Donne e islam, la lezione curda
IL CASO. Il Kurdistan iracheno sta per varare la prima legge del Medio
Oriente contro le mutilazioni genitali femminili. Parla la
promotrice
DI LORENZO
FAZZINI L’ Iraq non è solo
il Paese delle autobombe e degli attentati, degli sgozzatori integralisti
o della minoranza cristiana perseguitata dal terrorismo islamico. Dall’ex
feudo di Saddam Hussein arriva anche una testimonianza 'rosa' che può fare
scuola in tutto il Medio Oriente: a breve il parlamento del Kurdistan
iracheno di Erbil, la regione autonoma nel nord del Paese, dovrebbe
approvare una legge contro le mutilazioni genitali femminili. In suo
favore si sono già pronunciati sessantotto deputati sui centoventi che
compongono l’aula legislativa del Kurdistan iracheno, visto che hanno
apposto la loro firma in calce alla proposta di legge presentata
dall’onorevole locale Pakhshan Zangana che sanziona questa vergognosa
lesione della dignità della donna. Quando, alla ripresa delle riunioni
parlamentari a Erbil a marzo, tale normativa taglierà positivamente il
traguardo, essa diverrà la prima legge di questo tipo in tutto il Medio
Oriente. Già, perché tale triste prassi non è diffusa solo in Africa ma è
pure presente in diversi stati del Vicino Oriente: Yemen, Arabia Saudita,
Giordania e lo stesso Iraq sono i Paesi più colpiti dal turpe fenomeno di
sfregio della dignità femminile. A dimostrarlo c’è un’indagine della Ong
tedesca Wadi, realizzata tre anni fa in trentanove villaggi della regione
di Germian, a est della città di Kirkuk (Iraq settentrionale).
Sono state intervistate in forma anonima 1.554 donne; dalla loro voce si è
scoperto che il sessanta per cento di esse è stato
sottoposto a tale penosa limitazione corporale, attuata per 'preservare' a
forza l’integrità sessuale della ragazza e della donna. Con costi umani
tremendi, denunciano gli attivisti di Wadi: «Molte ragazze perdono sangue
fino a morire o muoiono per infezioni contratte nell’operazione. Quelle
che sopravvivono possono soffrire di conseguenze di salute durante il loro
matrimonio o nel periodo della gravidanza». L’indagine ha evidenziato che
la prassi interessa parimenti la comunità araba, quella turca e quella
curda nel nord Iraq. L’iter legislativo anti-Fgm (Female Genital
Mutilation, come da terminologia inglese) è iniziato con una campagna di
sensibilizzazione portata avanti da gruppi a difesa delle
donne, Ong, associazioni per i diritti umani, che nel 2007 hanno lanciato
una petizione denominata 'Stop Fgm in Kurdistan'. In poche settimane tale
movimento ha raccolto quattordicimila firme di
adesione; un convegno nell’aprile scorso ha steso una proposta legislativa
che Pakhshan Zangana, esponente del Partito Comunista Iracheno, ha fatto
propria: il 3 dicembre scorso il parlamento di Erbil l’ha adottata in
prima lettura, ora si aspetta il via libera definitivo, che potrebbe
arrivare già nei primi giorni del mese prossimo, visto che a febbraio il
parlamento curdo è stato chiuso per vacanze. «Sarebbe bello
che
l’approvazione avvenisse il giorno della donna, l’8 marzo – spiega
ad
Avvenire la Zangana dal suo ufficio di
Erbil –. Sono fiduciosa e penso che ci sarà il via libera definitivo». Il
problema delle mutilazioni genitali, continua l’esponente politica – di
cui si è interessato anche il magazine americano
Time – «non riguarda tutto il
Kurdistan: nel nord è meno presente, mentre nel centro e nel sud è più
diffuso: sinceramente non so spiegarmi il perché visto che non è una
pratica legata alla nostra tradizione curda». Questa situazione ha spinto
la Zangana, laureata in Fisica e in Scienze sociali a Baghdad, da tempo
attiva sul fronte della difesa delle donne, ad impegnarsi in prima persona
per far adottare il provvedimento: «È molto importante che questa norma
riceva l’approvazione del parlamento, ma non è sufficiente per vincere la
piaga delle mutilazioni verso le bambine e le donne: è necessario fare
opinione tra la gente per spiegare che tale prassi è
sbagliata». Il provvedimento in dirittura d’arrivo a Erbil prevede multe e
anche il carcere per chi esegue pratiche di mutilazioni sugli organi
sessuali delle bambine e ragazzine, in particolare se tale intervento
comporta malattie o disfunzioni di salute nei soggetti
interessati. «Ci sono alcune resistenze di fronte a questa legge
– ammette la Zangana – che arrivano da certi ambienti conservatori della
società curda. Si sostiene che non c’è bisogno di una legge e che il
fenomeno delle amputazioni si può fermare anche solo informando la
gente. Io penso invece che una norma sia necessaria e che faccia
parte della giusta battaglia contro le violenze nei confronti delle
donne». Pakhshan Zangana:
«Sarebbe bello che l’approvazione avvenisse l’8 marzo. Ma le leggi non
bastano: è necessario lavorare tra la gente per spiegare che la prassi è
sbagliata» Le indagini dell’Ong «Wadi»
denunciano che il sessanta per cento delle giovani curde ha subito la
