Medio Oriente: Al Qaeda?Premi e incentivi del terrorismo
globale
Nei mesi estivi la minaccia del terrorismo è tornata a farsi
sentire: se a Londra si è evitata una nuova strage, in Turchia non si è riusciti
a sventare gli attacchi. I due eventi, apparentemente uniti solo dal marchio di
Al-Qaeda, portano a fare alcune considerazioni in merito alla struttura e al
funzionamento dell’organizzazione terroristica.
Raul Caruso* - Andrea Locatelli**
Equilibri.net (31 ottobre 2006)
A onor del vero, qualsiasi congettura su Al-Qaeda non può
essere che teorica e speculativa. Ciononostante, alcuni dati di fatto sono
condivisi dalla maggior parte degli esperti. Per quanto sommariamente, vale
dunque la pena menzionarli: in primo luogo, contrariamente all’immagine
solitamente tratteggiata dai media, è estremamente improbabile che la struttura
dell’organizzazione segua un rigido principio gerarchico. Ovviamente, ci sono
diversi livelli di comando, ognuno dei quali dispone di risorse e autorità
superiori ai livelli inferiori. È poi altrettanto innegabile che ci sia una
figura centrale nell’organizzazione, attualmente rappresentata da Osama bin
Laden, che per carisma e ricchezza ha il potere di fissare gli obiettivi
strategici e di prendere le decisioni più importanti. Tuttavia, e qui risiede il
punto di forza di Al-Qaeda, non esiste una sola catena di comando. In altri
termini, non si può rintracciare, come avviene per la maggior parte delle
organizzazioni terroristiche, una struttura piramidale. Al contrario, si direbbe
che le varie componenti dell’organizzazione siano tra loro collegate in base a
un principio reticolare – con il risultato che cellule diverse possono essere
affiliate a diverse catene di comando (o magari anche più di una).
In
secondo luogo, sembra che i confini di Al-Qaeda siano tutt’altro che ben
delineati: la membership dell’organizzazione è aperta, e c’è sempre spazio per
aggiungere nuovi individui o gruppi. Questo sistema va ben oltre la normale
distinzione tra cellule attive e cellule dormienti. Il problema, infatti, è che
oltre alla minaccia rappresentata da tali cellule, c’è quella proveniente da
fazioni che di fatto con l’organizzazione vera e propria non hanno mai avuto
contatti formali, ma pur di entrare a farne parte si modellano sul loro esempio.
È forse questo tratto a rendere Al-Qaeda un nemico estremamente elusivo:
infatti, la logica implicazione di quanto detto è che nuovi leader qaedisti
possono sorgere in ogni momento e in ogni luogo; analogamente, regioni
precedentemente immuni dal richiamo di Al-Qaeda potrebbero ospitare tali cellule
(a prescindere dal fatto che si tratti di uno Stato pro o anti-americano, che la
popolazione sia musulmana o cristiana, e così via); infine, non c’è posto al
mondo che potrebbe considerarsi al sicuro, poiché ogni gruppo decide il proprio
obiettivo
Se quindi la membership di Al-Qaeda è aperta, dovremmo
interrogarci sui requisiti che rendono gli aspiranti gruppi terroristici idonei
alla qualifica di cellula qaedista. Ovviamente, qui l’analisi lascia il posto
alla speculazione, poiché sulla questione non ci sono dati affidabili. Tuttavia,
alcune ipotesi possono essere formulate sulla base della teoria economica delle
organizzazioni, in particolare la contest theory. I contest, vale a dire
genericamente competizioni, sono situazioni in cui diversi concorrenti
concorrono per il conseguimento di un premio. Questo è solitamente esogeno, vale
a dire determinato da un soggetto terzo che non partecipa alla competizione. Si
pensi a una competizione sportiva. Nella sua forma più semplice, ad esempio in
una gara podistica, diversi partecipanti impegnano i loro sforzi per la vittoria
finale e conseguire un premio fissato dagli organizzatori della manifestazione.
È chiaro che la probabilità di vittoria del singolo atleta non dipende
esclusivamente dal proprio impegno, ma anche da quello degli altri partecipanti.
Discorso analogo può essere fatto per la determinazione di una politica
economica da parte delle autorità governative rispetto alla quale competono
diversi gruppi di interesse. La teoria economica in questo caso prevede che la
strategia ottimale sia quella di massimizzare il proprio impegno, agonistico nel
primo caso e finanziario nel secondo. Il premio di un individuo o di un gruppo
dipende dalla bontà della sua prestazione in relazione ad altri.
