Il Giornale, 29 dicembre
2008Le immagini più significative della guerra in corso
ieri si sono viste sul confine fra Gaza e l’Egitto, con tutta la
tessitura degli arabeschi che il Medio Oriente è in grado di
comporre. I soldati egiziani sorvegliano la frontiera col fucile
impugnato da Rafiah lungo lo Tzir Philadelphi; dalle ore della tarda
mattinata si svolge l’assedio dei palestinesi che vogliono passare
di là dal confine mentre i soldati dall’altra parte hanno l’ordine
di impedire comunque alla marea integralista di penetrare nel Paese
di Mubarak, il moderato; poco più in là, la paradossale scena dei
camion pieni di aiuti umanitari e le ambulanze, che sono i
palestinesi a non lasciar passare mentre gridano agli egiziani:
«Lasciate entrare i vivi invece di occuparvi dei morti».
Verso le
cinque del pomeriggio, mentre il sole tramonta sul mare
Mediterraneo, entrano in scena gli F16 che sfrecciano veloci e in
quattro minuti distruggono 40 tunnel sotto il confine. Pare che
fossero i più importanti tra i 600 scavati per trasportare dentro
Gaza merci di qualsiasi genere dall’Egitto, quelli che hanno
rimpinzato Gaza di missili. Ma ieri di missili, contro ogni
previsione, non ne sono piovuti molti, e la popolazione del sud di
Israele ha passato una giornata relativamente tranquilla: segno che
gli obiettivi colpiti dall’aviazione sono stati scelti con una
operazione di intelligence precisa, e che le strutture di Hamas
stentano a riaversi da un’operazione paragonata qui in Israele a
quella che nel 1967 colpì a terra i Mig egiziani.
L’esercito
israeliano sostiene di aver colpito il 50% delle risorse belliche di
Hamas, missili, depositi di dinamite e simili. E Hamas preferisce
per ora giocare il ruolo della vittima, seguitare a segnalare,
almeno per un po’, che Israele seguita ad agire in modo
«sproporzionato». Ma è il mondo arabo per primo a essere
contraddittorio di fronte alla vittimizzazione di Hamas, e in primis
l’Egitto e gli stessi fratelli palestinesi guidati da Abu Mazen:
quest’ultimo ha detto dal Cairo di aver avvertito Hamas che le sue
azioni avrebbero portato all’attacco di Israele. Insomma, gliene ha
attribuito la responsabilità. Aggiungendo le accuse per le decine di
miliziani di Fatah prigionieri di Hamas e morti nelle carceri
bombardate dagli israeliani: la strage avrebbe potuto essere evitata
se fossero stati liberati per tempo. Anche gli egiziani si sono
mossi con ambiguità tra la dimostrazione di solidarietà con i
palestinesi e la disapprovazione nei confronti della incomprensibile
politica di Hamas, che ha portato la sua popolazione alla situazione
attuale. Da Sana in Yemen, a molte città e villaggi mediorientali
inclusi quelli della West bank e nella stessa Gerusalemme est, fino
a Teheran, dove Khamenei ha chiesto a tutti i musulmani di
combattere per Gaza «in tutti i modi possibili», fino a Beirut dove
i manifestanti convocati dagli Hezbollah gridavano slogan in cui il
nome di Mubarak faceva rima con Ehud Barak, fino a Amman dove i
Fratelli Mussulmani hanno sfilato con slogan furiosi, fino a Damasco
dove Masha’al chiede un’Intifada militare di tutto il mondo arabo,
si è manifestata la solita furia antisraeliana ma stavolta anche
antiegiziana e anti Fatah. Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha
parlato con i soliti toni di odio, esortando i suoi uomini ad essere
pronti a difendersi. Ma, furbescamente, senza invitarli ad attaccare
il mostro sionista.
E’ la prima volta che i moderati si vedono
schiacciati nella loro realtà, che non possono sventolare la solita
bandiera di odio contro Israele. Hamas li ha inchiodati. Ed è logico
vista la crescita verticale dell’estremismo islamico in Medio
Oriente. Avevamo già scritto di una segreta richiesta araba
«moderata» a Israele di farla finita con Hamas visto come un
emissario incendiario dell’Iran, deciso a distruggere ogni
equilibrio mediorientale. L’Egitto, che ha a lungo tentato la tregua
fra Fatah e Hamas, si è adontato oltre misura che Hamas abbia
disertato la riunione di novembre al Cairo, sicuramente su richiesta
iraniana. Nel frattempo Hamas cerca nuove sponde: da Gaza City,
scavalcando la leadership di Damasco, sono partite molte telefonate
da parte di Ismail Haniyeh al re del Bahrein e ai governanti del
Qatar. Ma Hamas può restare molto danneggiato dalla rottura con
l’Egitto: sono in programma importanti accordi economici che
sembrano molto lontani dalla ringhiosa realtà attuale. Di sicuro
ora, dopo i fatti di Gaza, tutto il mondo arabo dovrà fare i conti
con la nuova dimostrazione di deterrenza militare israeliana, che
dopo la guerra con gli Hezbollah del 2006 e per via
dell’atteggiamento di attesa scelto dai vertici israeliani sembrava
assai diminuita. Adesso tutti i vicini, compreso l’Iran, sanno che
l’esercito israeliano è quello di un tempo quando decide, come dice
Tzipi Livni «enough is enough».