Più sono britannici e più diventano estremisti
islamici. E’ questo il «paradosso del multiculturalismo » che emerge
dallo studio dal significativo titolo «Vivere separati insieme» del centro
Policy Exchange di Londra.
Nel senso che proprio il modello sociale
basato sulla «valorizzazione delle differenze», ha partorito giovani
cittadini di fede musulmana, sia convertiti sia figli o nipoti di
immigrati, che aspirano sempre più a trasformare la Gran Bretagna in uno
Stato islamico sottomesso alla sharia, la legge coranica. L'orientamento
generale è la crescita del riferimento all'islam sul piano religioso,
ideologico e identitario. Tra i 1003 musulmani interpellati nel periodo
tra luglio 2006 e gennaio 2007 (il sondaggio è reperibile nel sito
www.policyexchange. org.uk), ben l'86% afferma che «la mia religione è la
cosa più importante della mia vita». Il 49% dice di assolvere a tutte e
cinque le preghiere quotidiane prescritte dal Corano, così come il 22%
dice di pregare almeno una o tre volte al giorno, mentre solo il 5%
confessa di non pregare affatto.
Ebbene è in questo contesto che il 37% dei giovani
musulmani, tra i 16 e i 24 anni, preferirebbe la sharia alla legge
britannica, una percentuale che si va manmano assottigliando con l'aumento
dell'età, fino a ridursi al 17% per gli adulti dai 55 anni in su.
Riferendoci sempre a queste due fasce d'età, coloro che affermano che «il
musulmano può avere quattro mogli, mentre alla musulmana è consentito solo
un marito», sono rispettivamente il 46% e il 18%. Quelli che ritengono che
il musulmano non può convertirsi a un'altra religione e che qualora lo
facesse deve essere condannato a morte, sono rispettivamente il 31% e il
19%. Ma i più giovani e i più adulti sono sostanzialmente d'accordo, con
il 61% e il 50%, nel considerare che l'omosessualità sia sbagliata e debba
essere dichiarata fuorilegge.
La tendenza autoritaria, maschilista e
misogina è ulteriormente confermata dal fatto che ben il 74% dei
musulmani tra i 16 e i 24 anni ritiene che le donne debbano portare il
velo, contro il 28% degli ultracinquantacinquenni. Sul piano ideologico e
politico, il 58% dei musulmani britannici interpellati è convinto che
«molti dei problemi del mondo contemporaneo sono il risultato
dell'atteggiamento arrogante dell'Occidente». E nell'unica domanda che
affronta specificatamente la questione del terrorismo islamico, il 7%
dichiara di «ammirare le organizzazioni come Al Qaeda che sono pronte a
combattere l'Occidente».
Questo sondaggio trova riscontro nel
documentario trasmesso recentemente da Channel Four, dal titolo
«Moschea sotto copertura», che illustra le farneticazioni dei predicatori
nelle principali moschee britanniche. A cominciare dallo sheikh Khalid
Yassin, un convertito alla fede wahhabita acquisita in Arabia Saudita, che
in un dvd reperibile nella moschea di Regent's Park, la principale di
Londra gestita sempre dai sauditi, afferma: «Noi musulmani abbiamo
l'ordine di fare il lavaggio di cervello, perché i non musulmani sono dei
deviati mentali».
Il predicatore dal nome di battaglia Abu
Osama, della «Green Lane Mosque» di Birmingham, è un esplicito
apologeta dell'odio e del terrore: «Nessuno ama i kuffar (i miscredenti).
Noi amiamo solo i musulmani e odiamo i kuffar. Osama bin Laden è meglio di
un migliaio di Tony Blair, perché è un musulmano». Per kuffar si intendono
principalmente i cristiani e gli ebrei che, secondo questi predicatori,
devono essere sterminati. C'è chi, come il predicatore Mian della Uk
Islamic Mission, chiama la democrazia «kuffrocracy », ossia il regime
degli infedeli che deve essere liquidato per instaurare lo Stato islamico.
Come meravigliarsi che questa libertà di
trasformare le persone in robot della morte abbia finito per produrre i
quattro kamikaze che si sono fatti esplodere nel centro di Londra il 7
luglio 2005 e i due kamikaze autori dell'attentato suicida a Tel Aviv il
30 aprile 2003, tutti cittadini britannici? Considerando questo insieme,
si comprende come i kamikaze britannici non sono una scheggia impazzita,
bensì la punta dell'iceberg del fallimento di un modello sociale che ha
finito per consentire la creazione di ghetti
etnici-confessionali-identitari che si sentono in conflitto con lo Stato
britannico.
Ecco perché, a mio avviso giustamente, nelle sue
conclusioni, lo studio del Policy Exchange afferma che «abbiamo
bisogno di operare insieme per sviluppare un rinnovato senso di
appartenenza a una collettività che affermi la nostra identità britannica
condivisa e i valori dell'Occidente». Il problema è dunque la perdita
dell'identità nazionale e la diffusione di un'ideologia, il
multiculturalismo, che ha fatto venir meno i valori unificanti della
società. Dovremmo imparare dagli errori che gli stessi britannici
denunciano. Ma ahimè in Italia è fin troppo folto l'esercito degli
infatuati del multiculturalismo tra coloro che hanno le redini del
potere.
Magdi Allam