La guerra all'Iran pianificata sei anni fa



La guerra all’Iran pianificata sei anni fa
Maurizio Blondet
29/01/2007
Lo ha rivelato il senatore Chuck Hagel, repubblicano, in una recente intervista: nel 2002 Bush, in previsione dell’invasione dell’Iraq, cercò di strappare al Congresso l’autorizzazione ad intervenire in ogni altro Paese del Medio Oriente.
Ecco il testo.
«Hagel: E alla fine, obtorto collo, la Casa Bianca mandò da approvare una risoluzione al Congresso. Era incredibile: diceva che loro potevano andare dovunque nella regione.
Domanda: Non era specifica per l’Iraq?
Hagel: No, no, diceva tutta la regione! Potevano andare in Grecia, dovunque…in Asia centrale! Era chiaro che intendevano l’intero Medio Oriente. Dovunque. Letteralmente dovunque. Nessun  confine. Nessuna restrizione.
Domanda: Si aspettavano che il Congresso li lasciasse cominciare una guerra dovunque nel Medio Oriente?
Hagel: Sì, sì. Completamente aperto. Abbiamo dovuto riscrivere il testo. Joe Biden, Dick Lugar e io abbiamo modificato il frasario della Casa Bianca...
».
Insomma già allora Bush cercò di avere mano libera per estendere la guerra a Siria e Iran.
Ciò conferma quel che emerge da un’accurata inchiesta (1): già da anni il gruppo di potere neocon aveva pianificato tutto.
La prima prova è del settembre 2000.
Si trova scritta nero su bianco nel fatale documento del PNAC («Project for the New American Century», nome in sè programmatico per un think-tank) intitolato «Rebuilding America’s Defense»: lo stesso documento che auspicava e prevedeva «un evento catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor» per convincere gli americani a partire alla conquista del rango di sola superpotenza mondiale (l’auspicio si avverò l’11 settembre 2001).
Firmato da Paul Wolfowitz, Dick Cheney, Donald Rumsfeld e molti altri nomi neocon e futuri membri del governo, «Rebuilding America’s Defense» diceva tra l’altro: «Gli Stati Uniti hanno aspirato da decenni ad avere un ruolo permanente nella sicurezza regionale del Golfo. Anche se l’irrisolto conflitto con l’Iraq offre la giustificazione immediata, l’esigenza di una presenza sostanziale delle forze americane nel Golfo trascende la questione del regime di Saddam Hussein… Non  possiamo permettere che […] l’Iran o altri Stati simili indeboliscano la leadership americana, intimidiscano gli alleati americani o minaccino lo stesso suolo americano».

Questo programma è diventato la politica ufficiale USA con l’amministrazione Bush.
E il progetto è stato rievocato nei giorni scorsi da Nicholas Burns, sottosegretario di Stato, praticamente con le stesse parole del documento PNAC: «Il Medio Oriente non è una regione che debba essere dominata dall’Iran. Il golfo non è uno specchio d’acqua da lasciar controllare  dall’Iran. Ecco perché vediamo gli USA dispiegare due squadre di battaglia portaerei nella regione».
Quasi subito dopo l’11 settembre ci furono una serie di riunioni tra Stephen Hadley, allora vice-consigliere della sicurezza nazionale, Rumsfeld , Wolfowitz e Douglas Feith (anche questo, ebreo e vice-ministro del Pentagono) per vedere come coinvolgere l’Iran nell’aggressione «giustificata» dall’attentato.
Probabilmente è in seguito a queste riunioni che Michael Leeden, che non aveva cariche governative, venne a Roma per presentare ai suoi due accompagnatori, Harold Rhodes e Larry Franklin (il funzionario del Pentagono oggi incriminato per aver passato documenti segreti a due capi dell’ebraica AIPAC) il faccendiere iraniano Manucher Ghorbanifar, già usato da Bush padre come mediatore in varie faccende con Teheran.
Leeden ha poi detto in un’intervista che si discusse di presunti guerriglieri iraniani che uccidevano i soldati americani in Afghanistan [sic].
Al principio del 2002, Leeden ha formato la «Coalizione per la democrazia in Iran», una facciata per mobilitare fuoriusciti iraniani ed ottenere il «regime change» a Teheran.
Insieme a Leeden era dell’impresa Morris Amitay, già direttore dell’AIPAC (American Israeli Political affaris Committee).
Nell’agosto dello stesso 2002 Larry Franklin, che al Pentagono era l’analista per l’Iran, passa i documenti riservati all’AIPAC: dirà, sotto interrogatorio, di averlo fatto sperando di provocare una «più dura risposta» americana contro Teheran.
Ma Bush era allora troppo assorbito nei preparativi contro l’Iraq.
E in quello stesso agosto rappresentanti del MEK (Mujaheddin el-Kalk), organizzazione catalogata come terrorista dagli USA, vengono invitati a tenere una conferenza a Washington: dove i benvenuti «terroristi» rivelano che Teheran ha un impianto nucleare segreto a Natanz.
E’ la rivelazione che serve.


