Non confondere fascismo ed islam



Un quadro ideologico per la «terza guerra mondiale»

Meglio non confondere fascismo con islam

Mentre gli Stati uniti rimangono bloccati in un Iraq che affonda
nella guerra civile, l'amministrazione Bush continua a giustificare
il proprio intervento in Medioriente in nome della lotta contro
il «fascismo islamico». Tale quadro ideologico permette di mettere
nella stessa categoria movimenti diversi, da al Qaeda a Hezbollah,
passando per i Fratelli Musulmani.

Di Stefan Durand *

«Procedono per grandi concetti, grossi come denti vuoti. La legge,
il potere, il maestro, il mondo, la ribellione, la fede. Così
possono creare grottesche miscele, dualismi sommari, la legge e il
ribelle, il potere e l'angelo», Così facendo, «cancellano il lavoro
che consiste nel "formare" concetti di sottile o differenziata
articolazione, per sfuggire alle grossolane nozioni dualistiche».
Nel 1977, Gilles Deleuze denunciava quello che chiamava il «pensiero
vacuo» dei «nuovi filosofi».
Trent'anni dopo, questi pensatori, sempre «vacui» ma non più
così «nuovi», tornano all'avanguardia per diffondere in Francia,
sulla base di «grottesche miscele» il concetto vacuo di «fascismo
islamico».
Potremmo limitarci a passare oltre, se il concetto non fosse stato
utilizzato pubblicamente dal presidente degli Stati uniti George W.
Bush il 7 agosto 2006, e in occasione di altri discorsi ufficiali
americani nei quali venivano assimilate organizzazioni molto diverse
tra loro (al Qaeda, i Fratelli Musulmani, Hamas, Hezbollah...),
facendo di tali movimenti gli «eredi del nazismo e del comunismo».
La ridefinizione della «guerra al terrorismo» come «guerra contro il
fascismo islamico», e dunque l'iscrizione dei movimenti
fondamentalisti musulmani nella scia di ciò che è stato denominato
nel ventesimo secolo, senza distinzioni, i «totalitarismi», non è
affatto inconsapevole. Essa punta a rilegittimare le politiche di
guerra, e si fonda su quelle mescolanze e sul vecchio trucco
della «politica della paura».
La paternità del neologismo «islamo-fascismo» è stata rivendicata
nel settimanale neoconservatore The Weekly Standard dal giornalista
Stephen Schwartz (1), che collabora peraltro con un sito Internet
diretto da David Horowitz e molto controverso, FrontPage Magazine.
Tuttavia l'espressione non è dovuta a Schwartz, che l'ha utilizzata
per la prima volta solo nel 2001, ma allo storico Malise Ruthven,
che l'ha impiegata nel quotidiano britannico The Independent nel nel
1990 (2). E Christopher Hitchens l'ha resa popolare negli Stati
uniti: giornalista brillante, e un tempo di sinistra, si è allineato
alla guerra contro l'Iraq del presidente Bush. Probabilmente, la
comparsa dell'espressione in un discorso ufficiale del presidente è
però dovuta all'orientalista Bernard Lewis (3), consigliere della
Casa bianca animato da una forte ostilità contro l'Islam. Schwartz,
d'altronde, si considera un discepolo di Lewis.
Sulla base delle definizioni teoriche tradizionali formulate dagli
studiosi del fascismo (Hannah Arendt, Renzo De Felice, Stanley Payne
o Robert O. Paxton), ci si rende conto che nessuno dei movimenti
islamici raggruppati dal presidente Bush sotto l'espressione «islamo-
fascismo» corrisponde a quei criteri. Non che la religione sia
incompatibile con il fascismo. Se Payne ritiene che il fascismo
abbia bisogno di uno spazio secolare per svilupparsi (4), Paxton e
altri replicano che ciò vale solo per il fascismo europeo. Può
dunque ben esistere un fascismo musulmano, come del resto un
fascismo cristiano, un fascismo induista e un fascismo ebraico.
Tuttavia, i movimenti additati dall'amministrazione Bush non
rientrano in questa categoria. L'islamismo va analizzato come un
fenomeno contemporaneo, nuovo e autonomo. Alcuni elementi del
fascismo tradizionale possono certo essere rintracciati nei
movimenti fondamentalisti musulmani: la dimensione paramilitare, il
sentimento di umiliazione e il culto del capo carismatico (in misura
comunque relativa e non paragonabile con il culto del Duce o del
Führer). Ma tutte le altre dimensioni fondamentali del fascismo (il
nazionalismo, l'espansionismo, il corporativismo, la burocrazia, il
culto del corpo) sono generalmente assenti.
I movimenti islamici sono spesso transnazionali, e dunque ben
