Minacce a Nosheen, aiuta le pachistane a studiare



Minacce a Nosheen, aiuta le pachistane a studiare
Magdi Allam (musulmano), Corriere della sera
 
Due anni fa aggredirono il fratello, ora ha ricevuto una lettera: ti taglieremo la gola. Veste secondo la tradizione e si batte per i diritti delle donne
 
 
http://www.corriere.it/corrforum/corriere/Intro?forumid=291
ROMA — È l’unica pachistana che scrive per un giornale italiano
. Il 16 febbraio scorso ha ricevuto una minaccia di morte tramite una lettera in urdu: «Alla prima occasione ti taglieremo la gola e ti taglieremo anche la lingua, se non interrompi la tua attività ». Cioè l’impegno culturale e sociale a favore dell’emancipazione delle donne e dell’integrazione dei bambini. Ma lei, Nosheen Ilyas, da sei anni residente a Carpi, ha denunciato tutto e non si è lasciata intimidire. Corre subito il parallelo con Hina Saleem, la ragazza pachistana sgozzata dal padre lo scorso 11 agosto in provincia di Brescia, «colpevole» di essersi integrata nella società italiana, di aver rotto i rapporti con la famiglia, di vestire come le sue coetanee italiane e di avere un fidanzato italiano.
Ma la realtà di Nosheen è assai diversa. Ventiquattro anni, veste alla pachistana («Sono innamorata dei nostri colori e poi penso: se già ora ricevo delle minacce, che cosa accadrebbe se vestissi all’occidentale? »), è legata alla famiglia e alla sua tradizione («Il papà che è metalmeccanico, lamammache fa la casalinga, i miei 4 fratelli e la mia sorella mi sostengono emi incoraggiano ad andare avanti»), si è fidanzata con un cugino di primo grado che studia all’università di Lahore e non è mai stato in Italia («Ammetto che al 20% è un matrimonio combinato, ma all’80% è una scelta d’amore. Mi sono trovata bene con lui. Io sono una donna moderna e anche lui e i suoi genitori lo sono. Ma ci sposeremo solo tra tre anni, quando tutti e due ci saremo sistemati e resteremo a vivere qui»).
Quindi se Hina è stata tragicamente un’infelice rivoluzionaria, Nosheen ha una vocazione riformatrice. Ma è una riformatrice tenace, che non scende a patti con quelli che lei definisce i «pachistani ignoranti». Come «quelli che abitano al piano inferiore del nostro medesimo immobile a Carpi, che mi accusano di traviare le loro donne soltanto perché insegno loro la lingua italiana e a rendersi autonome dai mariti quando vanno al supermercato, al Comune o in ospedale».Ocome «quelli che la sera del 7 maggio 2005 aggredirono mio fratello minore Iqeel, colpendolo con una bottiglia in testa, per costringere i miei genitori a vietarmi di lavorare e di operare nel sociale. Ma anche in quel caso abbiamo sporto denuncia dai carabinieri, noi non ci tiriamo indietro ».
Nosheen ha sempre lavorato. Ha fatto l’operaia e da poco ha messo su un’impresa che importa capi d’abbigliamento dal Pakistan. Ma la sua vera passione è l’impegno culturale e sociale. Il merito di aver scoperto la sua vena giornalistica è di Ahmad Ejaz, direttore della rivista Azad, «libro» in urdu, diffusa tra i pachistani in Italia. Recentemente collabora anche con la rivista Voce di Carpi. La gran parte delle risorse e del tempo Nosheen lo dedica certamente alle donne.È stata la prima ragazza straniera a entrare a far parte della Commissione pari opportunità di Carpi.
In un suo articolo per Voce del 12 maggio 2005, Nosheen scrive a proposito dell’educazione scolastica per le donne pachistane: «Come per gli uomini è importante andare a scuola, lo stesso è per le donne. La donna e l’uomo sono le ruote della stessa macchina e, se una non funziona, anche l’altra si blocca. (...) Se studia un uomo, studia una sola persona. Se invece studia una donna è come se studiasse un’intera famiglia perché lei potrà trasmettere la sua conoscenza ai figli». E sempre Nosheen spiega così la sua attività di insegnamento della lingua italiana nel Centro territoriale permanente di Carpi: «È importante che le ragazze pachistane vadano a scuola. Solo così riusciranno a imparare l’italiano e potranno in futuro aiutare la famiglia o il marito, rendendosi indipendenti. Imparare la lingua è il primo passo da fare, il più importante. In questo modo possono risolvere autonomamente i tanti piccoli problemi quotidiani come il medico, la spesa o la cucina, senza dovere aspettare ogni volta che sia il marito ad accompagnarle».
La storia di Nosheen ci insegna che gli estremisti islamici che la minacciano non saranno soddisfatti fintantoché lei non si sarà totalmente sottomessa al loro arbitrio. Il problema vero non è lo stile di vita italianizzato di Hina o la scelta riformatrice di Nosheen, ma il fatto che o si è del tutto con loro o si viene condannati come nemici dell’islam. Ugualmente la storia di Nosheen smentisce il luogo comune secondo cui il radicalismo islamico sarebbe la conseguenza di una condizione di emarginazione sociale ed economica, perché proprio nell’area rossa e ricca dell’Emilia, tra Reggio, Sassuolo, Modena e Carpi, si è radicato il potere e s’intensifica l’attività dei gruppi del Minhaj-Ul Quran, che dispongono di 17 moschee e madrasa in Italia e sono ostili all’emancipazione della donna; dei Tabligh che predicano il califfato islamico e lo scorso aprile radunarono allo stadio di Bologna circa 8 mila adepti provenienti da tutt’Europa; così come proprio a Carpi il 18 ottobre scorso furono arrestati 5 dei 7 narcotrafficanti pachistani coinvolti nell’operazione «Khiber pass», individuando una «filiera bancaria islamica» con una ramificazione internazionale, in grado di gestire dai 2 ai 4 milioni di dollari al giorno. Tutto ciò avviene nel contesto di un’Italia che non ha un modello di convivenza sociale che tuteli il sistema di valori che sostanziano la nostra identità nazionale, che non è in grado di proteggere le donne straniere emancipate e coraggiose come Hina o Nosheen, che mostra indifferenza se non collusione con la penetrazione strisciante e crescente degli estremisti islamici.
Magdi Allam
28 febbraio 2007