Il sottosegretario di Stato americano Nicholas Burns

Sono evidentemente manovre messe in atto dalla lobby.
Lo dice, nel maggio 2003, la rivista ebraica Forward («New Front sets sights on toppling iranian regime»): «Una coalizione amichevole di falchi conservatori, organizzazioni ebraiche e monarchici iraniani [il figlio di Reza Pahlavi] stanno facendo pressione sulla Casa Bianca perché intensifichi gli sforzi per provocare un cambio di regime in Iran…due fonti dicono che l’esperto sull’Iran Michael Rubin [ebreo] sta lavorando per l’Office of Special Plans, una piccola unità allestita per raccogliere intelligence sull’Iraq, ma che secondo ogni apparenza lavora anche sull’Iran».
Febbraio 2003: Teheran ammette di avere in costruzione l’impianto di Natanz, asserendo che è destinato a produrre energia elettrica dal nucleare.
Leeden racconterà che l’Iran ha ricevuto segretamente da Saddam, prima dell’invasione, l’uranio del fantomatico programma nucleare iracheno: la CIA indaga su quest’accusa, ma non trova prova alcuna.
Rumsfeld insiste, esige dalla CIA una seconda indagine: stesso risultato.
Maggio 2003: Teheran fa dei passi per arrivare ad una soluzione pacifica della questione con gli USA. Secondo Lawrence Wilkerson, allora capo della staff di Colin Powell, queste aperture vengono sabotate da Dick Cheney. «La conventicola segreta ha ottenuto ciò che voleva, nessun negoziato con l’Iran», dirà Wilkerson. Colin Powell ha spesso alluso alla «secret cabal» come al gruppo che fa capo a Wolfowitz.
Nel 2005, il MEK («terrorista») viene addestrato, su ordine di Rumsfeld, per condurre attentati in Iran.
Ma già dal 2004 Bush ripete in ogni discorso che «gli USA non lasceranno che l’Iran si doti dell’arma atomica».
Nel frattempo, l’Office of Special Plans del Pentagono diventa l’«Iranian Directorate»: secondo l’ottimo giornalista Seymour Hersh, non si tratta solo di un cambio di nome.
Il nuovo-vecchio ufficio sta conducendo operazioni coperte dentro il territorio iraniano in preparazione di un attacco, mobilitando e finanziando le minoranze che abitano l’Iran, in primo luogo i curdi.
Queste operazioni segrete sono fatte con il settore militare anziché con la CIA: ciò per evitare, secondo Hersh, sia il controllo del Congresso, sia le obiezioni di John Negroponte, allora direttore della National Intelligence (quindi capo anche della CIA), il quale si è sempre dichiarato perplesso sulla reale pericolosità del programma nucleare iraniano.
Come sappiamo Bush, dopo le elezioni di medio termine, detronizza Negroponte e lo mette al Dipartimento di Stato, in posizione subordinata a Condoleezza Rice.

