CORRIERE DELLA SERA- Antonio Ferrari: " I disperati della Striscia
e le mire dell'Iran "
Nessuno sa dire quando si esaurirà la rappresaglia di Israele contro gli
estremisti islamici palestinesi, decisa in risposta alla pioggia di missili
Qassam sulle città più esposte dello Stato ebraico. Il mondo è impressionato
dalla devastante durezza degli attacchi aerei, che non risparmiano vittime
civili.Ma il mondo forse sottovaluta il nefasto potenziale offensivo di Hamas,
sempre meno partito politico e sempre più organizzazione terroristica, che ora
minaccia una nuova campagna di attentati suicidi; sempre meno preoccupata per i
problemi del popolo palestinese e per le quotidiane sofferenze degli abitanti di
Gaza, e sempre più espressione di ciniche volontà esterne ai suoi confini, in
particolare delle mire espansionistiche e aggressive degli ayatollah sciiti di
Teheran.
Se le emozioni, accese dalle immagini dei bombardamenti e dalle
conseguenze su una popolazione stremata proprio a causa della feroce ostinazione
di Hamas, si intensificano, non si possono sottovalutare né dimenticare le
ragioni di quanto sta accadendo. La tracotanza degli estremisti islamici ha
sfibrato il legittimo potere istituzionale dei palestinesi laici, guidati da Abu
Mazen. Al punto che le elezioni presidenziali, che si sarebbero dovute tenere il
9 gennaio, alla scadenza naturale del mandato, sono state rinviate sine die. Non
esistono infatti le condizioni perché il popolo della Palestina possa esprimere
democraticamente la propria volontà politica. Il voto, in questa cornice
drammatica, diventerebbe un'occasione per moltiplicare le violenze dello
scontro, ormai fatale, tra chi crede nel dialogo con la controparte israeliana,
e chi vi si oppone, pronto al ricatto terroristico.
Illuminanti non sono
soltanto le manifestazioni di sostegno ad Hamas che si stanno moltiplicando nei
campi-profughi palestinesi del Libano, ma l'atteggiamento dell'Hezbollah, punta
avanzata dell'Iran a Beirut, quindi sul Mediterraneo. Hezbollah non minaccia
soltanto Israele, ma si scaglia velenosamente contro i regimi arabi moderati,
accusandoli di tradimento. Primo obiettivo l'Egitto, che da sempre cerca
un'impossibile mediazione tra il laico Fatah e gli integralisti di Hamas,
seguito dall'Arabia Saudita e dalla Giordania. Tutto questo dimostra che il vero
obiettivo, da conseguire ad ogni costo sulla pelle dei disperati di Gaza, è la
lotta per il potere tra i baldanzosi sciiti, resi più forti dalla guerra
all'Iraq, che puntano a radicalizzare lo scontro fino alle più estreme
conseguenze, utilizzando cinicamente sia Hezbollah sia Hamas, e i sunniti, che
rappresentano la stragrande maggioranza del popolo arabo.
In attesa dei primi
passi del presidente americano Barack Obama, crescono le incognite anche sulle
elezioni israeliane, che si terranno il 10 febbraio. I sondaggi dicono che il
favorito è il leader del Likud, quindi della destra, Benjamin Netaniahu, che
prepara il grande rientro su una linea di intransigenza. In vantaggio sul
ministro degli Esteri Tzipi Livni, rappresentante del partito centrista Kadima,
fondato da Ariel Sharon. Con il leader laburista Ehud Barak, attuale ministro
della Difesa, in posizione più defilata. Ma se fra i tre protagonisti della
campagna elettorale esistevano differenze, quantomeno di metodo,
sull'atteggiamento da tenere nei confronti di Hamas, ecco che la fine della
tregua le ha cancellate. La Livni ha promesso che, se eletta, farà in modo di
rovesciare il vertice estremista che si è impossessato della striscia di Gaza. E
lo stesso Barak, partito da posizioni quasi attendiste, è passato sul fronte
della fermezza più assoluta, e ora guida l'offensiva contro gli estremisti
islamici.
Questo per dire che chiunque vinca le elezioni israeliane, il
destino di Hamas sarà quello di un regime da combattere e possibilmente da
abbattere, costi quel che costi.