reali, sono soltanto in fotografia. Comincia già ora l’incubo che verrà poi. Ma se i tuoi morti sono cani o cavalli, ti svegliano. Non sono terroristi, come quel bambino nel frutteto, sono più innocenti
della nostra specie, risvegliano l’uomo dal sonno della guerra. Animali pietosi che, morendo per mano nostra, ci danno un doloroso soccorso.
Questo film israeliano di animazione (ma le ultime scene sono documenti filmati) mostra la guerra israeliana in Libano, mostra la devastazione umana che ogni guerra compie anche (o soprattutto) dentro chi la fa. Se ha un’anima sensibile. L’incubo riporta all’occupazione del Libano, 1982, fino alla strage di Sabra e Chatila (o Shatila), 16-18 settembre, due giorni dopo l’uccisione del leader cristiano-falangista Bashir Gemayel, da agenti siriani. Vendetta dei falangisti sui profughi palestinesi dei due campi sigillati alla periferia di Beirut. Massacrati 450 (fonte esercito libanese), 3.500 (fonti palestinesi), 1000-1500 (Croce rossa internazionale), uomini donne bambini, naturalmente come “terroristi”. I soldati israeliani vedono dall’alto, non impediscono, Sharon è accusato di avere consentito.
Vedere questo film nei giorni del genocidio israeliano a Gaza testimonia la coscienza di Israele, la memoria dolorosa, non cancellata, che salverà Israele dal suo peggiore nemico, se stesso. È la sua classe politico-militarista ancora dirigente che esprime la cecità prodotta dall’illusione di superiorità e separatezza. Anche questo è un incubo: l’incubo della Shoah patita. La violenza subita pietrifica quanto la violenza inflitta, dice Simone Weil. Perciò l’anima pietrificata nazista è ancora operante. E la vendetta pietrosa e pietrificante è all’opera nel mondo, nei molti fondamentalismi (meglio: assolutismi, perché non accettano la relazione). Ma questo film pregevole vuole anche dire che ogni incubo si può elaborare, si può curare. E comunque si deve affrontare. Questa parte di Israele lo affronta.
Enrico Peyretti, 16 gennaio 2009
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----- Original Message -----
Sent: Thursday, October 29, 2009 1:10 PM
Subject: [pace] Film Lebanon
LE MENZOGNE DI LEBANON
Un film razzista
A pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto Goldstone, da parte del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, che documenta le violazioni del diritto internazionale, i crimini di guerra e contro l’umanità commessi dall’esercito israeliano durante il massacro di Gaza (dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 ci sono stati oltre 1400 morti, tra i quali centinaia bambini), esce nelle sale LEBANON, di Samuel Maoz, Leone d’Oro a Venezia.
Al film ha contribuito l’Israel Film Fund, l’ente nazionale per il cinema, che continua la politica tesa a mostrare al mondo il volto umano e tormentato di Israele: uno stato che da 60 anni occupa illegalmente i territori palestinesi, discrimina i suoi cittadini in base all’etnia, impedisce il diritto al ritorno nella loro terra dei palestinesi cacciati da una pulizia etnica che prosegue tuttora, con il genocidio a Gaza, con uccisioni mirate, insediamenti illegali, imprigionamenti, distruzione e sottrazione delle risorse economiche e il Muro dell’aparheid, in tutta la Palestina.
LEBANON non è il primo film israeliano che compatisce, deresponsabilizza e, infine, assolve i massacratori, ieri in Libano oggi a Gaza. Valzer con Bashir ne è un altro esempio.
LEBANON è un film razzista: il 6 giugno 1982 inizia l’invasione israeliana del Libano. Dopo le immagini di un campo di girasoli maturi, la scena si sposta all’interno del carro armato, dove fanno la loro parte nella guerra quattro giovani soldati, ignari, perché probabilmente distratti a scuola.
Come il loro comandante, un duro dal cuore tenero, sono belli, umani, sensibili fino alle lacrime, affettuosi e rispettosi della famiglia.
Almeno quanto gli altri, nemici o alleati, sono brutti, disumani, insensibili: il guerrigliero, con tanto di kefiah, usa addirittura una famigliola come scudo umano (mentre il rapporto Goldstone sui crimini di guerra e umanitari a Gaza denunciare l’uso di scudi umani da parte di Israele.)
Compiuto il loro dovere, con perdite limitate (mentre l’invasione lasciò sul terreno 19.085 morti libanesi) il carro armato si ritrova nel campo di girasoli: e una scritta recita “gli uomini sono d’acciaio, i carri armati sono ferraglia”.
LEBANON è un film brutto: dopo l’originale scenografia claustrofobica, non si risparmia nulla: dall’allevatore di polli colpito dal fuoco israeliano che, rimasto senza due gambe e un braccio, continua a gridare “pace”, alle lacrime dell’asino squarciato, alla donna usata come scudo umano che, con le vesti incendiate dal fosforo, viene prima denudata (per salvarla) poi ricoperta e accarezzata da chi le ha appena ucciso il marito e la bambina. Non è solo pacifismo grossalano, è solo un brutto film, che oscilla, senza decidersi, fra il sentimentale e il grottesco.
Come spiegare la vittoria a Venezia se non con il piano del governo israeliano di recuperare una immagine dopo la feroce aggressione contro la popolazione inerme di Gaza? Il documentario, altrettanto razzista Amos Oz: la natura dei sogni presentato al festivaletteratura di Mantova ne è la clamorosa conferma.