E arriviamo ai giorni nostri.
Un lettore (ahimè stupido) mi ha scritto canzonandomi: lei parla da mesi di un attacco all’Iran che non viene mai; se un giorno avverrà dirà di essere stato profeta… un lettore così interpreta le tremende vicende internazionali secondo i modi mentali (che gli sono propri) della tifoseria calcistica, quasi si trattasse di azzeccare un pronostico del Totocalcio.
Lui crede, evidentemente, che io mi inventi i pronostici, che tiri a indovinare.
In realtà, non faccio che riportare voci che si levano, paventando un attacco all’Iran, dentro e fuori l’America.
Il senatore Ron Paul ha detto esplicitamente pochi giorni fa che Bush, inviando due o tre squadre di portaerei nel Golfo (un centinaio di navi armatissime in uno specchio d’acqua esiguo e sovraffollato di petroliere) mira a provocare un «incidente del Tonchino» che costringa il Congresso a dare il suo assenso all’attacco (15 gennaio, su PrisonPlanet).
Scott Ritter, l’ex ispettore ONU, sta lanciando il grido: «Fermiamo la guerra all’Iran prima che cominci» (24 gennaio, su The Nation).
Ma ancora più esplicito è stato il generale Leonid Ivashov.
Già capo-dipartimento alla Difesa nei tempi sovietici, capo di Stato Maggiore della federazione post-sovietica (CIS), oggi Ivashov è vice-presidente a Mosca dell’Accademia di affari geopolitici: un organismo che esprime ad alta voce quel che il Cremlino non può dire apertamente. (2)
Ebbene: il generale Ivashov sostiene che ci sarà l’attacco, forse già nell’aprile 2007.
E che questo attacco sarà nucleare, non potendo gli USA, già impantanati in Iraq e in Afghanistan, affrontare una nuova offensiva terrestre e convenzionale: «Gli USA useranno armi atomiche contro l’Iran», dice testualmente: «sarà il secondo caso di uso delle armi nucleari in combattimento dall’attacco americano contro il Giappone nel 1945».
L’unico punto incerto è, aggiunge il generale, se il Congresso, ormai in mano ai democratici,  possa autorizzare una simile estensione del conflitto.
«Per superare questo ostacolo può occorrere una provocazione, magari un attacco su Israele o gli USA…la scala di tale provocazione dovrà essere paragonabile a quella dell’11 settembre. Allora il Congresso dirà certamente sì al presidente».
Ancora: «Gli israeliani ricorreranno alla provocazione per giustificare la loro aggressione, subire qualche danno tollerabile per passare da vittime (3), e così gli sdegnati gli Stati Uniti destabilizzeranno l’Iran, facendo apparire ciò come una nobile missione punitiva».
E continua il generale: «Nelle prossime settimane vedremo la macchina da guerra dell’informazione cominciare a funzionare (4). L’opinione pubblica è già sotto pressione: ci saranno un’intensificazione dell’isteria militarista anti-iraniana, ‘fughe’ di notizie mandate alla stampa, disinformazione e così via. Ciò manderà un segnale all’opposizione filo-occidentale in Iran, di tenersi pronta per gli sviluppi imminenti. Gli USA sperano che un attacco inevitabilmente produrrà il caos nel Paese, e che sarà possibile finanziare alcuni generali iraniani per creare una quinta colonna».


Il generale Leonid Ivashov

E’ il generale Ivashov che prevede, non io.
Attenzione alla sua allusione alle provocazioni giustificatorie dell’attacco: lui sa quel che dice.
Nostre fonti (non siamo ancora in grado di rivelarne i particolari) ci dicono che una di tali provocazioni è andata a male: la morte di Litvinenko a Londra sarebbe stata causata dalla preparazione fallita di far esplodere una «bomba sporca» nella capitale inglese. Sicuramente un incidente «paragonabile come scala all’11 settembre».
Singolare coincidenza: il 27 gennaio Ephraim Halevy, ex capo del Mossad, rivela di ritenere «molto probabile» che terroristi islamici mettano a segno un attentato atomico. «Non c’è bisogno che sia qualcosa di molto sofisticato», aggiunge: «Può essere qualcosa di semplice come una ‘bomba sporca’, che invece di uccidere milioni di persone, ne uccide decine di migliaia».
Dopo di che, Halevy racconta che «la terza guerra mondiale è già cominciata», e che per vincere l’Islam ci vorranno «25 anni». (5)

Maurizio Blondet


Note
1)
 Larisa Aleksandrovna e Muriel Kane, «Escalation of USA Iran military planning part of six-year Administration push», Raw Story, 23 gennaio 2007.
2) Leonid Ivashov, «Iran must get ready to repel a nuclear attack», Globalresearch, 24 gennaio 2007. Il testo merita una lettura completa.
3) La legge Mastella contro il negazionismo, che coincide con la «condanna di qualunque negazione dell’olocausto» votata all’ONU su mozione USA è evidentemente parte di questa vittimizzazione preventiva. Una vasta campagna concertata su scala mondiale, dall’ADL e dalla massoneria B’nai B’rith, in vista della «nobile missione punitiva». Tutto ciò serve a tacitare le critiche: di fronte all’incenerimento nucleare iraniano, Napolitano ci ricorderà che criticare il sionismo è antisemitismo.
4) La campagna della libera stampa è già cominciata, come forse ci siamo accorti. Singolare nel suo servilismo il Secolo d’Italia di Kippà Fini: in un articolo del 28 gennaio definisce la nostra  la «civiltà ebraico-europea» (nemmeno più «giudaico cristiana», dunque), e chiama gli ebrei  «il sale della nostra cultura». Non stupisce che Berlusconi abbia designato Kippà come suo degno successore…
5) «World war III ha already begun, says Israeli spy chef», AFP, 27 gennaio 2007. L’attentato atomico musulmano? «It doesn’t have to be something very sophisticated, It doesn’t have to be the latest nuclear technology, it can be something simple like a dirty bomb which instead of killing millions only kills tens of thousands, he said».