pericolosa pratica, nonostante sia sempre stata estranea alle tradizioni
locali |
DI LORENZO
FAZZINI L’ Iraq non è solo
il Paese delle autobombe e degli attentati, degli sgozzatori integralisti
o della minoranza cristiana perseguitata dal terrorismo islamico. Dall’ex
feudo di Saddam Hussein arriva anche una testimonianza 'rosa' che può fare
scuola in tutto il Medio Oriente: a breve il parlamento del Kurdistan
iracheno di Erbil, la regione autonoma nel nord del Paese, dovrebbe
approvare una legge contro le mutilazioni genitali femminili. In suo
favore si sono già pronunciati sessantotto deputati sui centoventi che
compongono l’aula legislativa del Kurdistan iracheno, visto che hanno
apposto la loro firma in calce alla proposta di legge presentata
dall’onorevole locale Pakhshan Zangana che sanziona questa vergognosa
lesione della dignità della donna. Quando, alla ripresa delle riunioni
parlamentari a Erbil a marzo, tale normativa taglierà positivamente il
traguardo, essa diverrà la prima legge di questo tipo in tutto il Medio
Oriente. Già, perché tale triste prassi non è diffusa solo in Africa ma è
pure presente in diversi stati del Vicino Oriente: Yemen, Arabia Saudita,
Giordania e lo stesso Iraq sono i Paesi più colpiti dal turpe fenomeno di
sfregio della dignità femminile. A dimostrarlo c’è un’indagine della Ong
tedesca Wadi, realizzata tre anni fa in trentanove villaggi della regione
di Germian, a est della città di Kirkuk (Iraq settentrionale).
Sono state intervistate in forma anonima 1.554 donne; dalla loro voce si è
scoperto che il sessanta per cento di esse è stato
sottoposto a tale penosa limitazione corporale, attuata per 'preservare' a
forza l’integrità sessuale della ragazza e della donna. Con costi umani
tremendi, denunciano gli attivisti di Wadi: «Molte ragazze perdono sangue
fino a morire o muoiono per infezioni contratte nell’operazione. Quelle
che sopravvivono possono soffrire di conseguenze di salute durante il loro
matrimonio o nel periodo della gravidanza». L’indagine ha evidenziato che
la prassi interessa parimenti la comunità araba, quella turca e quella
curda nel nord Iraq. L’iter legislativo anti-Fgm (Female Genital
Mutilation, come da terminologia inglese) è iniziato con una campagna di
sensibilizzazione portata avanti da gruppi a difesa delle
donne, Ong, associazioni per i diritti umani, che nel 2007 hanno lanciato
una petizione denominata 'Stop Fgm in Kurdistan'. In poche settimane tale
movimento ha raccolto quattordicimila firme di
adesione; un convegno nell’aprile scorso ha steso una proposta legislativa
che Pakhshan Zangana, esponente del Partito Comunista Iracheno, ha fatto
propria: il 3 dicembre scorso il parlamento di Erbil l’ha adottata in
prima lettura, ora si aspetta il via libera definitivo, che potrebbe
arrivare già nei primi giorni del mese prossimo, visto che a febbraio il
parlamento curdo è stato chiuso per vacanze. «Sarebbe bello
che
l’approvazione avvenisse il giorno della donna, l’8 marzo – spiega
ad
Avvenire la Zangana dal suo ufficio di
Erbil –. Sono fiduciosa e penso che ci sarà il via libera definitivo». Il
problema delle mutilazioni genitali, continua l’esponente politica – di
cui si è interessato anche il magazine americano
Time – «non riguarda tutto il
Kurdistan: nel nord è meno presente, mentre nel centro e nel sud è più
diffuso: sinceramente non so spiegarmi il perché visto che non è una
pratica legata alla nostra tradizione curda». Questa situazione ha spinto
la Zangana, laureata in Fisica e in Scienze sociali a Baghdad, da tempo
attiva sul fronte della difesa delle donne, ad impegnarsi in prima persona
per far adottare il provvedimento: «È molto importante che questa norma
riceva l’approvazione del parlamento, ma non è sufficiente per vincere la
piaga delle mutilazioni verso le bambine e le donne: è necessario fare
opinione tra la gente per spiegare che tale prassi è
sbagliata». Il provvedimento in dirittura d’arrivo a Erbil prevede multe e
anche il carcere per chi esegue pratiche di mutilazioni sugli organi
sessuali delle bambine e ragazzine, in particolare se tale intervento
comporta malattie o disfunzioni di salute nei soggetti
interessati. «Ci sono alcune resistenze di fronte a questa legge
– ammette la Zangana – che arrivano da certi ambienti conservatori della
società curda. Si sostiene che non c’è bisogno di una legge e che il
fenomeno delle amputazioni si può fermare anche solo informando la
gente. Io penso invece che una norma sia necessaria e che faccia
parte della giusta battaglia contro le violenze nei confronti delle
donne». Pakhshan Zangana:
«Sarebbe bello che l’approvazione avvenisse l’8 marzo. Ma le leggi non
bastano: è necessario lavorare tra la gente per spiegare che la prassi è
sbagliata» Le indagini dell’Ong «Wadi»
denunciano che il sessanta per cento delle giovani curde ha subito la
pericolosa pratica, nonostante sia sempre stata estranea alle tradizioni
locali
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