lontani dal «nazionalismo integrale» che caratterizzò i fascismi
europei degli anni Trenta. Il fascismo era, per sua natura,
imperialista ed espansionista. Sebbene cellule di al Qaeda siano
operanti in numerosi paesi e certi movimenti islamici evochino la
riconquista dell'Andalusia o della Sicilia e la restaurazione del
califfato, formazioni come Hamas e Hezbollah, per quanto discutibili
siano i loro orientamenti religiosi e alcune azioni militari (in
particolare gli attentati contro i civili), combattono contro
occupazioni territoriali.
Dal canto suo, il regime dei taliban in Afghanistan fa riferimento,
nel suo assolutismo religioso, più alle teocrazie oscurantiste del
Medioevo che ai regimi fascisti emersi nei paesi industrializzati
dopo la prima guerra mondiale.
La dimensione corporativa intrinseca al fascismo - quasi una fusione
tra lo stato, le imprese e le organizzazioni del lavoro - è
ugualmente assente nel contesto islamico (la stretta relazione tra i
commercianti del bazar e il regime in Iran non è paragonabile).
Inoltre, i movimenti islamici non sono generalmente sostenuti dal
complesso militare industriale del paese, sebbene, sempre in Iran,
l'articolazione tra lo stato religioso e la potente industria
militare potrebbe far pensare l'opposto.
Ma tale articolazione esiste anche in paesi che non si possono
considerare «fascisti», come Stati uniti, Francia o Giappone.
Disporre di uno «stato partigiano» è condizione necessaria
all'esercizio di un potere di natura fascista. I gruppi islamici
presi di mira sono per lo più organizzazioni non statali,
marginalizzate o perseguitate dal potere nei loro paesi. D'altronde,
per quanto sembri paradossale per movimenti ideologicamente
strutturati dalla religione, gli aspetti ideologici sono spesso
secondari nelle organizzazioni islamiche, mentre Raymond Aron
sottolineava il «ruolo demenziale» dell'ideologia in ogni sistema
totalitario, che secondo lui si basava sul «primato dell'ideologia»
(5).
I movimenti islamici strumentalizzano la religione e provano a farne
un'ideologia, ma non vi è la volontà di creare un «uomo nuovo», come
avvenne in Europa. Si tratta più di vecchi arcaismi religiosi o
comunitari che di un'ideologia globale e coerente. In più, il
successo popolare di tali movimenti dipende da fattori diversi
dall'ideologia. Per esempio, il voto di Hamas non riflette
un'adesione del popolo palestinese al suo discorso religioso, ma è
soprattutto il risultato di un voto di protesta contro la corruzione
di Fatah. In Libano, sono numerosi i sostenitori di Hezbollah che
però non ne sottoscrivono l'ideologia islamica. E gli intellettuali
che appoggiano questi movimenti, in generale, lo fanno malgrado la
loro ideologia, non per adesione all'islamismo.
Al contrario, il fascismo e il nazismo, in quanto ideologie,
sedussero migliaia di intellettuali, anche molto importanti.
Al Qaeda, per esempio, vanta solo rari appoggi di questo tipo e la
sua ideologia, tra le più grossolane, ricorda antichi fenomeni
settari piuttosto che i regimi fascisti europei.
Il fascismo e il nazismo erano movimenti di massa, fondati sulla
politicizzazione e sul consenso delle folle, mentre le
organizzazioni islamiche, nonostante gli elementi favorevoli come la
crisi economica e l'umiliazione generalizzata, nella maggior parte
dei paesi musulmani confliggono con società civili affezionate alle
proprie libertà.
I sostenitori dei movimenti fondamentalisti musulmani in Africa
Settentrionale non sono molto più numerosi dei sostenitori
dell'estrema destra in Europa. Il movimento di al Qaeda riesce a
sedurre solo una frazione molto limitata dei musulmani. In ogni
paese musulmano, sotto dittature spesso assoggettate agli Stati
uniti, esistono società civili straordinariamente vive, non
praticanti e anti-totalitarie. Inoltre, come scrive Paxton: «Ciò che
ci impedisce di cedere alla tentazione di considerare fascisti i
movimenti islamici fondamentalisti come al Qaeda e i taliban è che
essi non sono il prodotto di una reazione contro democrazie
inefficienti.
La loro unità è più organica che meccanica, per riprendere la
celebre distinzione di Emile Durkheim (6). Soprattutto, tali
movimenti non possono "rinunciare alle istituzioni libere", poiché
non ne hanno mai avute (7)». Potremmo elencare molti altri elementi
