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Re: risposta a mariella
- Subject: Re: risposta a mariella
- From: "chiara" <lazampas at katamail.com>
- Date: Thu, 15 May 2008 23:30:59 +0200
Caro Giuseppe,
convengo pienamente con te che la "conta" dei morti
sia un assurdo. Non credo stia qui il punto. Non intendo giustificare il lancio
dei razzi kassam sulle citta' di Sderot, ne' niente di simile. Anche se penso ci
sia differenza quando la violenza è esercitata da uno stato, dal suo esercito, e
quando proviene invece da gruppi politico-militari. Per capirci: non avrebbe la
stessa valenza se l'esercito dello stato italiano attaccasse l'Austria o se una
formazione para-militare composta da italiani compisse un attentato a
Salisburgo. Ma, ripeto, non credo stia tanto in questo il problema. Piuttosto
penso che il nocciolo della questione stia quali reali prospettive di vita (e
con vita intendo i diritti fondamentali degli esseri umani: salute, istruzione,
casa, lavoro, sviluppo economico, cultura, relazioni e...) abbia oggi una donna
o un uomo palestinese , ancor piu' se abitante nella scriscia di Gaza. Gli
ultimi decenni hanno visto trattative su trattative, accordi su accordi (si
pensi a Madrid, Oslo...), ma poi, nella realta', per la vita di una comune
persona palestinese che cosa hanno prodotto? Confisca di terre, limitazione
nella circolazione, impossibilita' di raggiungere ospedali, distruzione di case,
di campi, di alberi, impossibilita' di avere le materie prime necessarie per
poter far funzionare le strutture, per non parlare dei morti, dei feriti, dei
reclusi.
Sara' che lavoro nel campo dell'educazione, ma mi
angoscia in particolar modo il pensiero di cosa sara' di generazioni
intere cresciute nella guerra, nelle privazioni, sotto i bomabardamenti,
giornate e giornate di corpifuoco; bambine e bambini che hanno visto i loro
genitori e parenti piu' prossimi umiliati, arrestati, feriti, uccisi; bambine e
bambini che non hanno potuto vivere un'infanzia di giochi e spensieratezza; che
non hanno potuto andare regolarmente all'asilo, a scuola. E qualcosa mi
dice che tutto questo riguarda anche me, che la responsabilita' di quanto e'
avvenuto e continua ad avvenire sia anche nostra, di una comunita'
internazionale che sa solo balbettare, che manda fondi per costruire strutture e
non protesta quando queste stesse strutture vengono bombardate e
distrutte.
Si', certo, tu parli dei pacifisti israeliani. Ho
alcune amiche in Israele, che in questi anni mi hanno raccontato non solo degli
accorgimenti che prendevano per mandare i/le figli/e a scuola (accompagnarli/le
in macchina perche' non prendessero l'autobus), che mi hanno condotto per le
strade di Gerusalemme, di Haifa dicendomi "qui è scoppiata una bomba tre mesi
fa"), ma mi hanno anche fatto comprendere molto bene come la militarizzazione
crescente e costante del loro stato pesi sulla vita di tutti/e, come modifichi
il modo di pensare e di vivere e l'essenza stessa del loro paese; dove
diseguaglianze sociali e impoverimento, in continuo aumento, passino in secondo.
E' da queste donne e uomini impegnate/i per una soluzione giusta del conflitto
che viene rinnovato l'invito a criticare Israele ogni qual volta violi il
diritto internazionale: ogni giorno, visto che le risoluzioni dell'ONU restano
lettera morta. Loro per prime - penso alle donne in nero, alle donne di
Bat Shalom - hanno cominciato a criticare la politica del proprio stato;
a dichiarare "ci rifiutiamo di essere nemiche", rivolto non solo alle/ai
palestinesi, ma principalmente alle loro istituzioni. A pensare, quindi, un
altro modo per affrontare il conflitto. Anche in nome loro mi sento in dovere di
praticare questa critica.
Chiara C.
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