Nel
caso del terrorismo, possiamo immaginare Al-Qaeda come un’azienda che mette in
palio un premio indivisibile, che consiste nell’affiliazione all’organizzazione
– garantendo così non solo ingenti finanziamenti dai conti correnti di bin
Laden, ma anche una legittimazione ideologica e un riscatto sociale. Si
consideri inoltre il fatto che a differenza di altri settori, l’abilità nella
gestione di eventi terroristici costituisce un’informazione privata. Pertanto,
quando un gruppo aspirante affiliato di Al-Qaeda decide di dirottare un aereo,
far saltare un hotel, o attaccare un ambasciata, in base alle conclusioni di
questo modello sta segnalando ai vertici dell’organizzazione la propria abilità
e il suo impegno per la causa. Decidere di organizzare un attentato più
‘spettacolare’ e con un più elevato numero di morti, infatti, segnala alla
potenziale fonte di finanziamento sia la propria abilità sia il proprio impegno.
Se le cose stanno davvero così, ne discendono due implicazioni: la prima
è che, contrariamente all’opinione comune, il numero di vittime e il clamore
mediatico dell’evento non costituiscono il fine, ma il mezzo per raggiungere
l’obiettivo della membership. La scelta degli obiettivi, come nel caso degli
aerei e delle stazioni ferroviarie, non sembra dettata da considerazioni
ideologiche, quanto tattiche: in una stazione non si annidano i nemici di
Al-Qaeda, ma – purtroppo – si trovano a passare centinaia di bersagli tanto
facili quanto clamorosi. E, ovviamente, lo stesso discorso vale per le
discoteche, gli alberghi e i centri commerciali.
Una seconda
considerazione da fare è che l’atto in sé non comporta automaticamente la
membership. Alla luce dell’attacco sventato a Heatrow, quindi, il dibattito
sulla presunta affiliazione dei terroristi pakistani ad Al-Qaeda risulta di
dubbia utilità. E, ovviamente, un discorso analogo vale per gli attentati in
Turchia dei giorni scorsi. La forza dell’organizzazione sta appunto
nell’imprimere il proprio sigillo senza, di fatto, sporcarsene le mani. Come una
sorta di franchising postumo, Al-Qaeda trae i proventi degli attacchi più
riusciti, pagando un costo tutto sommato irrisorio per un ritorno d’immagine
sproporzionato.
Per converso, si farà notare che molti dei partecipanti
al terrorismo fondamentalista sono stati addestrati negli ormai celeberrimi
campi di Al-Qaeda in Afghanistan. Ciò, tuttavia, non inficia questa teoria:
infatti, nell’ottica di un gruppo terrorista consapevole dell’esistenza di
concorrenti altrettanto motivati, l’addestramento costituisce tanto un segnale
del proprio impegno quanto un’ulteriore risorsa per conseguire il proprio
risultato. Riprendendo la metafora sportiva, il periodo trascorso nei campi di
Al-Qaeda costituisce una sorta di girone elminatorio da cui usciranno solo i
migliori.
Conclusioni
In questo quadro poco confortante, un barlume di ottimismo è
dato dalla difficile sostenibilità di questa logica. In altre parole, fino a
quanto i leader di Al-Qaeda saranno credibili nell’assegnazione del premio? Fino
a quanto sapranno convincere i loro seguaci che il premio è indivisibile e
selettivo? Apparentemente c’è una continua escalation di violenza – cosa di cui
non ci si dovrebbe stupire dato che ogni volta che bandisce il premio Al-Qaeda
deve alzare la posta. Nel lungo periodo, c’è da augurarsi, la soglia di violenza
necessaria per ottenere la membership potrebbe diventare intollerabile. Da una
parte, questo fortunatamente potrebbe inibire i gruppi minori (che senso avrebbe
impegnarsi in una missione rischiosa sapendo di non poter vincere il premio),
dall’altra potrebbe spingere anche le cellule più preparate ad attacchi
complessi, in quanto tali più facili da sventare.
Prevedere la strada
che Al-Qaeda prenderà in futuro è forse impossibile. Se Al-Qaeda segue, come
sembra, la logica qui abbozzata, probabilmente si troverà ad affrontare un
problema molto critico di credibilità. Per ovviare al problema maggiore, vale
dire che l’organizzazione del vertice riesca a consolidarsi e ad evitare un
processo sulla proprio prestigio, è auspicabile quindi che la sua struttura
aperta ed eterarchica (ovvero, in cui la gerarchia non si esprime in una sola
direzione, ma lungo diversi canali) cominci quanto prima scricchiolare e
diventare insostenibile.
*Università Cattolica del Sacro cuore di Milano
**Università di Bologna