per respingere l'analogia con il fascismo: mancano il monopolio
dell'informazione (anche in Iran o in Arabia saudita, malgrado lo
stretto controllo dei poteri religiosi, resistono aperture per far
passare il respiro di una certa libertà), il darwinismo sociale, il
dirigismo economico e la mobilitazione pianificata dell'industria,
il monopolio delle armi...
Il caso della Repubblica islamica dell'Iran è senza dubbio
problematico.
Mahmud Ahmadinejad ha l'appoggio di uno «stato partigiano»,
controlla rigidamente i media attraverso il ministero della cultura
e dell'orientamento islamico e mobilita l'economia - pianificata - e
il suo imponente complesso militare industriale. Si può dunque
parlare, in questo caso, di islamo-fascismo? Non proprio, perché i
contro-poteri rimangono numerosi e la società civile vigile. Il
presidente iraniano deve consultarsi con il Majlis (il parlamento) e
gli ci sono voluti molti mesi per ottenere dal Majlis la conferma di
alcuni ministri. La carica più importante dello stato iraniano,
la «guida suprema», l'ayatollah Ali Khamenei, ha sottoposto le
decisioni del governo di Ahmadinejad al parere favorevole del
Consiglio del riesame, presieduto da Hashemi Rafsanjani, il
candidato sconfitto da Ahmadinejad alle elezioni presidenziali.
Ahmadinejad deve anche confrontarsi con l'ex-presidente,
il «riformatore» Mohammad Khatami, che conserva una notevole
popolarità. L'editorialista Tzvi Barel afferma su Haaretz che le
invettive anti-israeliane del presidente iraniano «si spiegano con
le tensioni ideologiche e i rapporti di forza interni della
Repubblica islamica» (8). Infine, il «populista» Ahmadinejad non
riesce a conquistare le élite del paese, e una gran parte della
società civile iraniana è determinata a combattere il potere degli
ultraconservatori.
Se il termine generico di «islamo-fascismo» sembra incongruo, ciò
non significa che un'impronta fascista sia assente dal contesto
islamico.
Il mondo arabo e musulmano conta un numero considerevole di
dittature e di regimi autoritari che potrebbero considerarsi
fascisti, spesso alleati degli Stati uniti nella loro «guerra
mondiale al terrorismo».
I dittatori di Azerbaijan, Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan,
quattro stati musulmani, sono curiosamente risparmiati dalle
critiche americane, sebbene la natura semi-fascista di tali regimi
salti agli occhi. La monarchia saudita è in odore di santità a
Washington, nonostante il fondamentalismo e l'oscurantismo
religioso, l'appoggio a movimenti islamici radicali e il suo
estremismo. Il sostegno alla politica estera americana sembra dunque
scusare ogni deriva autocratica e fascisteggiante. Perdonato dalle
cancellerie occidentali dopo aver rinnegato il suo turbolento
passato su richiesta di Washington, il colonnello Muammar Gheddafi
ha festeggiato il trentasettesimo anniversario del suo arrivo al
potere invocando la morte dei suoi oppositori, senza alcuna protesta
in occidente (9).
Era giustificato il termine «fascista» in riferimento alla dittatura
del presidente Saddam Hussein, dei Baathisti e dei loro mukhabarat
(servizi segreti) in Iraq? Senza dubbio. Il regime di Hussein era
ultranazionalista, si fondava su uno smisurato culto del capo, non
distingueva tra la sfera pubblica e quella privata e inoltre
conduceva politiche espansionistiche. Nel corso di una conferenza in
Kuwait nel 1987, Edward W. Said aveva avvertito i governanti del
Golfo: «Continuando a sostenere finanziariamente Saddam Hussein vi
rendete complici di questo fascismo arabo, di cui finirete per
essere le prime vittime». Solo il 2 agosto 1990, dopo l'invasione
del loro paese, i dirigenti kuwaitiani lo compresero.
L'ipocrisia è ancor più evidente se si pensa che quelli oggi sono
considerati «islamo-fascisti», in particolare i neotaliban afgani,
negli anni Ottanta, durante la lotta contro i sovietici, a
Washington erano incensati come «equivalenti morali» dei Padri
fondatori degli Stati uniti (10). I Fratelli Musulmani egiziani sono
stati aiutati molto generosamente dai servizi segreti britannici e
americani. E il governo israeliano ha favorito i Fratelli Musulmani
in Palestina (prima della nascita di Hamas) per arginare il potere
di Fatah, dei marxisti e dell'Organizzazione di liberazione della
Palestina.
Si può dunque criticare con forza alcuni movimenti oscurantisti e
