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ROMA
— È l’unica pachistana che scrive per un giornale italiano. Il 16
febbraio scorso ha ricevuto una minaccia di morte tramite una lettera in
urdu: «Alla prima occasione ti taglieremo la gola e ti taglieremo anche la
lingua, se non interrompi la tua attività ». Cioè l’impegno culturale e
sociale a favore dell’emancipazione delle donne e dell’integrazione dei
bambini. Ma lei, Nosheen Ilyas, da sei anni residente a Carpi, ha
denunciato tutto e non si è lasciata intimidire. Corre subito il parallelo
con Hina Saleem, la ragazza pachistana sgozzata dal padre lo scorso 11
agosto in provincia di Brescia, «colpevole» di essersi integrata nella
società italiana, di aver rotto i rapporti con la famiglia, di vestire
come le sue coetanee italiane e di avere un fidanzato italiano.
Ma la realtà di Nosheen è assai diversa.
Ventiquattro anni, veste alla pachistana («Sono innamorata dei nostri
colori e poi penso: se già ora ricevo delle minacce, che cosa accadrebbe
se vestissi all’occidentale? »), è legata alla famiglia e alla sua
tradizione («Il papà che è metalmeccanico, lamammache fa la casalinga, i
miei 4 fratelli e la mia sorella mi sostengono emi incoraggiano ad andare
avanti»), si è fidanzata con un cugino di primo grado che studia
all’università di Lahore e non è mai stato in Italia («Ammetto che al 20%
è un matrimonio combinato, ma all’80% è una scelta d’amore. Mi sono
trovata bene con lui. Io sono una donna moderna e anche lui e i suoi
genitori lo sono. Ma ci sposeremo solo tra tre anni, quando tutti e due ci
saremo sistemati e resteremo a vivere qui»).
Quindi se Hina è stata tragicamente un’infelice
rivoluzionaria, Nosheen ha una vocazione riformatrice. Ma è una
riformatrice tenace, che non scende a patti con quelli che lei definisce i
«pachistani ignoranti». Come «quelli che abitano al piano inferiore del
nostro medesimo immobile a Carpi, che mi accusano di traviare le loro
donne soltanto perché insegno loro la lingua italiana e a rendersi
autonome dai mariti quando vanno al supermercato, al Comune o in
ospedale».Ocome «quelli che la sera del 7 maggio 2005 aggredirono mio
fratello minore Iqeel, colpendolo con una bottiglia in testa, per
costringere i miei genitori a vietarmi di lavorare e di operare nel
sociale. Ma anche in quel caso abbiamo sporto denuncia dai carabinieri,
noi non ci tiriamo indietro ».
Nosheen ha sempre lavorato. Ha fatto l’operaia
e da poco ha messo su un’impresa che importa capi d’abbigliamento dal
Pakistan. Ma la sua vera passione è l’impegno culturale e sociale. Il
merito di aver scoperto la sua vena giornalistica è di Ahmad Ejaz,
direttore della rivista Azad, «libro» in urdu, diffusa tra i pachistani in
Italia. Recentemente collabora anche con la rivista Voce di Carpi. La gran
parte delle risorse e del tempo Nosheen lo dedica certamente alle donne.È
stata la prima ragazza straniera a entrare a far parte della Commissione
pari opportunità di Carpi.
In un suo articolo per Voce del 12 maggio
2005, Nosheen scrive a proposito dell’educazione scolastica per le
donne pachistane: «Come per gli uomini è importante andare a scuola, lo
stesso è per le donne. La donna e l’uomo sono le ruote della stessa
macchina e, se una non funziona, anche l’altra si blocca. (...) Se studia
un uomo, studia una sola persona. Se invece studia una donna è come se
studiasse un’intera famiglia perché lei potrà trasmettere la sua
conoscenza ai figli». E sempre Nosheen spiega così la sua attività di
insegnamento della lingua italiana nel Centro territoriale permanente di
Carpi: «È importante che le ragazze pachistane vadano a scuola. Solo così
riusciranno a imparare l’italiano e potranno in futuro aiutare la famiglia
o il marito, rendendosi indipendenti. Imparare la lingua è il primo passo
da fare, il più importante. In questo modo possono risolvere autonomamente
i tanti piccoli problemi quotidiani come il medico, la spesa o la cucina,
senza dovere aspettare ogni volta che sia il marito ad accompagnarle».
La storia di Nosheen ci insegna che gli estremisti
islamici che la minacciano non saranno soddisfatti fintantoché lei non
si sarà totalmente sottomessa al loro arbitrio. Il problema vero non è lo
stile di vita italianizzato di Hina o la scelta riformatrice di Nosheen,
ma il fatto che o si è del tutto con loro o si viene condannati come
nemici dell’islam. Ugualmente la storia di Nosheen smentisce il luogo
comune secondo cui il radicalismo islamico sarebbe la conseguenza di una
condizione di emarginazione sociale ed economica, perché proprio nell’area
rossa e ricca dell’Emilia, tra Reggio, Sassuolo, Modena e Carpi, si è
radicato il potere e s’intensifica l’attività dei gruppi del Minhaj-Ul
Quran, che dispongono di 17 moschee e madrasa in Italia e sono ostili
all’emancipazione della donna; dei Tabligh che predicano il califfato
islamico e lo scorso aprile radunarono allo stadio di Bologna circa 8 mila
adepti provenienti da tutt’Europa; così come proprio a Carpi il 18 ottobre
scorso furono arrestati 5 dei 7 narcotrafficanti pachistani coinvolti
nell’operazione «Khiber pass», individuando una «filiera bancaria
islamica» con una ramificazione internazionale, in grado di gestire dai 2
ai 4 milioni di dollari al giorno. Tutto ciò avviene nel contesto di
un’Italia che non ha un modello di convivenza sociale che tuteli il
sistema di valori che sostanziano la nostra identità nazionale, che non è
in grado di proteggere le donne straniere emancipate e coraggiose come
Hina o Nosheen, che mostra indifferenza se non collusione con la
penetrazione strisciante e crescente degli estremisti islamici.
Magdi Allam