La misura del livello morale e intellettuale del regista Samuel Maoz, reduce dall’invasione del Libano del 1982, come Ari Folman regista di “Valzer con Bashir”, basta questa dichiarazione:
“…Comunque per fare la pace in Medio Oriente il migliore era Clinton. Anzi, secondo me, sarebbe bene che Obama guardasse un po’ di filmati su Clinton per capire come comportarsi.… in Israele Clinton resta il più amato e anche gli arabi lo preferiscono... forse c’entra la storia della Levinsky. In America hanno gridato allo scandalo, in Europa non è stato così. Anzi, quell’episodio fa parte del suo fascino, vederlo mentire senza battere ciglio, come un qualunque marito, gli ha fatto guadagnare simpatie”.
PER QUESTI MOTIVI NON CONSIGLIATE AI NOSTRI AMICI DI VEDERE QUESTO FILM.
LE VERITÀ SU “PACE IN GALILEA”
L’operazione “pace in Galilea”, nome in codice della seconda invasione del Libano del 1982 da parte di Israele, vede le truppe israeliane arrivare fino a Beirut, la capitale libanese, teatro di un assedio che durerà quasi tre mesi. L'eliminazione senza mezzi termini di un movimento nazionale tanto radicato nella popolazione palestinese come l'OLP, che gode di un ampio sostegno da parte di vasti settori della popolazione libanese, richiedeva una campagna militare di una portata e di una violenza senza precedenti, che si realizza scatenando la potenza di fuoco israeliana contro i campi-profughi palestinesi, definiti «focolai del terrorismo», e contro le città e i villaggi libanesi. L’altro obiettivo era
l’occupazione di territorio libanese.
Le testimonianze di alcuni soldati israeliani, veterani della guerra del Libano raccolte da Irit Gal e Ilana Hammerman per il loro libro, De Beyrouth à Jenin [Da Beirut a Jenin], La Fabrique 2003, narrano l'orrore di questa guerra di eliminazione. Ouri Schwartzman, sergente riservista in servizio sui carri armati, ricorda: «Il mio primo shock è stato l'entrata a Tiro. Niente può prepararti a entrare in una città bombardata e piena di civili. Gli aerei e la marina avevano bombardato la città prima del nostro arrivo. Quando sono giunte le forze di terra, la città era in fiamme. Si vedevano strade che andavano a fuoco come in un film catastrofe, e automobili polverizzate; nell'aria aleggiava un odore di carne bruciata che
impregnava tutto; qua e là, gruppetti di civili vagavano senza meta, in stato confusionale, in quell’incomprensibile desolazione [ ... ]. Non so se qualcuno abbia mai fatto il calcolo delle vittime di Tiro e di Sidone, ma mi ricordo che, dopo la guerra, un ministro ha affermato che il numero delle vittime era stato sovrastimato, che probabilmente erano solo 3000. Sono inorridito nel sentire tale cifra: uccidere 3000 civili è un crimine, un crimine spaventoso!».
Qualche giorno dopo, il sergente Schwartzman è alle porte della capitale: «Il bombardamento di Beirut era impreciso, non selettivo, selvaggio. Le granate dell'artiglieria si abbattevano senza tregua. Una batteria di artiglieria pesante situata poco dietro di noi sparava senza sosta. [ ... ] Nessuno dei politici responsabili di quanto accaduto a Tiro, a Sidone, a Damur o a Beirut ne ha pagato il prezzo. E in questo caso non si può neanche dire, come per Sabra e Chatila*, che sono state le falangi a compiere i massacri di Tiro, di Sidone, di Damur e di Beirut; siamo stati noi a uccidere i civili»
L'operazione «pace in Galilea» si concluse con 19.085 morti, 31.915 feriti, 2202 invalidi e circa mezzo milione di profughi e con la devastazione dell'economia libanese.
Il carro armato di Lebanon è il simbolo di Israele, una società militarizzata dominata da un complesso culturale-militare-industriale, votato alla guerra contro popolazioni civili.
Un paese che dall’11 settembre ha ricavato prodotto enormi profitti con l’industria della “sicurezza”, diventando leader nella progettazione e nella produzione di sistemi di controllo delle popolazioni civili. Un paese che possiede, senza alcun controllo, oltre 200 testate nucleari con le quali può controllare e minacciare i paesi del Mediterraneo e non solo.
* Sabra e Shatila sono due campi profughi alla periferia di Beirut dove furono massacrati, tra il 16 e 18 settembre del 1982, dalle milizie cristiane libanesi in un'area direttamente controllata dall'esercito israeliano,. più di 3.000 palestinesi, uomini, donne e bambini. QUESTO VOLANTINO E' PRODOTTO NEL QUADRO DELLA CAMPAGNA DI BOICOTTAGGIO ACCADEMICO E CULTURALE DI ISRAELE, seguendo un appello palestinese al boicottaggio accademico e culturale. Per saperne di più sull’appello BDS, sul boicottaggio accademico e culturale di Israele e sull’ISM – Italia consulta il sito:
http://sites.google.com/site/italyism e i siti www.bdsmovement.net, www.pacbi.org, www.boicottaisraele.it. -- Palestina News - voce di ISM (International Solidarity Movement) Italia http://www.ism-italia.it
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