fanatici che, nel mondo musulmano, ricorrono al terrorismo, ma senza
per questo utilizzare termini provocatori e datati
come «nazislamismo» o «islamo-fascismo», che stigmatizzano intere
popolazioni stabilendo una relazione diretta tra la loro religione e
i movimenti estremisti che l'hanno strumentalizzata per obiettivi
politici. Respingere una definizione disonesta non significa affatto
assolvere i crimini degli islamisti e la loro visione del mondo. Il
brillante intellettuale pachistano Eqbal Ahmad non ha forse dato
prova di eccezionale coraggio difendendo davanti alle folle
pachistane in collera lo scrittore Salman Rushdie, minacciato di
morte da una fatwa iraniana?
Tutte queste considerazioni hanno poca importanza agli occhi dei
jacksoniani (11) e dei neoconservatori che dominano la politica
estera degli Stati uniti, per i quali l'uso
dell'espressione «fascismo islamico» è utile soprattutto per la sua
carica emotiva. Essa permette di diffondere la paura. Ebbene, in
questo consiste uno dei principali rischi. Accreditando l'idea che
l'Occidente combatta un nuovo fascismo e nuovi Hitler, si prepara
l'opinione pubblica ad accettare l'idea che la guerra può e deve
essere «preventiva». La dura risposta alla «minaccia fascista» ne è
giustificata, quali che siano le conseguenze in termini di vite
umane. «Gli Alleati hanno pur bombardato Dresda», risposero alcuni
neoconservatori a coloro che criticavano il lancio dagli F-16
israeliani di centinaia di bombe a grappolo sui quartieri civili
libanesi.
L'impulso alla «nazificazione» dell'avversario non è affatto una
novità. Periodicamente, i media occidentali scoprono un «IV Reich» e
un «nuovo Führer». A turno, Gamal Abdel Nasser, Yasser Arafat,
Slobodan Milosevic, Saddam Hussein e ora Mahmoud Ahmadinejad sono
stati paragonati a Hitler. Nasser è stato soprannominato l'«Hitler
del Nilo». Menahem Begin chiamava Arafat l'«Hitler arabo».
Oggi, il presidente iraniano e le sue filippiche negazioniste
offrono un terreno fertile alle manipolazioni dei media. È così
accaduto che il neoconservatore iraniano Amir Taheri, ex
collaboratore dello Scià, diffondesse una «notizia» secondo cui
l'Iran si appresterebbe a far portare la stella gialla agli ebrei
iraniani. Benché falsa, la notizia è finita sulla prima pagina del
quotidiano neoconservatore canadese The National Post, con il
titolo «Il IV Reich». A nulla è servito che questa informazione
fosse stata nettamente smentita dagli stessi ebrei iraniani e da
tutta la stampa. Il «colpo mediatico» è riuscito, e centinaia di
migliaia di canadesi e americani sono ormai convinti che gli ebrei
iraniani portino una stella gialla.
E ciò si rivelerebbe molto utile se gli Stati uniti decidessero di
lanciare una nuova guerra preventiva contro l'Iran...
Chi usa l'espressione «islamo-fascismo» condivide l'intenzione di
proseguire le azioni militari condotte in nome della «guerra
mondiale contro il terrorismo». Nel corso degli anni, lo storico
britannico Lewis ha diffuso l'idea secondo cui gli arabi e
gli «orientali» capiscono solo il linguaggio della forza. Gli
avrebbe giovato la lettura di Arendt, che scriveva: «Nonostante
tutte le speranze contrarie, sembra che ci sia un solo argomento che
gli arabi non riescono a capire: la forza» (12).
Unire sotto un'unica bandiera, quella islamo-fascista, decine di
movimenti disparati, spesso in conflitto gli uni con gli altri e con
obiettivi molto diversi, permette di radicare il mito di un
complotto islamico mondiale, di nascondere le questioni
geopolitiche, decisamente terrene, e dunque di non ricordare le
cause che hanno generato la nascita della maggior parte di questi
movimenti. In particolare, le occupazioni coloniali e i conflitti
territoriali, di cui solo una giusta soluzione permetterebbe di
prosciugare il terreno su cui prospera il terrorismo islamico.
Imitiamo malamente le posture churchilliane e, simmetricamente,
trattiamo da pacifisti alla «Monaco» gli oppositori a guerre assurde
quanto controproducenti. Invece di riconoscerne le ragioni, li
presentiamo come «utili idioti», moderne incarnazioni di Edouard
Daladier e di Neville Chamberlain, che firmarono nel 1938 gli
accordi di Monaco con Hitler. «Niente è peggio delle presunte
lezioni della Storia, quando essa è mal compresa e mal
interpretata», diceva Paul Valéry.


note:
* Ricercatore.

(1) Cfr. un suo articolo del 17 agosto 2006, «What
is "Islamofascism"?».

(2) 8 settembre 1990: «L'autoritarismo governativo, per non dire
l'islamo-fascismo, è la regola più che l'eccezione dal Marocco al
Pakistan».

(3) Alain Gresh, «Bernard Lewis et le gène de l'Islam», Le Monde
diplomatique, agosto 2005
(4) Perché ai suoi occhi «un fascismo religioso limiterebbe
inevitabilmente i poteri dei suoi dirigenti, non solo per il contro-
potere culturale del clero, ma anche dei precetti e dei valori
veicolati dalla religione tradizionale».

(5) Raymond Aron, Démocratie et totalitarisme, Gallimard, Parigi
1965.

(6) Per semplificare, la teoria durkheimiana oppone la «solidarietà
organica», caratterizzata dalla differenziazione e da una debole
coscienza collettiva, alla solidarietà meccanica, caratterizzata
dalle somiglianze e da una forte coscienza collettiva.

(7) Robert O. Paxton, Il fascismo in azione. Che cosa hanno
veramente fatto i movimenti fascisti per affermarsi in Europa,
Mondadori, 2005.

(8) Questo articolo è stato ripreso da Courrier international il 3
novembre 2005, col titolo «Cause toujours, Ahmadinejad».

(9) Agenzia Reuters del 31 agosto 2006. In altre epoche, questa
notizia sarebbe finita sulle prime pagine dei grandi quotidiani
americani.

(10) Per un panorama globale di tali relazioni pericolose,
soprattutto nel sud-est asiatico, si veda l'opera del professore
della Columbia University Mahmoud Mamdani, Good Muslim, Bad Muslim,
America, the Cold War and the Roots of Terror, Three Leaves
Publishing, New York, 2005.

(11) Riferendosi al presidente americano Andrew Jackson (1829-1837),
Walter Russel Mead chiama «jacksoniani» gli ultranazionalisti che
non disdegnano l'intervento oltre i propri confini ma che,
contrariamente ai neoconservatori, non si impegnano nel nation
building. Richard Cheney e Donald Rumsfeld possono essere
considerati «jacksoniani».

(12) Hannah Arendt, «Peace or armistice in the Near East?», in
Review of Politics, Notre-Dame University, Indiana, gennaio 1950.
(Traduzione di A. D'A.)  

----- Original Message -----
From: "pietro_ancona36" <pietro_ancona36 at yahoo.it>
To: <dopoprodi at yahoogroups.com>
Sent: Friday, February 16, 2007 8:27 PM
Subject: [dopoprodi] non confondere fascismo ed islam 8le monde diplomatique)